Pensiero facente: tempi, reazioni e improvvisazioni

di Valeria Vannucci

Enrico Castellani ed Eugenio Sanna a Tempi di Reazione (2018) – ph R. Castello

“Tempi di Reazione” nasce a Porcari nel 2008 come festival sull’improvvisazione in ambito artistico, mettendo in dialogo differenti linguaggi e aspetti teorici inerenti alla pratica. A distanza di nove anni, la manifestazione torna in auge sulla spinta di differenti necessità, che guardano al passato, al presente e al futuro dell’improvvisazione. Preservare il sapere di grandi maestri che, connaturato nella sua essenza orale, rischia di scomparire. Oppure cogliere gli insegnamenti che possono essere applicati, in una prospettiva di civiltà, alla vita quotidiana. Oppure ancora reagire a un panorama politico-sociale in cui, sempre più spesso, non vengono presi in considerazione prodotti che, per loro natura, non possono rientrare nella sfera del mercato. Trasmissione, pedagogia e analisi critica sono i principi che legano “ciò che è stato” a “ciò che sarà”, in cui il presente diventa l’occasione per attivare riflessioni, estrapolate dai momenti performativi e dai confronti teorici e, allo stesso tempo, traslabili al vissuto personale e sociale. Il titolo completo del festival “Tempi di Reazione” include “L’Intuizione fra musica, parola e danza”, riferendosi alla commistione di forme d’arte messe in campo per ogni serata (fra artisti che generalmente non lavorano insieme), in cui ognuno dovrà appunto fare i conti con il linguaggio dell’altro, con la possibilità, volendo, di appropriarsene. L’evento ha avuto luogo dal 5 al 9 dicembre 2018 presso la sede SPAM! e prevedeva per ogni serata un incontro preliminare per riflettere sull’argomento ‘improvvisazione’, fra gli interventi del coreografo e direttore artistico Roberto Castello e il confronto con la filosofia e la musicologia nelle “Conversazioni sul presente”, con gli studiosi Alessandro Bertinetto, Romano Gasparotti e Stefano Zenni. Cinque giornate, dunque, in cui l’improvvisazione si fa strada dai percorsi più diversi, con la partecipazione di danzatori quali Paola Bianchi, Alessandro Certini, Alessandra Moretti, Stefano Questorio, Giselda Ranieri, Teri Weikel e Charlotte Zerbey; attori/autori come Enrico Castellani e Andrea Cosentino; musicisti e cantanti come John De Leo, Eugenio Sanna, Edoardo Ricci e Tristan Honsinger. Per l’occasione l’attore Mariano Nieddu si è confrontato con la danza, in un dialogo con Alessandra Moretti; mentre l’unico che scivolava fluidamente attraverso ognuno dei linguaggi presentati è stato l’inarrestabile Julyen Hamilton, che si è destreggiato fra danza, vocalità, parola e musica.

Risulta particolarmente interessante riflettere sugli spunti suggeriti dal titolo della manifestazione: negli studi di psicologia i tempi di reazione sono stati analizzati per comprendere la distanza che intercorre tra uno stimolo ricevuto e la risposta che ne consegue. Nella seconda metà del XIX secolo lo scienziato Franciscus Donders arrivò a teorizzare che ogni soggetto reagisce con una tempistica diversa allo stesso stimolo, lo psicologo John E. Exner coniò il termine “tempo di reazione” spostando l’attenzione dalla sfera fisiologica a quella psicologica e, poco dopo, Carl Gustav Jung utilizzava questo metodo come una specie di test della verità. In questa prospettiva il titolo del festival restituisce in maniera esaustiva alcune delle componenti insite nell’improvvisazione: elaborazione, reazione e verità come un momento unico che risponde a se stesso mentre dialoga con l’esterno, in cui non è più possibile una separazione tra il progettare e l’agire. Il tempo è il principale alleato e avversario che si mette in gioco nell’improvvisazione, aderendo alla reazione come unica strategia possibile per cogliersi nell’attimo, in cui l’abbandono (che non vuol dire deconcentrazione) a quello che si potrebbe definire “istinto” trova il suo modo di essere. L’unica regola che vige all’interno di un momento d’improvvisazione è quella che segue l’intuizione, e in questo caso particolare quella che si contamina fra musica, parola e danza, come si evince dal sottotitolo del festival. Un’altra componente risulta fondamentalmente intrinseca, più come dato di fatto che come norma perseguibile, cioè l’impossibilità dell’errore. Se non ci sono regole precisamente ascrivibili alla pratica dell’improvvisazione non è possibile cogliere degli sbagli all’interno di essa e, in quanto tale, non è neanche direttamente riconducibile a termini di buona o cattiva riuscita. In queste circostanze non è possibile guardarsi indietro per modificare l’andamento delle cose, l’improvvisazione va avanti e non prevede occasioni di cancellazione, soltanto insegnamenti e accettazione. Sotto questa luce inizia a delinearsi più chiaramente il filo che congiunge questo tipo di pratica alla vita quotidiana: contingenza temporale, accettazione di quel che è passato e il crearsi sul/nel momento. Generalmente si arriva all’improvvisazione dopo un solido percorso di acquisizione tecnica, che si tratti di musica, danza o recitazione, per avere a disposizione più elementi possibili propri di ogni linguaggio e avere la possibilità (e la padronanza necessaria) di combinarli nei modi più inaspettati. D’altra parte, la stessa padronanza tecnica può essere un ostacolo alla componente istintuale che deve regnare nei momenti improvvisativi, senza che sia necessario abbandonare il proprio bagaglio di esperienze.

Nella serata inaugurale Roberto Castello racconta al pubblico il suo approccio da ventenne con l’improvvisazione, tornando alla sua formazione con Carolyn Carlson, il cui insegnamento migliore è stato quello di non ricercare l’esattezza dell’esecuzione, ma trovare un modo di «farlo e basta», con le relative implicazioni. Una simile situazione di fragilità dell’azione portava quasi all’imbarazzo, poiché, spiega Castello, era necessario assumersi la responsabilità di creare qualcosa senza avere la possibilità di correggersi, muovendosi fra l’opportunità e il pericolo. L’evento improvvisativo provoca uno stato d’allerta che riesce a conferire degli insegnamenti non ricavabili dallo studio e dalla teoria, e permette di applicare la sua essenza anche al resto della pratica, svincolando il performer dalla mera ripetizione e scoprendo gli strumenti che possono farlo agire «come se fosse sempre la prima volta». L’ambiguità dell’improvvisazione, la possibilità di rinunciare al controllo totale e l’abbandonarsi all’essere nel tempo ‒ all’essere tempestivi ‒ fanno ormai parte sia di questa pratica che dell’esistenza quotidiana. Inoltre, quando si parla di abbandono, non ci si riferisce a una totale perdita di controllo, ma ad un ascolto differente del pensiero corporeo, che può denunciare la sua condizione esistente e che l’improvvisazione/improvvisatore deve gestire, in cui la psiche entra in gioco per far collimare la scelta e il fare.

Per delineare una sorta di storia dell’improvvisazione sarebbe necessario avere a disposizione uno spazio da manuale e per quanto concerne le attività del festival potrebbe essere esaustivo, rispetto agli intenti, prendere come punto di riferimento, negli anni Settanta, la nascita della contact improvisation ad opera di Steve Paxton. Come pratica che, nella sua essenza, si avvicina il più possibile alla vita quotidiana, la contact improvisation nasce a seguito delle esperienze americane della Judson Church. L’intento di slegare le pratiche del movimento e della danza dagli scompartimenti stagni in cui la tradizione li aveva relegati ‒ nell’ottica di questi artisti ‒ portarono il gruppo ad avvicinare sempre di più l’arte alla vita, in cui indeterminazione e incontro risultano i minimi termini di creazione.

Un principio fondamentale che sta alla base della contact improvisation è l’incontro casuale fra due corpi e, per quel che concerne “Tempi di Reazione”, anche se i performer nella maggior parte dei casi non hanno un vero e proprio contatto fisico, il dialogo che si instaura sulla scena può essere riconducibile, alla lontana, agli intenti di Paxton; anche se risulta ancora difficoltoso descrivere esaustivamente gli eventi messi in atto nel corso del festival “Tempi di Reazione”.

Ad esempio la prima serata ha messo alla prova il radicalismo delle improvvisazioni jazz con l’arte dell’attore, due impronte recitative estremamente differenti. Il primo a mettersi in gioco è Andrea Cosentino che, attraverso la sua abilità fluida, è riuscito a non soccombere ai diversi personaggi scoppiettanti del musicista Eugenio Sanna. Il dialogo fra i due artisti si fa talmente serrato che sembra di assistere ad una battle d’improvvisazione fra jazz e vocalità, con un uso non convenzionale tanto degli strumenti quanto della voce. Cosentino, munito di tromba, innesta le sue intuizioni su quelle del musicista e non si lascia sovrastare dalla presenza estremamente dirompente di quest’ultimo, riuscendo a creare una dinamica curiosa e suggestiva di ascolto reciproco. Tutto un altro stile per il secondo momento performativo della serata, che vede lo stesso Eugenio Sanna alle prese con Enrico Castellani, o più che altro il contrario. In pieno stile Babilonia Teatri, Castellani inizia quello che pensava potesse essere un monologo, con tutta la profondità e la tensione che caratterizzano le sue esibizioni, non tenendo evidentemente sufficiente conto del carisma dirompente del suo “avversario”. Ci sono stati due momenti in cui l’incontro e il dialogo fra linguaggi differenti si è fatto notevolmente largo sulla scena, con un sentore quasi toccante: l’esibizione del danzatore Stefano Questorio con la vocalità di John De Leo e il movimento di Paola Bianchi con la musica delle varie trombe di Edoardo Ricci. Forse il termine non è propriamente esatto, ma l’energia scaturita da tali incontri ha segnato la scena, ha inciso qualcosa nel luogo in cui avveniva ed è riuscita a trascinare chi assisteva nella profondità comunicativa di queste performance. Notevole è stata anche la prova della danzatrice Giselda Ranieri, ma con un sentore differente: nel dialogo con la voce di John De Leo, la performer dà quasi l’impressione di sdoppiarsi fra la concentrazione del suo agire e l’ascolto dell’improvvisazione musicale del suo complice, trovando il modo di mettersi alla prova e di coniugare la profonda femminilità dei suoi movimenti con una fermezza altera dal gusto perturbante. Julyen Hamilton, la cui presenza si allarga come una eco in tutto lo spazio, coglie il momento per condividere col pubblico le emozioni della sua storia d’amore, indirizzata, più che ad una persona in particolare, alla sua stessa arte. I tre musicisti (Eugenio Sanna, Edoardo Ricci e Tristan Honsinger), una volta messi insieme, hanno creato una performance dirompente, comica e stravagante; poi l’incontro fra Alessandra Moretti e Mariano Nieddu, con Julyen Hamilton al pianoforte, era delineato con grande precisione, qualità tecnica e slanci comici d’effetto. Alessandro Certini si è calato in una danza silenziosa con Charlotte Zerbey, mentre una totale autonomia di linguaggi è stata offerta dal non incontro fra Teri Weikel e Edoardo Ricci, dando l’impressione che fosse solo la musica a cercare di seguire la danza.

«La forma è vacuità e la vacuità è forma» ha affermato significativamente il filosofo Romano Gasparotti: in questa prospettiva l’improvvisazione accetta la distanza fra la presenza dell’idea che viene prefigurata nella mente e la sua messa in pratica; sa che non è possibile concretizzarla, ma non si chiude e non si blocca, accetta che il “delimitato” possa delinearsi in corso d’opera. L’improvvisazione ‒ continua il filosofo ‒ riconcilia il pensare e il fare, cioè il «pensiero facente», che, come il respiro, non prevede nessuna opposizione nell’essere dentro e fuori dall’individuo, in un ciclo continuativo. E l’arte non può essere un’applicazione del linguaggio verbale, né delle sue strutture, ma ciò che nel momento mette all’opera un campo dinamico di forme sotto processi di metamorfosi, in una continuità che non può essere mai interrotta.

La rassegna a cura di ALDES è stata realizzata con il patrocinio della Provincia di Lucca e del Comune di Capannori, con il sostegno della Regione Toscana, della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e in collaborazione con Barga Jazz, Repulp, Comune di Lucca, Comune di Porcari e con la Fondazione Cavanis di Porcari.
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Bibliografia e Sitografia minima di riferimento:
Igor Pelgretti (a cura di), Improvvisazione, Annuario Kaiak n. 3, Mimesis, Milano-Udine 2018.
Alessandro Pontremoli, Storia della danza, dal Medioevo ai giorni nostri, Le Lettere, Firenze 2014.
La ricerca sui tempi di reazione, da TempiDiReazione stimoli acustici e visivi, URL: http://www.tempidireazione.com/research

Valeria Vannucci

Valeria Vannucci (Roma, 1993), studentessa appassionata di danza, teatro e arti performative, sia nell’aspetto pratico che di ricerca e teoria. Laureata in Storia della danza con una tesi intitolata Le metamorfosi di Vaslav Nižinskij: tra persona e personaggi, relatori Professor Vito Di Bernardi e Professoressa Annamaria Corea, corso di laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo presso “Università degli Studi La Sapienza” di Roma. Studentessa presso il corso di laurea magistrale in Teatro, Cinema, Danza e Arti Digitali della Sapienza. Profonda conoscenza della tecnica classica accademica, di tecniche e metodi relativi alla danza contemporanea. Ha svolto uno stage extracurricolare presso il Balletto di Roma nel 2016. Redattrice per la rivista di critica teatrale Le Nottole. Vince il bando della Biennale di Venezia 2018 Scrivere in residenza del settore Danza per la redazione di un saggio personale, intitolato Tersicore bendata: eros alla Biennale Danza di Venezia.