Cogli la ciliegia
di Graziano Graziani

Con l’espressione inglese “cherry picking” – che normalmente indica l’azione di pescare le ciliegie migliori dalla ciotola della frutta – si indica una fallacia logica che consiste nell’attitudine, da parte di un individuo, di evidenziare all’interno di un dibattito soltanto le prove che vanno a favore della propria tesi, tralasciando le altre, e soprattutto ignorando le prove che potrebbero confutare o rendere contraddittoria la propria posizione. È anche chiamata fallacia dell’evidenza incompleta. Tutti noi, nell’esperienza che facciamo quotidianamente sui social, siamo presumibilmente entrati in contatto con questo tipo di atteggiamento, più o meno involontario. D’altronde la frammentazione del discorso – e la sua naturale incompletezza in un mezzo di per sé sintetico come lo sono i post – tende a deflagrare nel momento in cui occorre affrontare un argomento complesso, cercare di condensarlo e magari tentare di ottenere un effetto sui nostri interlocutori. Oppure quando si sente l’esigenza di rimarcare una posizione netta, di posizionarsi su valori che per noi risultano non negoziabili. Queste sono solo alcune delle tante dinamiche con cui, giorno dopo giorno, il dibattito pubblico viene spinto su posizioni radicali e opposte, esasperando un’intransigenza del discorso che finisce per inficiare la possibilità di una vera azione dialettica – quella, per intenderci, in cui ci si confronta tra punti di vista contrapposti, smontando e rimontando non solo le posizioni altrui, ma anche le nostre, in vista di una sintesi possibile. Ed è una delle dinamiche su cui si poggia la cosiddetta “polarizzazione” del discorso pubblico, un cul-de-sac della comunicazione che, da eccezionalità, si è trasformata nell’ambiente stesso in cui portiamo avanti (o cerchiamo di farlo) i ragionamenti sulle crisi che attraversano il nostro presente.
Che effetto sta avendo tutto questo sulle nostre vite, come il dibattito pubblico viene ora spinto e ora travolto da questo modello comunicativo, è oggetto di studio – è di recente pubblicazione, ad esempio, lo studio di Serena Mazzini Il lato oscuro dei social network. Quello che è certo, però, è che in un mondo che cambia velocemente il senso di smarrimento, o anche di isolamento, generato da un simile fenomeno è molto alto. E di fronte allo smarrimento, alla difficoltà di elaborazione di fenomeni complessi che interrogano con forza ora i nostri presupposti politici, ora i nostri convincimenti morali, è molto semplice cedere alla tentazione di arroccarsi su posizioni conosciute, consolidate, che riteniamo solide e incontestabili. E, per converso, di contrastare in modo intransigente chi mette in crisi quei capisaldi. La libertà personale e di circolazione, principio indiscutibile delle democrazie liberali, ha subito uno scossone durante la pandemia da Covid 19. Le guerre in Medio Oriente e in Ucraina hanno creato spaccature tra chi ha condiviso per anni le medesime visioni politiche. La forte richiesta di un cambiamento di rotta culturale e politico sulla violenza contro le donne ha gettato l’ombra di un conflitto tra garantismo e risposta penale, che risponde più a una domanda di effetto simbolico che di esigenza sostanziale, ma rischia di aprire fratture in uno dei campi trasformativi più efficaci di questi anni, quello dei femminismi.
Sono soltanto alcuni esempi, che provengono da campi diversi e affrontano questioni non sempre connesse tra loro. Il filo rosso che li collega è proprio una spiccata tendenza alla polarizzazione del discorso che, anziché insistere sulle soluzioni o sulla ponderazione del dibattito, finisce per premiare la polemica e l’iperbole. L’iperbole, in particolare, sembra essere diventata il vicolo cieco in cui finisce per spingersi il discorso, preoccupato più dell’effetto comunicativo e del guadagno simbolico che riesce a ottenere, piuttosto che di affrontare in concreto le crisi che il presente ci mette di fronte.
Alla polarizzazione del discorso abbiamo deciso di dedicare due numeri “gemelli” di Novantatré percento, invitando una serie di autori a riflettere con noi sul campo circoscritto di una questione precisa. In questo numero Simon Levis Sullam, storico, si è soffermato sulla mancanza di empatia che caratterizza il conflitto a Gaza, sia da parte israeliana che palestinese; Francesco Brusa ha invece affrontato il dialogo (quasi) impossibile sull’invasione russa in Ucraina; Simone Pollo, che si occupa di filosofia morale, ragiona sulla scelta vegetariana e la sofferenza animale, sondando le sacche di polemica che si accendono attorno ad esse; Emma Gainsforth indaga lo scontro di prospettive tra interesse sanitario e libertà personale che si è verificato durante la pandemia, e come i punti di forza di un ragionamento possano finire per oscurare le legittime preoccupazioni di un ragionamento di segno opposto.
A questi quattro interventi ne seguiranno altrettanti nel mese di maggio per sondare, caso per caso, le dinamiche del discorso polarizzato, il modo in cui le posizioni si irrigidiscono fino a formare un muro contro muro, e le crepe eventuali che in questi muri possono aprirsi, per lasciar filtrare la luce di una possibile, ancorché fragile, ricomposizione.