La scena illustrata
di Graziano Graziani
Cosa c’entra il fumetto con il teatro? Cosa hanno a che spartire l’illustrazione con la danza? Apparentemente nulla. Fatti salvi alcuni incroci di percorsi artistici, più o meno occasionali, scena e illustrazione sembrerebbero procedere su percorsi distinti che si incontrano solo raramente. Poi è chiaro, il teatro e la danza sono arti antiche, spazi che accolgono tranquillamente il mutare del tempo, e in virtù di questo praticamente ogni altro linguaggio può essere assorbito dallo spazio scenico, risucchiato in un vortice espressivo che è poi la caratteristica più profonda dell’arte teatrale. E ciò è vero tanto per i linguaggi coevi o forse persino più antichi del teatro, come la musica, quanto per le tecnologie più moderne. Illustrazione e fumetto, tuttavia, nel loro essere dispositivi immaginifici di enorme impatto spesso realizzati con grande artigianalità, se non con mezzi dichiaratamente poveri (in questo fratelli del teatro), hanno dimostrato invece un certo grado di refrattarietà. Proprio per quello scarto in più che l’illustrazione, la graphic novel, il fumetto aggiungono alla storia, che si sostanzia nel tratto che è e può stare solo sulla carta, trasportare in scena sic et simpliciter un’idea nata dalla matita è quasi sempre difficilissimo, un’operazione che rischia di rivelarsi una scelta riduttiva, dove il teatro anziché aggiungere finisce per togliere qualche cosa.
Eppure, anche se a distanza di sicurezza, il teatro e l’illustrazione non si sono mai davvero ignorati né hanno mai smesso di guardarsi reciprocamente. Intanto perché, nell’epoca d’oro del teatro, prima dell’invenzione della fotografia, era proprio l’illustrazione a raccontare la scena e i suoi protagonisti – basti pensare ai quadri di Lautrec, o alle riviste come «Scena illustrata», fondata nel 1852, o «Il teatro illustrato», del 1880, cui il titolo di questo numero fa scherzosamente il verso. Ma anche senza andare così indietro nel tempo, di incroci se ne trovano diversi. Ad esempio nel secondo Novecento il fumetto, dopo aver passato il guado della “riprovazione” sociale ed essere stato considerato di conseguenza un’arte bassa, di serie B, destinata a un pubblico infantile, entra prepotentemente nell’immaginario collettivo e cominciano a nascere figure eclettiche che attraversano entrambi i mondi. Basti pensare al caso di Alejandro Jodorowsky, drammaturgo e fumettista oltre che scrittore e regista cinematografico; o ancora meglio al caso di Copi, al secolo Raúl Damonte Botana, argentino trapiantato in Francia che fu maestro della scena come del fumetto; entrambi casi in cui teatro e illustrazione si caratterizzano come tasselli di un medesimo, poliedrico immaginario. Con l’irruzione della stagione della controcultura, poi, il fumetto assume una carica di provocazione e innovazione tale da diventare in breve un linguaggio di riferimento; i luoghi della ricerca ospitano indifferentemente i linguaggi della scena e quelli dell’illustrazione (basti pensare, a Roma, alla commistione tra la più importante delle cantine romane, il Beat 72, e la redazione de Il Male, rivista satirica e fucina di sperimentazioni), anche perché i mondi artistici in quel periodo sono in costante osmosi tra loro. Oggi, che i confini tra quei mondi sono stati forse in parte ristabiliti, l’introduzione del concetto di “graphic novel” ha non solo nobilitato il fumetto e l’illustrazione, ma le ha definitivamente consacrate, dando loro una collocazione in libreria non più cadetta, ma pari a quella delle altre forme di letteratura.
Con questo numero di 93% abbiamo voluto tracciare una panoramica, ovviamente parziale, dei rapporti tra il mondo del teatro e il mondo del fumetto, rapporti assai meno episodici di quello che possa sembrare. Perché se è forse vero che «pochi teatranti leggono fumetti e pochi fumettisti frequentano i teatri», come sostiene Andrea Fazzini nel suo pezzo, è altrettanto vero che questa generazione di teatranti è cresciuta con l’illustrazione come uno dei linguaggi cardine del proprio universo artistico, ha spesso frequentato ambienti contigui a quelli dell’illustrazione come della street art, ha costruito un immaginario che attinge indifferentemente da quella come dal teatro. Non è una cosa del tutto causale, come racconta Chiara Lagani nell’incipit del suo scritto, perché ci sono stati momenti di incontro e riflessione comune che sono stati pensati e voluti da intellettuali come Goffredo Fofi che hanno contribuito a creare un terreno comune. E così nel tempo l’illustrazione è diventata una grammatica sempre più presente nel mondo del teatro, dalle collaborazioni tra Marco Smacchia e il Festival di Santarcangelo (ma anche, e anzi a partire, dalla sua militanza nella rivista di critica teatrale «Altrevelocità») fino al manifesto di Inequilibrio disegnato da Gipi, solo per fare qualche esempio.
Abbiamo chiesto così ad alcuni artisti della scena di raccontare gli incontri artistici che hanno avuto con il mondo dell’illustrazione e con i suoi protagonisti. A partire da Chiara Lagani, che ha incrociato il lavoro di Mara Cerri in varie occasioni, riscontrando una coincidenza di immaginari proprio attorno a uno dei cicli che più a lungo ha impegnato la sua compagnia Fanny & Alexander, ovvero quello dedicato ai Libri di Oz di Frank Baum. Questa collaborazione darà vita a una pubblicazione, quella dei Millenni che raccoglie i primi quattordici libri di Oz, ma nasce da una serie di intuizioni avute principalmente sulla scena. Giovanni Guerrieri, regista dei Sacchi di Sabbia, raccontando della loro collaborazione con Gipi – oggi forse la firma più apprezzata in assoluto della graphic novel italiana – ci racconta anche uno spaccato della creatività in una città di provincia come Pisa, fatta di persone che crescono attorno a immaginari comuni e che si trovano ad incarnare destini differenti. Anche nel caso di Andrea Fazzini, del Teatro Rebis, a propiziare l’incontro tra il tratto peculiare e “scarabocchiato” di Maicol&Mirco con la scena c’è, di base, una frequentazione di molti anni, ma anche un interrogarsi comune su cosa potrebbe significare traghettare un immaginario dalla carta alla scena senza farsi abbagliare dall’idea di appoggiarsi al segno grafico, cercando una vera e propria traduzione da una lingua all’altra. Diverso è il caso di Daniele Timpano, che nel suo pezzo si racconta come giovane fumettista in erba, poco esperto e caparbio per trasformare questa passione in professione, e che tuttavia si è fatto carico di quell’immaginario e l’ha fatto entrare nel suo teatro, a partire dalle copertine – vero e proprio tratto distintivo del duo Frosini/Timpano. Infine il caso di Marco Smacchia è ulteriormente diverso, perché, da artista dell’illustrazione, ha scelto di fiancheggiare in molti modi il mondo del teatro, non solo collaborando alla grafica di diversi spettacoli e compagnie, ma anche collaborando in pianta stabile con una piattaforma di critica teatrale come Altrevelicità (a cui abbiamo chiesto di raccontarlo, a firma di Damiano Pellegrino).
Questo panorama, come si è già detto, non è esaustivo ma nella sua multiformità rende conto non solo di stili diversi e diverse forme di incontri e collaborazioni tra il mondo dell’illustrazione e quello del teatro. Ma mette anche a fuoco quali sono i vasi comunicanti che rendono possibile lo scambio tra mondi. C’entra sicuramente il fatto che l’illustrazione è un linguaggio molto riconoscibile, frequentato e amato dalle attuali generazioni di teatranti, che sono cresciuti con i fumetti e considerano le graphic novel come parte integrante della letteratura contemporanea. In fondo l’arte pittorica e del disegno ha sempre dialogato con il teatro – basta guardare alla parabola artistica di Lele Luzzati. Ciò che avvicina oggi questi due mondi è la dimensione di artigianalità che, in misure diverse, caratterizza sia l’illustrazione che il teatro (e non, ad esempio, il mondo del cinema – o almeno in misura molto minore). E il fatto che, grazie a questa dimensione di artigianalità, gli immaginari di questi due mondi, che alle volte possono essere anche molto distanti tra loro, trovano un modo per avvicinarsi e compenetrarsi.