L’artivista arlecchino: Giacomo Verde critico teatrale

di Igor Vazzaz

Giacomo Verde durante l’Happening “Svendite”, ideato con l’Officina Dada Boom, corteo “Viareggio non si vende” (2016). Foto di Alessandro Giannetti / DADA Boom https://dadaboom.org

Scorrendo la gran copia di tracce, documenti, reperti a testimoniare la carriera artistica di Giacomo Verde, c’è da rimanere sorpresi, e divertiti. Tutt’altro che vocato all’ostensione di (o del) sé, Giac non era avaro di aneddoti, se il contesto lo trovava a proprio agio. In tali circostanze, con fare sornione e contagioso umorismo, era uso spiazzare chi lo ascoltava, illustrando l’ennesimo rivolo, poco o nient’affatto noto, di una rapsodica vita d’artista che sarà interessante, doveroso, ma non facile ricostruire in modo compiuto. Il libro di Silvana Vassallo (Giacomo Verde videoartivista, Pisa, ETS, 2018) e il volume da egli stesso firmato (Artivismo tecnologico, Pisa, BFS, 2007) offrono vari spunti d’interesse in questa direzione, e consentono di saldare le poliedriche dimensioni del teknoartivista a quelle del Giacomo Verde meno conosciuto, ma che ci sembra meritevole d’uno specifico approfondimento: il critico e cronista teatrale.

Tra la fine del 2014 e l’inizio dell’anno successivo, Verde partecipa attivamente alla fondazione di lo sguardo di Arlecchino, testata web che già dal sottotitolo esplicita finalità e intenzioni: Elettrorivista (a)periodica di ciarlatanerie teatrali. I promotori (tra cui il sottoscritto) sono risoluti nel dare vita a una realtà piratesca, libera, scanzonata, che sappia raccontare in modo originale l’attività dei teatri del nord Toscana. Il riferimento ad Arlecchino è di fondamentale pregnanza, poiché rappresenta metonimicamente sia l’oggetto principale della rivista (il teatro) sia l’atteggiamento che questa avrà nel parlarne, mutuando dalla celebre maschera le caratteristiche attitudinali. Alla firma anonima l’Arlecchino, impiegata per interventi di tipo editoriale, viene associata una pungente descrizione: «È un semplicione balordo, un servitore furfante, sempre allegro. Ma guarda che cosa si nasconde dietro la maschera! Un mago potente, un incantatore, uno stregone. Di più: egli è il rappresentante delle forze infernali».
Nella fase di progettazione, il contributo di Verde è centrale: di suo pugno gran parte della creatività grafica (a partire dal logo), là dove il clima antigerarchico e di partecipazione democratica, aspetti fermamente condivisi da tutto il nucleo fondatore, rispecchia a pieno la poetica e la pratica del suo percorso artistico. A proposito del Giacomo Verde didatta, Vassallo parla di «condivisione, complicità, azzeramento delle gerarchie» e di una dimensione «molto poco accademica (…), ma profondamente “educativa” per l’attitudine dialogica che la informa» (1). Tutti elementi relazionali fondanti per lo sguardo di Arlecchino, così come la ripresa di forme d’irriverenza riconducibili alle avanguardie storiche, tratti che Sandra Lischi riscontra nell’arte di Verde (2) e che la rivista mutua direttamente da testi futuristi sottoposti a oculata manipolazione: prologo e manifesto, contributi collettivi che esprimono la poetica della testata, contengono palmari interpolazioni di scritti marinettiani. Ed è curioso, ma tutt’altro che casuale, notare come, nello stesso periodo della fondazione di lo sguardo di Arlecchino, Verde prende parte al Collettivo Dada Boom! di Viareggio, esperienza artistica e umana assolutamente centrale dei suoi ultimi anni di vita, e anch’essa dichiaratamente ispirata a un ismo primonovecentesco, il movimento di Tristan Tzara.

L’ottica di decentramento produttivo (ne dà conto Anna Maria Monteverdi (3) ) è tratto precipuo dell’impegno di Verde anche in veste arlecchina: come critico e documentatore si mette a infatti disposizione nel tentativo di «fondere l’esperienza estetica con la pratica comunicativa dell’arte» (4). Analogamente, l’atteggiamento hacker, consapevole posizione di sfida e sperimentazione rispetto ai dispositivi tecnologici da impiegare in modo creativo e alternativo rispetto all’ortodossia dei “manuali d’istruzione”, permea per intero l’attitudine con cui Verde esercita la propria funzione critica: sia come maniera d’intendere il ruolo di una voce sul web sia nel rapporto con la scrittura vera e propria, forma praticata più per necessità contingente che per vocazione, redigendo comunque articoli di mirabile profondità. È il caso di Servillo ‘o mattatore, penetrante resoconto del recital Servillo legge Napoli, o Su video e identità in MDLSX di Motus, esemplare contributo in cui l’occhio esperto del teknoartivista fornisce inediti spunti circa uno spettacolo ad alto gradiente visuale e tecnologico notevolmente apprezzato da parte di pubblico e critica specializzata. Illustrando il “funzionamento” del lavoro e il significativo ruolo giocato dal video, Verde annota: «È singolare che in uno spettacolo che parla di una crisi di identità, che vuole mettere in discussione i confini della suddivisione in generi sessuali, e che dovrebbe segnalare il diritto alla diversità di ogni singola persona, si utilizzi l’occhio collettivo e dogmatico del video come prova di realtà. Come messaggero di verità». L’analisi prosegue, accurata, sino a chiosare: «Per questo trovo “distraente” affidare al video, specialmente in uno spettacolo come questo, il compito di confermare, documentare, il diritto all’esistenza di una diversa identità. Perché il risultato finale che si rischia di ottenere è una parodia addirittura controproducente, che riconosce come valore positivo, come dato di fatto inconfutabile, lo spropositato valore identitario dato all’immagine, e che questo sia naturale e quindi non modificabile. Come i modelli precostituiti che ci vengono imposti». Qui, come negli altri scritti di Giac, a colpire è l’estrema pulizia, la lineare capacità di cogliere i tratti salienti dello spettacolo, abbinando al resoconto scenico una ficcante analisi dei suoi moventi: lo sguardo d’artista, anziché indebolire la funzione critica, le offre un perno, certo personale, in grado però di impreziosirne gli esiti. Riprendendo i termini dell’annosa riflessione sul rapporto tra critico e artista, nel caso del Verde arlecchino tra i due poli è possibile individuare una relazione d’ineccepibile e tutt’altro che ambigua contiguità, al punto da ribaltare la tesi, paradossale quanto sensata, di Oscar Wilde: «un artista davvero grande non potrà mai giudicare le opere degli altri, e a malapena potrà giudicare la propria. La stessa visione concentrata che fa di un uomo un artista, con la sua pura intensità limita la facoltà di corretto apprezzamento» (5). Gli articoli di Verde, nella loro fattura, nella loro prosa concreta e scientemente mai sovra-elaborata, sembrano inserirsi a pieno titolo nel novero delle oper’azioni, espressione con cui sovente egli indica le proprie opere, a sottolineare come lo scopo primario di queste non sia tanto la «produzione di oggetti», quanto «suscitare nel fruitore atteggiamenti critici rispetto alle questioni affrontate» (6). Un’arte concreta, non baudelairaniamente albatrosiana, aperta ma non per questo poco rigorosa, che parrebbe recuperare la propria origine etimologica greco-romana di saper fare.
Caleidoscopico e polifonico nella multiformità dei mezzi espressivi sperimentati, Giac, anche nelle inusuali vesti del cronista scenico, lascia tracce tangibili d’una paradossale e indiscutibile solidità, la stessa che ne ha contraddistinto il percorso artistico, a coniugare artigianato e tecnologia, teoria e pratica, rigore e gentilezza, umanità e disumana utopia.
Parafrasando il suo ultimo messaggio: sentiamo di essere fortunati ad aver condiviso il suo stesso spazio-tempo e, danzando in qualche modo, faremo scoppiare un petardo per lui.
Anzi: per te.



Riferimenti:

Silvana Vassallo (a cura di), Giacomo Verde videoartivista, Pisa, ETS, 2018
Giacomo Verde, Artivismo tecnologico, Pisa, BFS, 2007
lo sguardo di Arlecchino – Elettrorivista (a)periodica di ciarlatanerie teatrali
– Oscar Wilde, Il critico come artista, in ID, Opere complete, a cura di Masolino D’Amico, Roma, Newton Compton, pp. 974-1014, consultabile in originale: Oscar Wilde, The Critic as Artist, electronic edition compiled and proof-read by Margaret Lantry, University College, Cork, Ireland

 

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1. Silvana Vassallo, Prefazione in Silvana Vassallo, Giacomo Verde videoartivista, cit., p. 8.
2. Cfr. Sandra Lischi, Dal vivo: il gesto di Giacomo Verde in Silvana Vassallo, Giacomo Verde videoartivista, cit., pp. 11-16.
3. Cfr- Anna Maria Monteverdi, Del teatro di figura tecnologico in Silvana Vassallo, Giacomo Verde videoartivista, cit., pp. 33-46.
4. Ivi, p. 33.
5. Oscar Wilde, Il critico come artista, in ID, Opere complete, Roma, Newton Compton, p. 1010.
6. Cfr. Silvana Vassallo, Oper’azioni artistiche in Silvana Vassallo, Giacomo Verde videoartivista, cit., p. 77

 

 

Igor Vazzaz

Toscofriulano, rockstar egonauta e maestro di vita, si occupa di teatro, sport, musica, enogastronomia. Scrive, suona, insegna, disimpara e, talvolta, pubblica libri o dischi. Il suo cane è pazzo.

(Critico teatrale prestato alla musica (e viceversa), si alterna tra il primo ambito, principalmente grazie alla rivista di cui è tra i fondatori lo sguardo di Arlecchino, e l’altro, negli ultimi anni con La Serpe d’Oro, gruppo e progetto dedicato alla canzone popolare toscana. 
Docente a contratto presso l’Università di Pisa, l’ateneo dove si è formato compiendo studi d’area teatrale, è autore di libri dedicati alla serialità televisiva e alle arti sceniche contemporanee, con particolare interesse alla comicità toscana (da segnalare “Cioni Mario…” di Bertolucci-Benigni per Roberto Benigni, Pisa, ETS, 2017 e Comicità negli anni Settanta. Percorsi eccentrici di una metamorfosi tra teatro e media, Pisa, ETS, 2005, curato con Eva Marinai e Sara Poeta), dal 2005 collabora con riviste locali e nazionali (Giudizio Universale, Il Turismo Culturale, Possibilia, Art’o) scrivendo di arti sceniche, musica, enogastonomia e sport.
Tiene abitualmente laboratori di critica teatrale e di formazione del pubblico.
A partire dal 2014 collabora con l’attore e poeta ticinese Daniele Bernardi, col quale ha realizzato lo spettacolo Io, Pierre Rivière, avendo sgozzato mia madre, mia sorella e mio fratello…, andato in scena nel 2016 e selezionato tra gli spettacoli elvetici dell’anno).