Giacomo Verde, artivista ultrascenico
di Renzo Boldrini - Giallo Mare Minimal Teatro
Di nulla sia detto è naturale
Di tutto si dica può cambiare
L’eccezione e la regola, B. Brecht
Ciò che scrivo su Giacomo Verde, soprattutto per quanto riguarda il suo rapporto professionale in relazione a Giallo Mare Minimal Teatro, è chiaramente influenzato da quarantacinque anni di amicizia vera, inevitabilmente complessa e caratterizzata da quella linea dove vita e arte sono fuse in un unico orizzonte.
Vorrei però subito sottolineare che questa mia riflessione non è un mero esercizio agiografico amicale, ma spero un piccolo e oggettivo contributo per mettere a fuoco la reale importanza del percorso di ricerca ultrascenico teorico e pratico di Giacomo. Un cammino denso, ricco di episodi significativi, come ci ricorda Antonio Caronia nella prefazione che nel 2007 scrisse per il Verde (in Toscana chiamare l’altro per cognome non connota distanza, anzi…) per il libro Artivismo Tecnologico:
«…Vi devo dunque chiedere di fidarvi di me, ma vi garantisco che Stati d’Animo è uno dei video più belli fatti negli anni Ottanta in Italia; che Hansel e Gretel TV è uno degli spettacoli di “teatro da camera” più potenti e divertenti che si siano mai visti; che Ri è capace di farvi stare quaranta minuti a guardare immagini astratte senza che vi accorgiate del tempo che passa anche se i vostri gusti in fatto di immagini sono quelle di Vittorio Sgarbi; che Solo Limoni è in assoluto il migliore documentario che sia stato fatto sul G8 a Genova nel 2001…».
Non casualmente nel 2000 in un suo intervento nel libro di Anna Maria Monteverdi, La Maschera Volubile, che indagava il rapporto fra scena e nuove tecnologie, Giacomo aveva utilizzato la citazione brechtiana che apre il primo paragrafo di questo piccolo testo. Un richiamo autorevole all’azione di scardinamento nella pratica dell’arte scenica in particolare e delle arti in generale, un invito ad agire tradendo ciò che sembra dogmaticamente stabilito, naturale. Un orizzonte che Giacomo ha praticato immaginando e agendo oper’azioni che non si lasciassero ingabbiare artisticamente dentro i confini di ciò che si può definire aprioristicamente teatrale, ma creando ipotesi ultrasceniche. Azione compiuta facendo interagire differenti ambiti e linguaggi artistici rivolti, sempre, a uno spettatore necessario all’azione artistica, non quindi un soggetto anonimo di quel corpo collettivo chiamato platea, ma uno spettatore dionisiaco del quale cercava, in termini drammaturgici e compositivi, una complicità multisensoriale. Ogni sua opera, nelle diverse forme con le quali veniva concepita, fosse la musica elettronica di strada dello Zampognaro Galattico, l’occhio della telecamera in loop visivo addizionato da gesti e oggetti con i quali creava i suoi video fondali o le mani che materializzavano i sogni iconici di Storie Mandaliche, Giacomo craccava gli alfabeti artistici per organizzare imprevisti giochi collettivi e connettivi. Lui ha costantemente utilizzato, in modo innovativo, personale, l’incontro fra linguaggi comunemente percepiti ostili, impermeabili tra loro, inventando tra l’altro un genere teatrale come il teleracconto. Ha costruito oper’azioni open source come Cercando Utopie, dove i codici sorgente delle sue immagini e delle musiche venivano immessi nella rete, liberati da ogni vincolo autorale, editoriale, perché il suo gesto artistico divenisse strumento di ulteriore e libera creazione, gesto concretamente politico e artistico di un altro modo di costruire la scena.
Giacomo ha fatto questo e molto altro e l’ha fatto, personalmente ne sono sicuro, da teatrante, anche se già nel biennio 1991/92 ha messo in discussione in modo radicale tramite i suoi scritti sul Non Teatro e sull’Ultrascena la sua relazione con il fare teatro. Rimane il fatto che lo start up del suo percorso, dopo la formazione scolastica all’Istituto d’Arte, è l’incontro con i linguaggi della scena, ed è in quel contesto, quello del teatro di strada, che si alfabetizza creativamente e affina la sua attitudine performativa, la sua concezione di gioco scenico e di spettatore necessario e attivo. È in quel contesto di lavoro che individua gli strumenti compositivi primari che, dilatati ultrascenicamente con l’utilizzo teatrale delle nuove tecnologie trasfigurate in maschera elettronica – per citare Antonio Attisani – che potenzia il suo essere narr’attore.
Non casualmente. Infine, è proprio dentro i teatri, pur con un’opera ancora una volta non immediatamente classificabile come teatrale, che Giacomo ha trovato il luogo di costruzione e presentazione per l’ultimo suo gesto creativo, Il Piccolo Diario dei Malanni.
Queste pagine vogliono contribuire a consolidare questa prospettiva con testimonianze dirette della sua articolata relazione con la nostra compagnia.
Infatti con me e Vania Pucci, con gli operatori di Giallo Mare Minimal Teatro, Giacomo in varie vesti (autore, regista, attore) ha condiviso vari progetti:
1984 – Fuori Catalogo, interazione scenica fra attori, monitor tv, video e ombre cinesi
1985 – Caccia allo Snualo, spettacolo per video narratore e attori, liberamente tratto da Hunting of the Snark di L. Carrol
1988 – produzione di Hansel e Gretel TV (progetto teleracconto) nell’ambito del progetto Molti Hansel e Molte Gretel, realizzato da Giallo Mare Minimal Teatro, in collaborazione con il Comune di Vinci (FI). Debutto al “Festival dell’Immateriale Pow” di Narni
1989 – Lieto è il fine da La Sirenetta di Andersen (progetto teleracconto). Debutto “Santarcangelo dei Teatri”.
1990 – progetto Casa Teleracconto per “Santarcangelo dei Teatri”. per la quale Giallo Mare Minimal Teatro produce Boccascena
1991 – Consumazione Obbligatoria, liberamente tratto da Fantastica Visione di Giulia Scabia. Debutto “Micro Macro Festival”
1993 – Biancaneve, Neranotte, Giallaluna e Brunaterra. Debutto a “Vetrina Italia” di Cascina (PI)
1996 – produzione della Minimal Tv, prima street tv italiana, realizzata nell’ambito della prima edizione del “Festival Multiscena” a Vinci (FI), diretto da Giallo Mare Minimal Teatro
2002 – wwwDgHamelin.com, suite per attore, contastorie digitale, mouse radar e web cam. Debutto al Festival “Contemporanea” a Prato
2007 – Dal Bing Bang al Microbit (progetto Bit), prodotto da E/tica per il “Festival della Scienza” di Roma
2008 – Super Bit contro Teddy Boiler e il caldo assassino (progetto Bit), prodotto da E/tica per il “Festival della Scienza” di Roma
2009 – Leo et Jules (progetto Bit), ispirato all’opera di Leonardo e Verne. Debutto al Museo Leonardiano di Vinci (FI)
2010 – L’altro e l’altrove nel tempo e nello spazio, dialogo fra il filosofo Alfonso Maurizio Iacono e Bit (progetto Bit), prodotto da Giallo Mare Minimal Teatro per “Filosofia della Scena”
2011 – Bit e Bold raccontano Biancaneve (progetto Bit). Debutto Festival “Il Giocateatro” a Torino
Intensa è stata anche l’attività che Giacomo ha realizzato per la nostra compagnia come formatore sia nel campo della formazione permanente che professionale, per ragazzi, insegnanti, giovani artisti di differenti discipline.
Il teatro è quel posto dove non c’è nulla ma ci può succedere di tutto.
Marco, 9 anni
È con questa geniale definizione di teatro, che mi ha regalato un tempo il bambino che “firma” la citazione, che mi piace inquadrare il teatro immaginato in dialogo con Giacomo. Una skené capace di trasfigurarsi in uno spazio e un tempo progressivamente dilatato dall’uso teatralizzato delle tecnologie, concepite come protesi compositive, necessarie: senza l’ausilio dell’occhio della telecamera usata come un microscopio che indagava in tempo reale il corpo dell’attore, Giacomo non avrebbe potuto trasformare le linee della sua mano nel labirinto del bosco nel quale si perdono i due bambini in Hansel e Gretel TV, o la bocca di Vania divenire figura, parola agita mentre recita, diventa, Moby Dick, Polifemo o, tramite un artigianalissimo gioco di specchi, tutti e sette nani in Boccascena.
Ricapitoliamo. Conosco Giacomo e Vania a Empoli (FI) a metà degli anni Settanta. Ci incontriamo perché attivi nei Gruppi Teatrali di Base, collettivi che tramite il fare teatro partecipano alla spinta di trasformazione politica e culturale che attraversa in quegli anni la società.
Idee e pratiche teatrali che trasfigurate nelle molteplici strade compositive sviluppate nel tempo da Giacomo resteranno comunque scolpite nel suo DNA creativo.
Infatti lui stesso nel 1997 per il trimestrale degli artisti di strada «Teatro da Quattro Soldi» scrive:
«Quando a metà degli anni Settanta ho deciso di fare il cantastorie e il teatro di strada ero mosso dall’esigenza di lavorare a stretto contatto con il pubblico, fuori dalle istituzioni teatrali, e alla ricerca di una cultura viva e popolare… Li usavo per sopravvivere in una “zona franca” che mi permetteva di esprimere la mia differenza dai modelli culturali dominanti… Il lavoro di strada mi è stato utilissimo per imparare a improvvisare continuamente, ad esprimermi “senza rete”, facendo continuamente attenzione a “quello che passava” in modo da modificare l’andamento della performance seguendo l’umore del pubblico e le diverse condizioni architettoniche: è stato un esercizio alla mutazione che mi è sempre stato utile quando mi sono rapportato all’uso delle tecnologie elettroniche… A me non interessa fare cose di avanguardia ma vivere e realizzare oper’azioni nel presente, in questo presente caratterizzato da mutazioni sempre più veloci che non distruggono le tecniche e le forme della comunicazione passata, ma piuttosto ne suggeriscono una loro continua ridefinizione per nuove modalità d’uso…».
Nella fucina di Giallo Mare Minimal Teatro, per Giacomo, Vania e me, già dalla fine degli anni Settanta era evidente la natura tecnologica del teatro, che fin dalla sua genesi ha sempre inglobato ogni conquista scientifica per potenziare la sua capacità espressiva (basti pensare all’evoluzione della luce, dalle fiamme libere dei riti eleusini alle odierne proiezioni tridimensionali). Da questa visione, la comune volontà di amplificare la tecnologia drammaturgica o del gesto attoriale con gli strumenti e gli alfabeti comunicativi di quel tempo presente. È in questa prospettiva che Giacomo alla fine degli anni Ottanta costruisce una delle sue intuizioni teatrali più fulminanti. Infatti, dopo aver attraversato importanti esperienze di formazione al Centro di Sperimentazione e Ricerca Teatrale di Pontedera nel progetto “L’Eresia del Teatro: Stanislavskij” – dove incontra maestri come Jerzy Stuhr, Richard Cieslak e Marisa Fabbri (era il biennio 1982/83); dopo aver partecipato come videomaker nel 1985 a Per Un Attimo Una Stella, il primo spettacolo per un solo spettatore realizzato in Italia dalla nostra compagnia (debutto al “Festival Micro Macro”); e dopo aver fondato nel 1986 Banda Magna Etica insieme a Frank Nemola e Flavio Bertozzi, coi quali realizza uno spettacolo memorabile come Vita in tempo di sport; Giacomo dà vita al progetto teleracconto.
La compagnia, per l’anno 1988/89 per le scuole dell’infanzia, elementari e medie del Comune di Vinci (FI), aveva ideato il progetto Molti Hansel e Molte Gretel. La scelta di fondo era affidare ad una decina di artisti – tra i quali ricordiamo curiosamente Mario Bianchi in veste di attore – che prediligevano linguaggi molto diversi tra loro, la realizzazione di versioni personalizzate della fabula dei F.lli Grimm. Giacomo aveva il compito di esplorare il rapporto tra fabula e linguaggio video. Richiesta che nasceva da un solido retroterra di ricerca comune. Con lui avevamo già dal 1984 realizzato lo studio videoteatrale Fuori Catalogo creato per il Festival “Arrivano dal Mare” e nel 1986 il progetto di un “Cappuccetto Rosso” con attori che utilizzavano maschere realizzate con monitor tv. Nel 1988 il progetto Molti Hansel e Molte Gretel offriva la possibilità d’indagare una nuova concreta interazione tra lo spazio tridimensionale del teatro e quello bidimensionale dell’immagine elettronica.
Giacomo risponde a questa possibilità, forse ispirato da Leonardo, con una vera e propria invenzione teatrale che presenta una mattina di gennaio dell’89 agli studenti di Vinci: un sorprendente Hansel e Gretel Tv, la pietra miliare del progetto teleracconto.
Sull’importanza di quell’invenzione cito alcuni contributi dalla raccolta di contributi critici contenuti in Scritti sul Teleracconto del gennaio ’91:
La maschera elettronica
«Le invenzioni appaiono spesso come il prodotto del caso, ma indagando si scopre che esiste un nesso profondo tra la manifestazione imprevista e le condizioni date […] L’imprevisto è costituito dalla richiesta a Giacomo Verde di un video sulla favola di Hansel e Gretel […]. Alla sollecitazione di Renzo Boldrini, Verde non si è sentito di rispondere con un nastro video, c’era troppo poco tempo e gli veniva un’idea risolutiva. Così ha preparato in pochi giorni una versione della favola nella quale il racconto a viva voce era arricchito da un monitor nel quale si condensavano le immagini create da Verde stesso per mezzo di una telecamera che riprendeva le sue mani opportunamente truccate e un piccolo panorama di oggetti. Tutti erano felicemente sorpresi, l’autore per primo. Era nato il teleracconto. Gennaio 1989. Questa è la favola dell’invenzione […]. Ma sul versante critico quasi nessuno sembra disposto finora a riconoscerne il grande valore […] si sostiene la stessa cosa: che non è teatro. Invece io credo che siamo di fronte a una rarissima, oltre che positiva, invenzione linguistica teatrale. Nel teleracconto, infatti, il narratore, l’attore si esprime usando un supporto, il video. È il supporto la novità. Supporto come la maschera o la marionetta, supporto che impone o crea una propria sintassi, ma che non elimina l’attore e con esso il suo sapere, la sua tecnica, la sua responsabilità. Ma la prima apparenza lo ha spinto verso il teatro di figure. Già nel teatro di figure moderno si è fatto l’errore di credere che non vi fosse bisogno di attori, senza considerare che anche colui che muove una figura è un attore, anche chi manipola e non parla è un attore, perché è lui il padrone del tempo della percezione, è lui la parte vivente dell’opera, il maieuta dell’arte dello spettatore. Ecco dunque: il teleracconto è una specie teatrale a pieno titolo […]. Il video, qui, è come il bastone dell’aedo, non è senso e magia ma lo strumento del senso e della magia. Spero che un giorno queste mie osservazioni saranno considerate ovvie, ma si deve sapere che oggi non è così […]. Ma il valore dell’invenzione linguistica dipende anche da altri fattori. Penso per esempio allo stile evocativo e non realistico imposto alla composizione video, insomma un allontanamento dal realismo in direzione della fabula, di un raccontare che suscita nello spettatore immagini proprie […]. E non si sottovaluti il potere straniante del teleracconto rispetto alla televisione com’è normalmente consumata, con una scultura di immagini intoccabili, immodificabili. Qui invece le immagini si plasmano sotto i nostri occhi, vediamo tutto il set e l’inquadratura e i trucchi usati per comporla, proprio come a teatro […] Dopo l’esordio di Giacomo Verde abbiamo visto comporsi un trittico con le opere di Giallo Mare Minimal Teatro e del duo Diana-Zamboni […]. È da augurarsi che molti altri si vorranno impadronire dell’invenzione, ricordandosi magari che la maschera teatrale non è stata usata solo dal suo inventore».
Antonio Attisani – Ottobre 1990
Universo parallelo
«Un codice comunemente accettato nella fiction spettacolare occidentale è l’invisibilità del trucco. Il culto dell’effetto speciale cinematografico è coerente con questa convenzione. In altre culture vigono altri codici: nel teatro giapponese la presenza del servo di scena, figura nera e sfuggente che sistema oggetti e cuscini attorno agli attori non è occultata […]. Giacomo Verde, per i suoi teleracconti, ha fatto una scelta analoga. Una scelta rischiosa: il punto di partenza è il microteatro, lo sguardo dello spettatore è incantato dall’apparato di oggetti e meccanismi “poveri” che le dita del performer, di lì a poco, trasformeranno negli scenari di una storia. Ma subito questa fascinazione del piccolo viene giocata e negata: le mani, il bicchiere, i legnetti, i nastrini non vengono osservati nelle loro dimensioni reali sul tavolo di lavoro, ma nel quadro di un televisore, con le luci, i colori, la falsa profondità, il ritmo di un video […]. La scatola del televisore, che per nostra radicata abitudine è diventata il contenitore del mondo, dell’unica “realtà” autentica, questa volta ospita un magico universo parallelo. Un universo di cui possiamo però vedere il creatore, al lato, quando vogliamo. Ed effettivamente il nostro sguardo trascorre dal performer al video, il primo sempre più rimpicciolito e il secondo sempre più grande, in un gioco di specchi che scorre sulla trama della voce del demiurgo, narratore e personaggio, che assicura una sorta di unità sonora a questa esperienza che visivamente sarebbe invece spezzata, straniante (e non sarà anche questo accento strascicato e ribaldo, questo toscano di Giacomo Verde e Vania Pucci, e non solo la scelta delle fiabe, a collocarci in un luogo al riparo del tempo, sotto l’ala antica e per nulla pacificante dell’archetipo?)».
Antonio Caronia – Novembre 1990
Per un teatro di percezione
«Riscoprire il gioco della percezione nell’arte, del vedere e del sentire in quanto atti di “autopoiesi”, è una delle necessità che si pone un buon spettatore disposto a mettere in gioco la propria sensibilità… Sono poche le esperienze che in questi ultimi anni hanno contribuito a rinnovare una percezione di teatro, alterando felicemente le condizioni di spettacolarità abituali. Tra queste, una delle invenzioni teatrali più emblematiche è stata quella dei teleracconti, un’idea elementare e geniale al contempo […]. È nell’interazione sensibile tra la scena e il video che si rivela un gioco mobile nel sollecitare i punti di vista dello spettatore. Da questa ibridazione del linguaggio emerge un sottile teatro di percezione, inedito proprio perché stabilisce un modo diverso di vedere […]. Una percezione riflessa, indiretta, o meglio divisa tra l’azione dell’attore e la reazione dei materiali agiti […]. Il fatto è che l’attore dei teleracconti riesce realmente ad agire su due dimensioni diverse parallele e simultanee, quella diretta, teatrale, e quella indiretta, evocativa dell’immagine degli oggetti manipolati e trasmessi attraverso una telecamera in un televisore […]. Il teleracconto diventa così importante proprio per il passaggio di realtà, da quella condivisa attraverso transfert vivo con l’attore a quella virtuale, immateriale, del monitor televisivo. Un salto di dimensione assolutamente relativo, convenzionale, formalizzato, teatrale. L’idea dei teleracconti non a caso è nata in Giacomo Verde, un performer vagante tra i mondi del teatro e quelli del video indipendente. La complicità con Vania Pucci e il Giallo Mare Minimal Teatro ha creato poi le condizioni favorevoli per far crescere nell’humus ideale i teleracconti come prototipi di nuova spettacolarità».
Carlo Infante – Novembre 1990
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La scena e il suo doppio: lo spettatore complice in presenza o virtuale.
Il progetto teleracconto attraverserà successivamente il tempo, arricchendosi di nuovi autori-attori come Carlo Presotto e perpetuandosi sulle scene fino ai nostri giorni grazie a Hansel e Gretel Tv.
Dopo la nascita del teleracconto, fra Giacomo e noi proseguirà la ricerca di nuove ipotesi di composizione scenica che potenzino il lavoro dei performer e creino nuove modalità d’incontro con spettatori multitasking. Molti gli esperimenti come la creazione per la prima edizione del Festival “Multiscena” nel 1996 a Vinci (FI), luogo di nascita del teleracconto della Minimal Tv (termine mutuato dal nome della nostra compagnia che dirige da allora il festival e produsse quell’antesignana esperienza). Di fatto la prima tele street sperimentata in Italia con la regia installata all’interno del Museo Leonardiano e collegata via cavo con alcune televisioni disseminate per il borgo. Monitor che trasmettevano dialoghi registrati con gli artisti e gli spettatori presenti al festival, ma anche materiali registrati e in diretta sulla vita del paese toscano partecipando al consiglio comunale oppure intervistando su vari argomenti i cittadini di Vinci. Una tv fatta e non subita dalla comunità con un palinsesto continuamente stravolto dall’interazione in tempo reale con gli abitanti temporanei del festival e quelli stabilmente residenti.
Il laboratorio di idee e sperimentazioni prosegue negli anni che sanciscono il passaggio di millennio. Nel 2001, in un articolo su «Ateatro», Anna Maria Monteverdi inquadra efficacemente quell’itinerario di ricerca comune analizzando lo spettacolo www.dg hamelin.com:
«L’attore e regista Renzo Boldrini continua le sue collaborazioni con artisti tecnologici per creare spettacoli come Storie Zip, pièce per attore e mouse con il Teatro di Piazza e d’Occasione e Davide Venturini al software grafico vincitore dello “Stregagatto 1999” del quale aveva parlato Carlo Infante in Imparare giocando. Interattività fra teatro e ipermedia (Bollati Boringhieri 2000). Se il gruppo da lui diretto insieme con Vania Pucci, il Giallo Mare Minimal Teatro di Empoli (FI), ha fatto propria la tecnica del teleracconto di Giacomo Verde, Boldrini la rielabora ulteriormente insieme con il bravissimo computer artist Federico Bucalossi nel 2003 per illustrare la narrazione di Fuori onda, tratto da La calza della befana di Emma Perodi, scrittrice toscana di fine Ottocento autrice di novelle per bambini (vedi Fiabe elettroniche, ed. Titivillus).
DgHamelin.com è l’ultimissima creazione del duo Verde-Boldrini che parte dalla fiaba del pifferaio magico raccontata da un solo attore in scena, il quale, in diretta e con un mouse, gestisce i tempi sia della parola che della visione, fatto questo di grande valenza teatrale poiché per la prima volta (se si esclude Storie Mandaliche di Zonegemma ancora in allestimento) in uno spettacolo digital performance nulla è esterno all’attore che diventa macchina che concerta e dirige registicamente se stessa, di sera in sera secondo modalità sempre diverse.
Lo spettacolo ha avuto una lunga e necessaria gestazione per permettere a Giacomo Verde e Renzo Boldrini di elaborare non tanto una scenografia affascinante e stupefacente, ma definire la corretta dimensione cultural-politica della tecnologia usata, il cui ruolo nello spettacolo è, in primis, quello di elaboratore centrale di metafore: la storia non è collocata in un fantastico scenario senza tempo, ma nel qui e ora del mondo del virtuale.
Nella nuova città digitale di Hamelin i grandi sono resi ciechi dal guadagno, incantati e annegati nel vortice del denaro, i bimbi “svegli” abili col computer sanno però trovare un bug nell’accesso ai portali informatici del perfido architetto che l’ha costruita e li salveranno… La città antica è restituita in scena in maniera davvero originale: la sua immagine sullo schermo scorre, anzi, si srotola come un papiro antico; il raccontastorie ha un mouse-radio che, in modalità drag, gli permette di far “avanzare” o “indietreggiare” nella porzione verticale o orizzontale il quadro che illustra in bianco e nero una città medioevale con gli abitanti in piazza, saltimbanchi e autorità civile e ecclesiastica, isolandone di tanto in tanto i personaggi (grazie al mouse up). Intorno, a mo’ di cornice enormi toponi… Lo schermo diventerà in seguito, il desktop del computer centrale della digi-città o del Pc dei bimbi protagonisti della vicenda. Così la storia va avanti riquadro per riquadro, “step by step”, con il clic del mouse […] lo spettacolo usa come riferimento linguistico, l’universo world wide web, il linguaggio html e il gergo (e talvolta lo slang) del “medialismo”: icone (buste da lettera e-mail) button, barre, webcam, cookie, pop-up… maschere digitali volute da Verde, che in questo caso si chiamano delay, webcam, cercando sempre dialogo autentico e sonore risposte dal pubblico […]. Per far pratica, lo spettacolo invita tutti i piccoli e grandi spettatori a giocare insieme e “interagire” attraverso la rete, perché the game is not over, lo spettacolo continua su altri schermi, quelli del computer di casa su www.dghamelin.org».
Un rapporto di collaborazione che dal 2007 al 2012 prosegue fra Giallo Mare Minimal Teatro e Giacomo con una vera saga di spettacoli e performance con Bit, il personaggio creato da Stefano Roveda. Un personaggio virtuale tridimensionale che tramite il data-glove Giacomo anima con abilità straordinaria, danzando con la sua mano dentro il guanto cibernetico con la stessa dinamica di un danzatore di kathakali, cioè utilizzando un preciso catalogo di movimenti per cambiare espressione, costume, dimensione, velocità, colore a Bit, e quindi il suo codice comunicativo. Bit, che grazie a un sistema di telecamere collegate con la postazione di animazione da remoto, è capace, complice il suo schiavo umano, di vedere, parlare in diretta con il pubblico e gli altri performer in carne e ossa: interazione strategica nello spettacolo Bit e Bold raccontano Biancaneve, o nei dialoghi con il filosofo Alfonso Maurizio Iacono e lo studioso Leonardiano Romano Nanni.
Epilogo
Giacomo negli ultimi anni, dove ha continuato fino agli ultimi istanti a giocare mischiando le carte delle arti, aveva una preoccupazione: i computer e tutti gli strumenti contemporanei e di creazione e comunicazione audiovisuale sono costruiti per essere sempre più rigidi custodi delle loro funzioni d’uso. Intravedeva sempre minori possibilità, margini di manovra per riprogrammarne artigianalmente, creativamente, l’uso per il suo teatro ultrascenico, connettivo e collettivo.
Sono certo che avrebbe trovato, anche per me, per tutti noi, la giusta maniera per aggirare l’ostacolo, magari sorprendendosi lui per primo della sua nuova invenzione.
Ne sono sicuro.
Ciao Giacomo.
Renzo Boldrini
Renzo Boldrini è direttore artistico del Teatro Comunale Verdi di Santa Croce Sull’Arno (Pisa) e di Giallo Mare Minimal Teatro. E’ stato insegnante di drammaturgia alla Civica Scuola di Animazione Pedagogica del Comune di Milano. Come autore e regista ha firmato spettacoli, in particolare per le nuove generazioni, rappresentati oltre che in Italia anche in Portogallo, Spagna, Polonia, Belgio,Germania, Svizzera e Russia.
Per Edizione ETS ha pubblicato BiancaNeve, NeraNotte, GialloLuna, Brunaterra e L’incantatore di mouse nella collana Trame su Misura; e, con Claudio Proietti, La fiaba della Principessa Turandot, nella collana Musica e Teatro da giocare. Per Erickson, con Giovanna Palmieri, Il libro va a teatro. Attività con libri, letture, scena e multimedialità. Per Titivillus, ha pubblicato Territorio come scena – progetti di Residenze per il teatro e Fiabe Elettroniche.