Che cosa comunica il comunicare?

di Vincenzo Cuomo

ph Nicola Tanzini

Il comunicare comunica (innanzitutto) il suo medium

Comincio dall’assunzione di una famosa tesi di McLuhan, ma generalizzandola. Nella comunicazione, “in generale” – quindi non solo nell’ambito delle comunicazioni “umane”, ma, come dirò fra poco, nell’ambito delle comunicazioni tra “ogni cosa che esiste” – ciò che è innanzitutto comunicato è il medium stesso della comunicazione. E, dal momento che i media, come sosteneva McLuhan, funzionano sempre almeno in coppia, ciò che il comunicare comunica è innanzitutto la coppia di media “utilizzati” per veicolare dei messaggi. Ad esempio, io, per rispondere alla domanda “Che cosa comunica il comunicare?”, sto “utilizzando” due media: la scrittura alfabetica e un programma informatico di video-scrittura.
Ma che cosa significa “utilizzare” un medium? Significa forse che un Soggetto, per comunicare un determinato messaggio, possa indifferentemente utilizzare un qualsiasi medium? No. Significa che, per comunicare attraverso un medium, qualsiasi soggetto deve “adattarsi” alle modalità di comunicazione iscritte nel medium. Io non potrei mai guidare un’automobile se non fossi in grado di adattarmi alla sua tecno-logica, divenendo, in qualche modo, io stesso un servomeccanismo dell’auto. Questa tesi (mcluhaniana) sembra un’iperbole. Ma basta ricordare quante volte (troppe) la nostra auto abbia condizionato pesantemente le “nostre” scelte di vita, per cominciare seriamente a dubitare della nostra libertà d’azione.
McLuhan sosteneva che l’introduzione di ogni nuovo medium inducesse sempre un «mutamento di proporzioni, di ritmo o di schemi […] nei rapporti umani» (McLuhan 1977, p. 12). A questa tesi bisognerebbe aggiungere che i media, comunicando innanzitutto se stessi, comunicano sempre anche una certa “temperatura” di comunicazione, vale a dire una certa modulazione dell’energia: essi sono tendenzialmente “freddi” o “caldi”; sono freddi quando l’energia che passa attraverso di essi viene “ritardata”; caldi, invece, quando i flussi energetici vengono favoriti. Per tale ragione essi possono essere “distanzianti” (raffreddanti), come è il caso paradigmatico della scrittura alfabetica, oppure possono essere “eccitanti” (Cuomo 2014 e 2017), come è il caso di ciò che McLuhan chiamava “media elettrici”.

 

Media-protesi e i media-interfaccia.

Non tutti i media sono “protesi” del corpo umano oppure dei suoi organi di senso, come erroneamente riteneva McLuhan. Ci sono, infatti, gli “strumenti”, che sono effettivamente protesi del corpo umano (Leroi-Gourhan 1977); ci sono poi i media “della comunicazione e dell’espressione” – che sono quelli che qui forse ci interessano di più – che devono essere intesi come protesi estroflesse (ma niente affatto “indipendenti”) sia del sensorio umano che della facoltà dell’immaginazione; infine ci sono i media-interfaccia – si pensi alle periferiche interattive di un computer – che sono strumenti attraverso i quali è possibile interagire innanzitutto con le macchine informatiche e, tramite esse, con le macchine in generale. Le interfacce uomo-macchina non sono né protesi umane né protesi macchiniche in senso proprio. Sono entrambe le cose contemporaneamente dovremmo dire. Il loro essere sfugge, infatti, alla distinzione umanistica e antropocentrica tra uomo e strumenti. Sottolineo il termine “distinzione” e non “partizione” perché, in effetti, dal punto di vista ontologico, non c’è alcun dissidio tra uomo e tecnica protesica (o strumentale in senso stretto), ma perfetta corrispondenza e integrazione. L’umanizzazione non sarebbe stata possibile senza la co-evoluzione tra l’uomo e gli strumenti. Diversamente è accaduto e accade relativamente alla relazione tra l’umano e la tecnica macchinica. In questo caso il dissidio è reale e manifesto. Si tratta di una ri-proposta dell’antichissimo dissidio tra i gruppi umani primitivi e le potenze “automatiche” della natura. Tuttavia, attraverso le interfacce (i media-interfaccia), noi, in quanto umani, siamo in grado di interagire con la sempre più “automatica” potenza delle macchine. Ma in questo caso dovremmo forse parlare di “ibridazione” e di “evoluzione a-parallela” (Deleuze – Guattari 2017), non priva di rischi e per niente pacificante.
Riprendo a questo punto la domanda “che cosa comunica la comunicazione?” e la trasformo nella seguente: “che cosa comunica il nostro comunicare attraverso le interfacce?”.
La risposta “secca” potrebbe essere di nuovo: comunica il medium. Tuttavia, in questo caso non ci troviamo più di fronte ad “un” medium, ma a degli iper-media (pensiamo a tutti i dispositivi “smart” che utilizziamo quotidianamente), a loro volta connessi o connettibili tra loro. Quindi, per farla breve, ciò che le interfacce comunicano è innanzitutto il loro essere parti di un intero che non è in grado mai di totalizzarsi. Parti la cui somma è più dell’intero (la “rete”) di cui sono parti (cfr. Morton 2016).


L’incomunicabile e la danza delle cose.

Nella tele-comunicazione planetaria in cui siamo immersi, ciò che si manifesta, e che in qualche modo viene comunicato, è immensamente meno di quel che si nasconde e che non appare, né viene comunicato. Il problema non riguarda solo il cosiddetto deep web, che, come la parte non visibile di un iceberg, è letteralmente fuori della visibilità della rete (web), pur essendo dentro Internet. Ciò che si nasconde all’apparire nel web e al web, ha la medesima struttura di ciò che si nasconde nelle comunicazioni umane più “im-mediate”, che ha la medesima struttura di ciò che, di noi stessi, si nasconde a noi stessi e di ciò che degli altri (di qualsiasi altro, non solo umano) si nasconde a noi e agli altri. Ciò che si nasconde, differendo dall’apparire, è l’essere dell’apparire; ogni “cosa che è” non appare mai del tutto; in ogni cosa che è – come teorizzato recentemente da Timothy Morton (Morton 2016) – si dà un irriducibile loop tra essere e apparire.
Tutte le cose che esistono, sostiene Morton, sono avviluppate in un loop costitutivo tra l’essere e l’apparire che, tuttavia, non ha origine nell’essere ma nell’apparire che, nella sua contingenza, si sdoppia continuamente tra apparire e essere, laddove, tuttavia, l’essere è ciò che non-appare nell’apparire, ma solo perché l’apparire è segnato dalla parzialità: l’essere è ciò che non-appare, nella cosa e alla cosa, perché tutto ciò che è, qualsiasi cosa, esiste in un’apertura determinata e parziale all’ambiente in cui (e grazie a cui) esiste. Non è mai possibile un disvelamento completo delle condizioni/cause dell’esistere di qualcosa. Le cose, tutte, sono incomplete e inconsistenti, afferma Morton, il che significa che sono co-esistenti, proprio in ragione della loro incompletezza.
La forma a loop, in ragione della quale ogni cosa “esiste” – dalle particelle sub-atomiche agli iper-oggetti (quali la “specie umana” oppure “il riscaldamento globale”), dalle ali iridiscenti delle farfalle alle idee che ci sfrullano in testa –, è la causa dell’irriducibile oscillazione e confusione “nelle” cose e “tra” le cose; oscillazione che rende i confini di ciascuna di esse fluttuanti e, per così dire (e in aperta trasgressione del principio di non-contraddizione), nello stesso tempo appartenenti e non-appartenenti ad esse.
Secondo tale teoria eco-ontologica il loop tra essere e apparire di ogni cosa, che caratterizza anche gli stessi media e iper-media della comunicazione, è “irriducibile” e “senza scopo”, insensato. È una danza fine a se stessa, in base alla quale ciascuna cosa fa i conti con la propria finitezza e contingenza.
Ecco, ciò che, in generale, ogni cosa comunica, nel comunicare, è la propria finita e mortale danzosità.

 

Bibliografia minima di riferimento

1. Cuomo 2014: V. Cuomo, Eccitazioni mediali. Forme di vita e poetiche non simboliche, Kaiak Edizioni, Tricase 2014.
2. Cuomo 2017: V. Cuomo, Una cartografia della tecno-arte. Il campo del non simbolico, Cronopio, Napoli 2017.
3. Deleuze: Guattari 2017: G. Deleuze – F. Guattari, Millepiani. Capitalismo e schizofrenia II, a cura di P. Vignola, Orthotes, Nocera Inferiore 2017.
4. Leroi-Gourhan 1977: A. Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola, trad. it., Einaudi, Torino 1977.
5. McLuhan 1977: M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, trad. it., Garzanti, Milano 1977.
6. Morton 2016: T. Morton, Dark Ecology. For a logic of Future Coexistence, Columbia University Press, New York 2016.

 

 

Vincenzo Cuomo

Vincenzo Cuomo (Torre Annunziata 1955) si occupa da molti anni di estetica e di filosofia della tecnica, anche in collaborazione con alcune Università italiane (Salerno, Napoli) e Accademie (NABA di Milano, Accademia di Belle Arti di Napoli). È direttore della rivista Kaiak. A Philosophical Journey (www.kaiak-pj.it), docente a contratto di Estetica dei nuovi media presso l’Accademia di belle arti di Napoli e membro della “Società Italiana di Estetica”. Tra le sue pubblicazioni: Le parole della voce. Lineamenti di una filosofia della phoné (Edisud, Salerno 1998); Del corpo impersonale. Saggi di estetica dei media e di filosofia della tecnica (Liguori, Napoli 2004); Al di là della casa dell’essere. Una cartografia della vita estetica a venire (Aracne, Roma 2007); Figure della singolarità. Adorno, Kracauer, Lacan, Artaud, Bene (Mimesis, Milano 2009); C’è dell’io in questo mondo? Per un’estetica non simbolica (Aracne, Roma 2012); Eccitazioni mediali. Forme di vita e poetiche non simboliche (Kaiak edizioni, Tricase 2014); Una cartografia della tecno-arte. Il campo del non simbolico (Cronopio, Napoli 2017).