L’anno che verrà
di Graziano Graziani
Cosa succederebbe se, di colpo, sparisse il denaro? Cosa accadrebbe alle relazioni umane senza quella rete di interessi, necessità, convenienze, corruzioni, ossessioni che sostiene le azioni di ognuno di noi più o meno consapevolmente? I cinque racconti raccolti in questo numero di 93% cercano di fare i conti, attraverso l’immaginazione e la finzione letteraria, con questo scenario allo stesso tempo inquietante e affascinante, che abbiamo scelto come divertissement narrativo (ma anche come esercizio di immaginazione) per salutare un anno complesso come il 2020.
Innanzitutto il racconto. «93%» solitamente ospita riflessioni, saggi, articoli per interpretare il presente. Stavolta, invece, abbiamo voluto coinvolgere cinque tra scrittrici e scrittori per costruire un numero speciale (come nella tradizione delle classiche riviste cartacee), per provare a interpretare la realtà attraverso l’invenzione letteraria. La scelta del tema – la scomparsa del denaro – non è casuale. Si tratta di esercizio di immaginazione che Roberto Castello ha più volte accarezzato nel corso della sua carriera (ce lo racconta nella riflessione che chiude questo numero). E nelle molte discussioni che ho avuto con lui in questi anni di collaborazione su vari fronti, l’ipotesi assurda della scomparsa del denaro è tornata più volte, in varie occasioni, per cercare di leggere in controluce comportamenti altrettanto assurdi che però non consideriamo tali soltanto perché sono diffusi e codificati. Perché il denaro è un dispositivo che condiziona le nostre vite: pur essendo qualcosa di sostanzialmente fittizio, o quantomeno convenzionale, il denaro è spesso alla base dei gesti che compiamo per lavorare, per nutrirci, per ottenere i piaceri che ci gratificano, ma anche per manipolare o distorcere la realtà al fine di ottenere più denaro o pagarne di meno qualora ci troviamo debitori di qualcosa. Immaginare una sua dissoluzione significa ripensare le relazioni umane per come sono, intrise cioè di interesse.
Immaginare la fine del denaro è un esercizio speculativo che affonda le sue radici nella filosofia. Nelle utopie disegnate da Thomas More e Tommaso Campanella uno degli elementi più radicali riguardava la messa in discussione della proprietà privata e la non necessità di utilizzare denaro per le transazioni tra cittadini. Dell’abolizione del denaro nelle ipotetiche e venture società socialiste si parlò anche nei decenni in cui presero piede la dottrina socialista prima e comunista poi, anche se come discorso secondario rispetto all’abolizione della proprietà privata. Oggi un’ipotesi del genere può strappare tutt’al più un sorriso, o al massimo venire riferita all’ipotesi di scomparsa del contante paventata dallo sviluppo tecnologico del sistema del credito, ma appunto non come forma di “liberazione”, bensì come ipotesi di maggior controllo (anzi, controllo pressoché totale) su tutte le transazioni mondiali.
Questa incapacità di immaginare una realtà diversa è in fondo del tutto normale. È il frutto di una codificazione dell’esistenza attraverso la lente del valore economico che si è fatta totalmente pervasiva. È l’acqua in cui nuotiamo, come nella famosa storiella di David Foster Wallace (in cui due pesci incontrano un pesce più anziano che chiede loro com’è l’acqua oggi, e loro non lo sanno perché, nuotandoci dentro, non sanno cosa sia l’acqua in cui sono totalmente immersi). E tuttavia si tratta di una condizione paradossale, perché mai come oggi nella storia del genere umano si possiedono cognizioni scientifiche, studi comportamentali e modelli statistici complessi che dovrebbero metterci a disposizione un infinito numero di possibilità. Eppure, nonostante i big data, il futuro oggi sembra incredibilmente incerto e nebuloso.
L’unica possibilità, allora, è affidarsi all’immaginazione letteraria. Che, nel caso delle autrici e autori coinvolti, è finita molto spesso per confrontarsi con la distopia e la fantascienza (ma non solo). Non è affatto un caso, perché la fantascienza è un genere visionario per definizione, che ha saputo spesso intercettare scampoli di futuro, cogliendone non tanto le intuizioni tecnologiche quanto le contraddizioni che si sarebbero venute a creare nelle relazioni tra gli esseri umani.
In questi racconti, che spaziano da storie survivaliste alla McCarthy dove la natura si riprende il suo spazio fino ai mondi ipercontrollati dove il lavoro è un lusso da cui fuggire – come nei deliri da beatnik oltrecortina di Egon Bondy – o in cui i rapporti umani hanno un rating, sono storie che ci parlano di fratture. Di mondi che finiscono in pezzi o rischiano di farlo. Ancora una volta non è un caso, se, come osservava Mark Fisher (citando Žižek) «è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo». Ma la frattura è anche lo squarcio attraverso cui possiamo cominciare a osservare una realtà differente.
Gli scrittori e le scrittrici che hanno raccolto l’invito di «93%» sono tra le firme più interessanti dell’attuale generazione dei narratori quarantenni, come Vanni Santoni e Veronica Raimo, che a volte presentano forti contaminazioni con discipline non specificatamente letterarie, come l’antropologia per Matteo Meschiari e l’ingegneria e più in generale la scienza per Elisa Casseri; firme alle quali si aggiunge la voce di una narratrice più giovane come Lucia Marinelli (che abbiamo conosciuto grazie a un laboratorio di scrittura attorno ai temi della fantascienza condotto da teatranti, ovvero Lisa Natoli e la compagnia Industria Indipendente). A loro vanno i nostri ringraziamenti per averci aiutato a immaginare l’inimmaginabile.
E a tutti i lettori di «93%» vanno invece i nostri auguri per l’anno che verrà. Quello che ci lasciamo alle spalle è stato un anno complesso e doloroso, che ha incarnato sul serio alcune distopie che sembravano speculazione letteraria solo pochi mesi prima (e tra queste alcune che avevano a che fare proprio con l’impoverimento e il denaro). Tra le cose messe a dura prova c’è stata proprio l’immaginazione del futuro. Per questo, per accogliere il 2021, vogliamo ripartire da lì.
—
Le immagini che accompagnano il numero sono di Marco Smacchia, illustratore che accompagna da tempo il mondo del teatro. Lo ringraziamo molto per averci donato la sua, di immaginazione.