Impacciato, rigido, imperfetto e per questo comico
di Graziano Graziani
La terza tappa della nostra indagine sul comico, cominciata chiedendo a coreografi, registi e attori di raccontare il loro percorso artistico legato al riso, approda alla poesia. La poesia come gesto performativo che può sciogliersi, come accade in teatro, anche nel riso. Non troppi anni fa l’accostamento tra poesia e comicità avrebbe potuto far sollevare più di un sopracciglio, risultare inusuale o addirittura incomprensibile. Oggi, invece, si tratta invece di un binomio riconoscibile grazie al grande lavoro di rete e di creazione del pubblico messo in campo dai Poetry Slam, le gare di poesia in cui i performer si sfidano esibendosi sul palco. È difficile dire se sia stata la dimensione performativa a spostare la temperatura dello slam verso il comico – che, ad ogni modo, non è l’unico orizzonte possibile di questa forma di scrittura e declamazione – o se, piuttosto, quelle autrici e quegli autori che si trovano maggiormente a loro agio con la comicità abbiano trovato uno spazio più consono nella dimensione live perché nel suo ambito più tradizionale, quello della pagina scritta, la poesia frequenta raramente il comico, che è una temperatura quasi assente tanto nelle sue espressioni più classiche quanto in quelle di ricerca.
Fatto sta che la dimensione live è una dimensione centrale. E questo vuol dire che i poeti che hanno a che fare con il comico, molto spesso, hanno anche a che fare con il corpo. Con il loro corpo, in scena, e con quello delle persone che ascoltano. È così sicuramente per i sei autori e atrici che abbiamo coinvolto per questo numero di «93%», molti dei quali legati a più livelli alla dimensione dei poetry slam per averli frequentati o, addirittura, per aver aiutato questo fenomeno a crescere e svilupparsi. In altri casi la dimensione del live è fornita, se non dallo slam, dal teatro. Comunque sia, la poesia che ha a che vedere con la comicità ha quasi sempre a che vedere anche con un pubblico.
Questo è un primo dato interessante, perché il comico è una dimensione che spesso nasce dalla relazione con l’altro (anche se possono esistere testi comici da fruire in lettura). Per questa forma espressiva, tuttavia, il comico è stato spesso anche una sorta di equivoco. Il primo elemento di svalutazione. Al moltiplicarsi degli autori che praticano una poesia, spesso performativa, di impianto comico, la critica più classica e scarna che ne è scaturita è: si tratta di poesia o di cabaret? Il contesto è performativo o letterario? Questa necessità di stabilire confini netti, escludenti rispetto alla forma comica, è frutto in parte di pregiudizio ma anche, io credo, di un riflesso condizionato, dovuto al grande sforzo che la poesia ha compiuto, man mano che perdeva centralità nel dibattito culturale e nell’immaginario sociale, per delineare se stessa e i propri ambiti.
Oggi questa distinzione netta appare una critica piuttosto spuntata. Non solo perché si tratta di un fenomeno che, pian piano, ha acquisito dimensioni più vaste, ma anche perché, in realtà, esistono precedenti storici piuttosto marcati. Tradizionalmente la poesia erotica, come anche quella dialettale, dal Cinquecento all’Ottocento (da Belli a Porta, da Baffo a Tempio), ha avuto spesso una componente comica, pur trattandosi di un corpus scritto e spesso in versi chiusi – anche se, probabilmente, questo è il modo in cui la fruiamo noi oggi, perché certamente autori come Belli e Baffo leggevano i propri componimenti dal vivo. Arrivando a tempi più vicini ai nostri, la dimensione performativa ha attraversato tutto il secondo novecento, finendo per lambire la dimensione teatrale – basti pensare che il festival dei poeti di Castel Porziano è stato certamente un fatto che ha unito i mondi della poesia e quelli del teatro, a partire dai suoi organizzatori, come Cordelli e Carella, che estendevano il loro sguardo su entrambi i mondi. Sul fronte anglosassone la dimensione della “spoken word” ha finito per introdursi nello spazio della musica, con veri e proprie commistioni compositive che arrivano fino al rap, ma attraversano anche la canzone folk (come nel caso di Ani DiFranco), per poi tornare all’ambito teatrale con autori come l’inglese Kae Tempest, che proprio dalla forma rap proviene.
Si tratta di ambiti dove il corpo è presente, così come la poesia è presente, anche se il più delle volte manca la dimensione del comico. Forse, allora, questa rinnovata propensione verso la dimensione del comico ha a che vedere con uno spostamento che si è venuto a verificare nei decenni più recenti. Così come nel teatro, dove la dimensione performativa ha transitato da una dimensione più astratta e drammatica a una più comica, “calda”, che gioca con i codici dell’abbassamento del discorso senza però perdere la complessità, anche nella sfera della scrittura poetica, forse, è avvenuto qualcosa di simile.
È difficile dare una risposta a questi interrogativi e dare quindi una collocazione definitiva al fenomeno della poesia che sfocia nel comico. Un mosaico di ragionamenti e tentativi di analisi fuoriesce, comunque sia, dagli interventi degli autori e delle autrici coinvolte. Gioia Salvatori tira in ballo i temi che accomunano poesia e teatro, la morte e l’amore, ovvero la dimensione umana e il fare i conti con essa, cosa che forse oggi presumiamo di poter fare anche attraverso la leggerezza e il riso. Il gusto per il ribaltamento di un certo modo di esprimere e sentire le cose, così come per il gioco di parole anche fine a sé stesso, è sottolineato da Alessandra Racca come da Filippo Balestra. Mentre sia Alessandro Burbank che Francesca Gironi ci ricordano come ci sia anche un gusto per la marginalità, dello “stare al lato” dei discorsi che si pretendono altisonanti, importanti, granitiche – azione che già di per sé è un ulteriore atto di ribaltamento dei codici – abbia molto a che fare con questo stile di scrittura (e di performance) che avvicina il comico alla poesia. E infine Paolo Agrati si sofferma sul fatto più evidente, che il comico è in grado di ricucire le fratture tra una forma espressiva marginale come la poesia e il pubblico, e, in questo modo, di ricucire pezzi di comunità: il fatto che le serate di slam vedano ragazzi giovani pagare un biglietto per ascoltare una lettura di poesia che a volte dura anche due ore non è un fatto da dare per scontato.
Il filo che collega il comico alla poesia, dunque, passa per tanti tasselli come il corpo, la lateralità, la ricerca di una vicinanza col pubblico, la voglia di comunità. Tutti aspetti che, sostanzialmente, cercano di trovare la leggerezza giusta per parlare di cose che, in molti casi, sono tutt’altro che “leggere”. Cose che hanno a che vedere con una dimensione dell’umano che è «impacciata, rigida, imperfetta», per dirla con le parole di Gioia Salvatori. E, per questo, comica.