Composizione istantanea: come creare una relazione con il presente della performance

di Giselda Ranieri

John De Leo e Giselda Ranieri a Tempi di Reazione (SPAM! 2018), ph R. Castello

Avere l’opportunità di scrivere sull’improvvisazione e la composizione istantanea è per me importante e una sfida stuzzicante, perché mi costringe a mettere nero su bianco una serie di riflessioni che appartengono al mio fare artistico.
Mi occupo di composizione istantanea dal 2008.
Inizialmente più come pratica di esercizio e di ricerca del materiale creativo poi, nel corso degli anni, sempre più con consapevolezza e volontà di contribuire a renderla una disciplina a sé stante, con una propria distintiva autonomia e dignità.
Così, da semplice strumento generativo, l’improvvisazione è divenuta una sorta di “meditazione in movimento” (definizione già utilizzata in passato per la danza stessa): un ambito non più utilizzato per attingere a nuovo materiale, ma, al contrario, un recipiente in cui far confluire di volta in volta nuovi saperi, tecniche, riflessioni.

Impro o Composizione istantanea?

Negli anni, il mio focus è stato la composizione in tempo reale di performance site specific di danza e musica dal vivo.

Grazie alla collaborazione con musicisti, le conversazioni intorno a questo tema, le differenze dei punti di vista o della terminologia nonostante le similitudini dell’approccio pratico, mi sono sempre più affezionata al termine “composizione istantanea” (usato più in ambito musicale). Ho deciso quindi di adottarlo al posto di improvvisazione perché questo termine è ormai troppo legato a un uso quotidiano negativo (“arrangiarsi”, “assumersi un compito per il quale non si ha alcuna competenza specifica”…), mentre il primo rimanda maggiormente all’idea di un uso sapiente delle proprie conoscenze in un campo specifico: la composizione.
Quando pratico composizione istantanea, sono inconsapevole di ciò che andrò a comporre: metto insieme, inanello, le cose – gesti, movimenti, parole, dinamiche – in ogni istante senza pre-determinarlo. Preciso: uso “in-consapevole” qui come sinonimo di “non informato”, ossia “che non è in una forma pre-determinata”.
Esattamente come durante una chiacchierata con amici: spesso iniziamo a parlare non conoscendo ancora quale forma specifica prenderà il discorso o l’ordine e il contenuto di ciò di cui si parlerà… Eppure parliamo!

Faccio quindi una distinzione terminologica più per un personale interesse intellettuale che per una reale distinzione: nell’improvvisazione riscontro un’attenzione maggiore alla dimensione interna dell’agente mentre nella composizione istantanea il focus è più esterno, posto sulla creazione del e nell’istante. Ovviamente, non si tratta di una suddivisione a scompartimenti stagni, riguarda più che altro una tendenza del performer verso l’una o l’altra possibilità.
Io stessa, pur sentendomi incline alla seconda modalità, in spettacolo percepisco il costante dialogo tra l’interno e l’esterno, tra gli input che provengono da un mio “sentire” intimo e quelli estranei con cui decido di pormi in relazione: musica-suono-voce, luogo-architettura-contesto, pubblico-persone-temperatura.

Prove di concentrazione

Ho dovuto e continuo tutt’ora a lottare per spiegare al meglio che “improvvisare non si improvvisa” (cosa che ho avuto il piacere di sentire confermata in una delle conversazioni che precedevano ogni sera le performance di “Tempi di reazione”), che si può e si deve “provare” prima di andare in scena.
Quando parlo di prove non mi riferisco ovviamente alla ripetizione di qualcosa di già creato (es. struttura, coreografia), ma a una sorta di messa a punto dei propri strumenti: affilare le proprie capacità e tecniche per essere pronti a vivere “il momento”. E la preparazione sarà sempre diversa, perché come esseri umani siamo in continuo movimento-mutamento e una cosa “giusta” ora non è detto che lo sia in seguito.

Come ci si prepara allora a un’improvvisazione?

La risposta sarà diversa per ogni improvvisatore. Personalmente, lo sforzo è trovare il modo di esercitarsi a essere pronta per qualsiasi evenienza, quindi, mobile, concentrata. Ci sarebbe una lunga e bellissima discussione su cosa significa concentrazione. Per me, che amo l’etimologia delle parole – a volte in modo un po’ creativo – e ne sono ossessionata fin da piccola (per merito di mio padre!), concentrazione riporta a “con-centro”, quindi non cercare fuori da sé, dal proprio centro appunto, ma al contrario “portarci in giro tutto il tempo”! In modo meno ironico, significa sforzarsi di essere “uno” per tutto il tempo necessario (non è forse quello che continuamente ci insegnano le filosofie orientali? E forse in qualche modo anche quella cristiana, con il concetto di trinità, di persona divina che è una e trina). “Uno” ossia intero, presente, in questo senso esserci, essere pronto, vivere il momento.
Da sempre ho paragonato lo stato in cui agisco in improvvisazione a quello del dormiveglia: è un’immagine che mi aiuta molto e mi supporta nelle spiegazioni quando insegno.
In quello stato quotidiano del corpo-mente ci troviamo come a cavallo tra due mondi sensoriali: il sonno e la veglia. Ci stiamo risvegliando, ma siamo come in modalità risparmio energetico, quindi non del tutto attivi… ma reattivi sì. Vi è mai capitato, in quel momento della giornata, di sentire un suono inaspettato che vi fa balzare in piedi e vi risveglia completamente? Ecco, parlo di quel tipo di reattività felina che tutti abbiamo sperimentato almeno una volta nella vita.

Essere in rapporto consapevole

Si dice (forse lo diciamo noi danzatori!) che, in quanto esseri umani, siamo sempre in relazione. Ma siamo anche in una relazione consapevole? Per me questo è importante, in una performance: essere in grado di percepire e confrontarsi consapevolmente con una serie di input esterni che arrivano dalla situazione performativa in cui sono immersa.
La relazione, il rapporto tra le parti, significa tutto per me. Il mio progetto di composizione istantanea Blind date, ad esempio, che coinvolge danza e musica dal vivo composta in tempo reale, è basato sul rapporto con un musicista che cambia a ogni data, e che incontro solo poco prima della performance, al massimo il giorno prima.
C’è il rapporto con lo spazio che ci accoglie, e quindi anche il rapporto con chi sta vivendo quello spazio in quel momento. Spesso si tratta di luoghi pubblici – una piazza, una stazione ferroviaria – quindi oltre agli spettatori c’è tutta una vita che ruota attorno a noi, con la quale relazionarsi. Altre volte sono musei e allora ci sono le opere artistiche, oltre al flusso dei visitatori, con cui creare un nesso.

Come entro in rapporto con tutti questi elementi? Con molta concentrazione, ma anche con molta leggerezza. Non deve essere una concentrazione che chiude, al contrario, deve aprire il più possibile lo sguardo, un’attenzione a trecentosessanta gradi. Cerco di essere veramente dentro quello che creo e, contemporaneamente, di essere consapevole di ciò che mi circonda, per poter ricevere costantemente stimoli da restituire al pubblico, digeriti creativamente e metamorfizzati.

Quella a cui ho partecipato è stata la prima nuova edizione di “Tempi di Reazione”, che ha accolto, principalmente, alcune tra le pietre miliari della ricerca performativa e musicale sull’improvvisazione. Ho apprezzato la varietà degli approcci improvvisativi, l’affiancamento riflessivo che precedeva gli spettacoli in forma di dialogo tra Roberto e i suoi ospiti, la messa in gioco di noi performers (danzatori, attori e musicisti).
Spero presto segua una seconda edizione aperta agli approcci delle generazioni più giovani – che hanno seguito quella ricerca o se ne sono discostati proseguendo in autonomia – sempre nel dialogo e confronto tra esempi nazionali e internazionali.

 

Giselda Ranieri

Danzatrice di formazione classica e contemporanea, dal 2008 ricerca nel campo della composizione istantanea collaborando con artisti nazionali e internazionali.
Nel 2009 si trasferisce ad Amsterdam per due mesi dove segue il lavoro della coreografa Katie Duck focalizzato sulla composizione in tempo reale in relazione tra movimento e musica.
Nel 2012 è assegnataria di una residenza artistica di un mese alla Triennale Bovisa di Milano insieme al percussionista Elia Moretti: quell’esperienza pone le basi per una collaborazione duratura che specializza il duo in progetti di composizione in tempo reale in spazi non teatrali.
E’ tra i membri fondatori di UBIdanza / Aline Nari e Davide Frangioni con cui lavora in compagnia dal 2008.
Dal 2010 collabora con la Compagnia ALDES / Roberto Castello di cui è artista associata dal 2014.
Dal 2014 inizia a collaborare col coreografo Cosmin Manolescu per il progetto europeo E-Motional: rethinking dance e lo spettacolo Fragile (http://e-motional.eu/about/).
L’anno successivo inizia invece la collaborazione col Collettivo Pirate Jenny.
E’ laureata in Discipline dello Spettacolo dal vivo e specializzata in Danza presso il DAMS di Bologna con la storica della danza Eugenia Casini Ropa.

Inizia a produrre lavori propri a partire dal 2014. Il suo progetto di danza e musica BLIND DATE è ospitato al Museo Pecci di Prato, alla Galleria degli Uffizi di Firenze e al Museo d’arte contemporanea di Villa Croce a Genova, oltre che in diversi teatri.
Nel 2016 il suo lavoro i…i…io?!/Give me a moment vince il premio come miglior regia al Festival ACT di Bilbao e, grazie alla segnalazione dello stesso, entra a far parte del network internazionale IYMA.
Nell’Ottobre 2017 debutta il suo ultimo solo T.I.N.A. (There Is No Alternative) presso le Carrozzerie n.o.t. di Roma all’interno della rassegna Teatri di Vetro.
Nel 2018, con l’ideazione del progetto HO(ME)_project inizia la collaborazione col gruppo italo-tunisino Collectif Corps Citoyen.

www.aldesweb.org
www.collettivopiratejenny.com
https://www.facebook.com/giselda.ranieri