Galli, galline e altri suoni. Note a margine della pratica musicale

di Eugenio Sanna

Enrico Castellani ed Enrico Sanna a Tempi di Reazione, SPAM! 2018 – ph Ivo Almiramaro

Il principio dell’arco negli strumenti musicali come origine e unificazione degli opposti

La musica e il suono emesso da un violino o dagli strumenti ad arco possono colpire il cuore delle persone rappacificandole. Nell’arco su cui sono tesi i sottili crini, vi è il senso di ciò che esprime la figura mitologica della freccia. L’arco come la freccia indicano del resto, la direzione da intraprendere. L’ immagine è quella della corda tesa su un buco praticato nel terreno, come nel caso dell’arco di terra (Erbodgen). Vi è un aspetto erotico in cui il maschile incontra il femminile. Eraclito, nel frammento 14, afferma: «dell’arco il nome è vita, azione la morte». E poi, nel frammento 15: «non comprendono come distinguendosi da se stesso, con se stesso concordi: armonia d’inversioni come nell’arco e nella lira» (1). Per i primi filosofi greci l’arché indicava l’origine o principio primo, ovvero la forza primordiale da cui tutto proviene e a cui tutto tornerà. Nel concetto dell’arco, che in greco antico è chiamato anche biós è insito quello di biós, vita: in entrambi i casi l’idea evocata è quella della forza propulsiva del principio primo in quanto immediatezza ed espressione di principi opposti, poli complementari di un’armonia unica. Gli antichi dei della Grecia erano spesso dotati di archi e di frecce: così venivano rappresentati per esempio Artemide, Diana la dea della caccia, e Apollo. Nel principio dell’arco e della sua corda in tensione che può scagliare la freccia vi è l’unificazione di aspetti opposti tra loro: la vita e la morte. L’antico cacciatore che scagliava la freccia provava dispiacere nell’uccidere la preda ma, al tempo stesso, il suono emesso dal sibilo della corda, prima tesa e poi lasciata vibrare nell’aria al fine di scoccare il dardo, agiva in lui come un balsamo risanatore (2).

Boscimane della Namibia che suona ancora oggi l’arco musicale

Ascolto

Nell’introduzione “Noi diapason-soggetti” di Enrica Lisciani Petrini al saggio All’ascolto del filosofo francese Jean-Luc Nancy, viene affrontato il tema importantissimo di ogni possibile connessione, considerando come il senso della vista offra una sorta di ponte “immaginale” a quello dell’udito, e come attraverso essi e con essi si connetta al mondo. Viene così evocata una nuova esperienza del sentire, nella quale si addentrano tutti coloro o quasi che popolano e animano il mondo dell’arte, e non soltanto loro, ponendosi a tu per tu con una percezione direttamente intuitiva.

«In una lettera alla pianista Magda von Hattimberg, del 1 febbraio 1914, Rilke, per illustrare il proprio rapporto con la musica e l’elemento sonoro in genere, cita un’esperienza acustica avvenuta in Egitto alcuni anni prima alla vista di una sfinge. Esperienza che il poeta considererà sempre fondamentale e decisiva per il proprio percorso artistico, perché a partire da essa coglie ciò che da quel momento chiama “la mia musica”. Scrive infatti all’amica: “Anche lei ricorderà di aver vissuto qualcosa di simile: che lo sguardo su un paesaggio, sul mare, sulla notte grandiosa cosparsa di stelle ci ispiri la convenzione di connessioni e consonanze che non saremmo in grado di comprendere. Era proprio questo ciò di cui là facevo esperienza in misura estrema […]. Quante volte, già, il mio occhio aveva tentato di cogliere quell’ampia gota in tutti i suoi dettagli: si arrotondava in alto con tanta lentezza, come se in quel luogo ci fosse spazio per più punti […]. Allora capii e, nella più grande pienezza del sentire, esperii la rotondità. Solo un istante dopo compresi cosa fosse accaduto. Pensi: dietro la sporgenza del copricapo regale della testa della Sfinge, si era alzata in volo una civetta, e lenta, indescrivibilmente udibile nella pura profondità della notte, aveva sfiorato il volto col suo morbido volo; e in quel momento, nel mio udito divenuto profondamente chiaro per il lungo silenzio della notte, si era inciso […] il profilo di quella gota”» (3).

Nell’immagine sotto è raffigurato un tetradramma d’argento (Atene 480-420 a.C.): la civetta, con i suoi grandi occhi, era l’animale sacro ad Atena, portatrice di saggezza, arte e sapienza. Certamente, in quanto volatile, questo rapace mantiene tutte le sue caratteristiche simboliche attribuite agli uccelli, e in particolare la capacità di volare sopra ogni cosa e di vedere tutto “dall’alto”.

tetradramma d’argento (Atene 480-420 a.C.)

Improvvisazione

Un aspetto peculiare e importante della musica improvvisata è lo sviluppo di un modo di suonare in solo. Attraverso il solo è possibile rapportarsi a un gruppo. Questa modalità, quella del solo, costituisce una specie di cartina al tornasole e verifica con noi stessi. Un banco di prova da oltrepassare. Durante un solo talvolta può emergere una grossa ricchezza di materiali sonori di vario tipo, come anche la loro drastica, ma non drammatica, riduzione. Nella pratica dell’improvvisazione non possiamo prevedere cosa verrà creato in quell’istante, e neanche è bene cercare di farlo perché inficerebbe il fluire di materiali sonori. Tutto deve restare allo stato fluido. Il musicista che suona in solo, agisce allora come una specie di medium, fa da tramite a quanto si manifesta in quel dato momento, permettendone il flusso. È un certo stato mentale che è necessario per permettere di fare ingresso nel regno misterioso dei suoni. Il musicista li cerca per il tramite del suo strumento, essendo in uno stato percettivo di attenzione fluttuante: un’attenzione che non è più un’attenzione, e in cui vi è molta consapevolezza e inconsapevolezza al tempo stesso. È la consapevolezza che in quell’attimo stiamo cercando qualcosa a cui dare forma. Una materia ancora allo stato grezzo da plasmare, per permetterne il manifestarsi della quale è necessario diventare inconsapevoli.
Al fine di inquadrare anche storicamente, la prassi del “discorso in solo”, ho preso in esame i due testi da cui ho estratto alcuni passi tra i più significativi. A proposito del suonare in solo, Derek Bailey nel suo Improvvisazione: sua natura e pratica in musica (ed. Arcana, 1982, p. 194) scrive:

«[quando,] verso il 1970/71, dopo aver suonato per diversi anni in gruppi d’improvvisazione, di stili e dimensioni notevolmente differenti, mi orientai in modo quasi esclusivo verso l’improvvisazione “in solo”, lo feci per necessità: per bisogno dopo un tempo considerevole passato a pensare in termini di gruppo, di intraprendere un esame ravvicinato del mio proprio modo di suonare, per cercare le cose giuste e le cose sbagliate. Volevo sapere se il linguaggio che usavo era completo, se poteva fornirmi tutto quello che volevo, in un’esibizione musicale. Il modo ideale di fare questo, forse l’unico modo, mi sembrò quello di passare un certo periodo a suonare da solo» (4).

E ancora:

«Nella scelta e nello sviluppo del suo materiale, l’improvvisatore “in solo” lavora per vie simili a quelle dell’improvvisatore di gruppo. Egli costruisce un vocabolario personale, e lavora per ampliarlo, sia nelle esibizioni sia durante le prove. Il materiale non è mai fissato e le sue associazioni storiche o sistematiche possono essere ignorate. A parte il dover soddisfare l’ovvio requisito che il linguaggio deve essere composto di materiali a cui l’improvvisatore è interessato, e da cui è attratto, egli può anche cercare materiale adatto a rendere più facile l’improvvisazione. L’improvvisatore ha bisogno di qualcosa che sia possibile variare all’infinito, e le cui parti siano tutte, sempre egualmente all’infinito» (5).

Stefano Arcangeli scrive: (6)

«Franco Bolelli in Musica Creativa scrive che l’equilibrio dinamico fra la profusione delle proprie risorse e l’interscambio con gli altri musicisti è, significativamente, l’essenza stessa di quel sistema di comunicazione aperta che è l’improvvisazione, secondo una formula che poi è una regola di vita […]. Nella pratica espressiva della musica creativa, il solo è la ricomposizione onnilaterale di tutte le facoltà umane. Proprio perché accoppia in assoluta identità il ruolo dell’esecutore e quello dell’inventore, il musicista combina mente e corpo (consapevolezza ed emozioni, ragione e inconscio, bisogni e desideri…) in un gesto naturale di unificazione della propria soggettività».


Galli, galline, musica e suoni

galline – foto della cantante Susanna Ossola

Qual è il rapporto tra galline, galli, musica e suoni? Occorre precisare che, durante il mio workshop Il suono dell’improvvisazione, (7) dei galli e delle galline ma anche un coniglio, ci venivano a trovare, sostando con grande interesse davanti alla porta d’entrata dello studio di Daniele Onori. Un vero interesse motivato e sospinto dalla musica che veniva fatta. Nelle note che seguono, ho ricercato dei motivi storici, religiosi, mitologici, archetipici e popolari, al fine di “decifrare” il messaggio che questi animali inviavano a me e ai partecipanti al workshop.
Per quanto concerne la gallina, questa rappresenta l’archetipo naturale della madre: «così come la chioccia si preoccupa di proteggere i piccoli e non permette che si avvicini loro nulla che possa ferirli, così colui che può sedere tranquillo sotto la protezione dell’Altissimo, non è toccato da tormenti e calamità» (W.H.Frh. Von Hohberg, 1675). La chioccia è dunque il modello esemplare dell’amore protettivo verso i deboli. Nelle raffigurazioni dedicate alle arti liberali, l’elemento della cova è posto in relazione alla pazienza: per covare è necessaria la pazienza, così come è necessaria la pazienza, per sviluppare l’arte. Ma è interessante il significato che viene dato a questo volatile, nei riti africani dedicati all’iniziazione femminile, nei quali la gallina ha la funzione di psicopompo, con funzione di guida delle anime dei trapassati come Ermes nella religione greca. In una certa cultura europea pare però predominare la concezione della “gallina stupida”, confermata anche dal simbolismo onirico, nella psicologia del profondo. Il consesso delle galline esprime una collettività estroversa e povera di spirito. Spesso esse cadono facilmente preda di un panico sciocco e infantile, così come i pensieri dei folli che si accavallano furiosamente. Ma nelle fiabe, le galline vengono ampiamente riscattate, essendo in grado di fare le uova d’oro, rappresentazione di ciò che c’è sotto la madre terra, difeso però dalle forze sovrannaturali.
Per quanto riguarda il gallo invece, la cultura europea da un lato lo considera un animale solare, dal momento che con il suo canto annuncia l’alba e scaccia i demoni notturni, dall’altra, soprattutto il gallo nero, è un animale magico, vittima sacrificale delle potenze infernali. Nella simbologia ritrovata su amuleti, talismani e lapidi sepolcrali, i galli con il loro canto erano in grado di scacciare leoni e basilischi. La cresta del gallo proteggeva dagli incubi notturni. A causa del colore rosso fiamma della sua cresta, in molte culture, era diventato il simbolo del fuoco e del Sole. Essendo aggressivo nel combattere, è un animale che simboleggia la virilità.
Nell’interpretazione cristiana il gallo è il simbolo di Cristo che porta l’alba del nuovo giorno. Per la sua natura vigile e guardinga era assimilato alle dee Atena e Demetra, e, per la sua propensione al combattimento, ad Ares (Marte). In Cina, il gallo, decimo segno dello zodiaco, non si mangia. Il gallo rosso protegge dal fuoco, mentre quello bianco allontana i demoni. Il gallo invita le galline a mangiare ed è affidabile nel risveglio. In Giappone il suo canto fa uscire Amaterasu, la dea del Sole, dall’oscurità.
Marius Schneider, in Gli animali simbolici e la loro origine musicale nella mitologia e nella scultura antiche (ed. Rusconi, pp. 65 e 67) nota come, nel sistema simbolico dell’India classica, il gallo e l’aquila non figurino, sebbene sicuramente esistano nella tradizione vedica. Scrive infatti:

«Ci sembra di poter identificare il gallo con il leone come simbolo del mattino, del coraggio e del fuoco (cresta del gallo). Le alte culture dell’Oriente attribuiscono agli animali delle corrispondenze stabilite in base agli elementi della natura. Il leone e l’aquila appartengono all’elemento fuoco; gli uccelli piccoli e il pavone all’elemento aria; il kokila, l’uccello nero dell’amore, bue e leone senza ali all’elemento terra; il pesce all’elemento acqua. Nella sua sistemazione più stretta (musicale) il fuoco equivale a fa, l’aria al sol, la terra a la, l’acqua a si. Il suono do (aquila) si colloca tra il fuoco e l’aria, il suono re (pavone) fra l’aria e la terra, il mi (bue e vacca) fra l’aria e l’acqua» (8).

Quindi una corrispondenza armonica del gallo è quella di essere un animale che determina in definitiva un passaggio, e la sua nota corrispondente è il fa (il fuoco) che attraversa però in regno del mi.

La creatività

Che cosa è dunque la creatività? Partiamo dal concetto di “creativo” e da cui il sostantivo, appunto “creatività”. Il verbo di derivazione è “creare”, ossia il dar vita a qualcosa: il creatore è “colui che fa qualcosa dal nulla”. Viene data vita a qualcosa. Nel verbo creare la lettera “c”, separa il suffisso “re” che prelude alla res, o cosa, in latino. Tutti gli esseri umani danno sempre vita a qualcosa. Quella della creatività è allora un’attitudine; il nostro slancio verso una capacità di dare vita ma anche animare. La nostra azione creativa potrebbe derivare allora da una creatio continua, ossia una creazione continua e in cui l’azione creatrice persiste per tutto il tempo in cui sussiste l’oggetto creato: in ogni istante della sua esistenza, una sostanza ha cioè bisogno del sostegno della stessa potenza creatrice che l’ha originariamente prodotta. In altre parole, occorre alimentarne la vita.
Ogni oggetto creato e ogni creazione presenta delle caratteristiche di autonomia, libertà da qualsiasi vincolo, novità e imprevedibilità. È soprattutto nei processi artistici di tutti i generi e di ogni epoca, che ritroviamo in maniera evidente ed energetica questi elementi costitutivi e fondanti, trattandosi di processi autentici e originari con i quali gli esseri umani si pongono in relazione entrando in rapporto consapevolmente con quanto già esiste ed è esistito in precedenza. Vi è dunque un rapporto con l’esperienza e con una direzione della meta verso il finalismo e la continuità. La nozione di creazione si presenta allora con caratteri finalistici e teleologici. Un’altra questione fondamentale è quella se la creazione da cui deriva la creatività venga ex nihilo, ossia dal nulla. Per quanto riguarda l’esperienza artistica, Eric Dodds a proposito dell’ispirazione poetica scrive: «chi non ha imparato dei versi a memoria di altri cantori, è un poeta cantore che può contare sugli esametri sgorgati spontaneamente a mano a mano che gli servono da qualche fonte sconosciuta, incoercibile profondità; canta mosso dagli dei come fan sempre i migliori cantori» (9). Qualcosa che, in altre parole, è possibile definire come la capacità di poter improvvisare. Ed è evidente che in questo caso stiamo rispondendo alla domanda da dove nasca l’attitudine a creare, alla creatività. Nel Fedone, Socrate riferisce di un suo sogno frequente e ricorrente ma con l’identico messaggio: «Socrate diceva “crea la musica e suonala”. E quanto all’interpretazione che ne dà, dice: “io, fino a qualche tempo fa, avevo la sensazione che il sogno mi spronasse e pungolasse a quel che già facevo solitamente, cioè creare musica, dato che per me la filosofia è sublime musica, ed io proprio questo facevo. Ma dopo che c’è stato questo mio processo e la solennità del dio m’ha vietato di morire, m’è parso doveroso, chissà che il sogno non mi ordinasse con quell’insistenza, di creare l’altra musica, quella normale, non disobbedirgli, e mettermi a comporre”». E poi ancora: «così cominciai a poetare in onore del dio di cui ricorreva la solennità. Finito con il dio, riflettei sul fatto che il poeta vero, deve fare poesie di fantasia, non di logiche ragioni» (10).
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  1. Eraclito, Dell’origine, traduzione e note di A. Tonelli, Milano 1994, pp.57-58
  2. Cfr. M. Schneider, Gli animali simbolici e la loro origine musicale nella mitologia e nella scultura antiche, Milano 1986, p. 219
  3. E. Lisciani Petrini, «Introduzione: Noi diapason-soggetti», in J.L. Nancy, All’ascolto, a cura di E. Lisciani Petrini, Milano 2004, pp. VI-VII
  4. D. Bailey, Improvvisazione: sua natura e pratica in musica, Milano 1982, p. 194
  5. Ibid., p.195
  6. S. Arcangeli, nell’opuscolo della Terza rassegna del jazz – Pisa-Firenze, 6-13 luglio 1978 (pp. 24-25)
  7. Note redatte durante le varie fasi del mio laboratorio Il suono dell’improvvisazione, condotto per una associazione musicale in Toscana, nel luglio del 2018
  8. M. Schneider, Gli animali simbolici e la loro origine musicale nella mitologia e nella scultura antiche, Milano 1986, pp. 65 e 67. Cfr. H. Biederman, Simboli, Milano 2008, pp.212-213.
  9. E. Dodds, I Greci e l’irrazionale, Milano 2015, p. 52
  10. Platone, Simposio, Apologia di Socrate, Critone, Fedone, a cura di E. Savino, Milano 1993, p. 281

 

Eugenio Sanna

Chitarrista originale e versatile e musicoterapeuta, conduce da sempre una ricerca di rigore estremo che non conosce compromessi. Ha partecipato dal 1976 fino al 1986, alla fondazione del C.R.I.M. (Centro per la Ricerca sull’Improvvisazione Musicale) a Pisa, città dove attualmente vive. Ha suonato con i maggiori musicisti contemporanei ed esponenti della musica improvvisata ma anche con artisti provenienti da altre aree espressive: Peter Kowald, Derek Bailey, Roger Turner, Edoardo Ricci, John Zorn, Giovanni Canale, Tristan Honsinger, Stefano Bartolini, John Edwards, Giuseppe Chiari, Edoardo Marraffa, Steve Noble, Luca Tilli, Tony Rusconi, Sebi Tramontana, Thomas Lehn, Tiziana Bertoncini, Esther Lamneck, Eric Lyon, Ute Volker, Eddie Prevost, Patrizia Oliva, Stefano Giust, Paed Conca, Carlo Actis Dato, Mauro Orselli, Phil Minton, Liz Allbee, Marco Cristofolini e molti altri. Interessato alla fusione di diversi linguaggi artistici, partecipa e progetta perfomance anche con danzatori quali Douglas Dunn, Roberto Castello, Cheryl Banks, Manrico Fiorentini, Katie Duck, Charlotte Zerbay, Paola Lattanzi. A partire dal ’94, viene invitato a tenere periodicamente delle lezioni sulla musica improvvisata dal Dipartimento di Musica Elettronica e Contemporanea della New York University, per gli studenti di quella università. Per dodici anni ha portato avanti un laboratorio di musica per la casa circondariale G. Don Bosco di Pisa e dal 2001 fino al 2017 ha condotto due laboratori con finalità espressive e terapeutiche, per un’associazione di riabilitazione psicosociale nella stessa città in cui risiede. Per oltre un anno è stato il conduttore e ideatore del workshop permanente “Il suono dell‘improvvisazione” il cui obiettivo è quello di diffondere attraverso la formazione didattica, ai musicisti e al pubblico, l’arte dell‘improvvisazione e che si è tenuto ogni quarto venerdì del mese al Teatro Rossi di Pisa.

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