La magia low tech dei Teleracconti di Giacomo Verde

di Valentina Valentini

fotogramma video tratto da un Teleracconto di Giacomo Verde

Che la tecnologia produca oralità, McLuhan l’aveva ampiamente affermato (predominio del flusso, del sensoriale sul discreto e lineare come la scrittura e il montaggio), evidenziando anche i tratti di questa nuova oralità (dissimile certamente da quella delle culture contadine) che è memoria sempre attiva, mai meccanica, in body, nel senso che il soggetto incorpora nei propri ritmi corporei gli input elettronici non come protesi del corpo, ma come una memoria inscritta nel corpo.

La consapevolezza che le tecnologie digitali non siano in funzione della riproducibilità, ma dell’irripetibilità dell’esperienza estetica, insieme al fatto che tale dimensione di liveness dei media digitali favorisca esperienze partecipative, comunicative e relazionali, ha impiegato del tempo a diventare un dato acquisito. Già prima degli anni Novanta, Studio Azzurro aveva messo in chiaro questo tratto, sperimentando felicemente la qualità evenemenziale del dispositivo elettronico: nel 1986, al teatro La Piramide a Roma, con Prologo a diario segreto contraffatto e poi a Kassel con La camera astratta (1987), in cui l’immagine che appariva sui monitor schierati sul palcoscenico non era pre-registrata, ma presenza fisica in tempo reale degli attori, ripresi nel backstage e poi altrettanto reali, sul palco. Corpo e immagine erano interscambiabili. Il dispositivo elettronico condivideva con il medium teatro la dimensione evenemenziale che si riconosceva come il tratto proprio dei media elettronici e digitali. Ciò significa che la riproduzione, l’imbalsamazione di ciò che è vivo e irripetibile, non è il tratto unilateralmente caratterizzante le nuove tecnologie, accanto se ne riscontra un altro, che è quello del produrre istantaneo e istantaneamente fruire. L’immediatezza del digitale, è una unicità spendibile qui e ora, si confonde con il gesto quotidiano, mantiene la vertigine dell’istante irripetibile e nello stesso tempo il calcolo che quell’istante si può catturare. Solo a chi non ha famigliarità con le nuove tecnologie, esse appaiono come fissazione, duplicazione – conservazione, durata irreversibile: di fatto producono oralità e non scrittura, effimero e non persistenza.

Questo prologo è funzionale a introdurre i Teleracconti di Giacomo Verde su cui vorrei concentrare l’attenzione, all’interno della sua vasta attività produttiva: il piacere di narrare delle favole conosciute, riadattando la sua precedente pratica di cantastorie di teatro di strada, si integra con quella – successiva – di controinformazione con la videocamera (esperienza portata avanti con la Banda Magnetica di Bologna). Nei Teleracconti (cui ho assistito in una edizione del Festival di Santarcangelo), Giacomo Verde mette in opera il parametro base del dispositivo elettronico: il tempo reale, fondamento della sua esaltante coincidenza con la liveness della scena teatrale, fatta di spazi, azioni, figure. Esemplarmente porta a sintesi i due media che ha sperimentato e frequentato, il teatro di strada e la controinformazione, entrambi un modo efficace di raccontare storie diverse sul mondo.

Nei Teleracconti riprende piccoli oggetti molto da vicino che in tempo reale appaiono sul monitor che così diventa un teatro di marionette in cui contemporaneamente si vedono immagini, si ascoltano racconti e si mostra il procedimento in tempo reale: «Le immagini o le ‘azioni tecnologiche’ devono essere prodotte in tempo reale in modo da rispecchiare l’umore, il ritmo e la qualità della serata così come vengono generati dall’incontro tra gli attori e il pubblico. La tecnologia deve essere un mezzo che amplifica il contatto, il tempo reale, e non una gabbia che detta regole e ritmi immutabili, altrimenti non è possibile usarla per fare teatro».

In questo senso le favole che racconta sono controfavole: Hansel e Gretel si perdono in un bosco che sono le dita della mano, la casa della strega è un cracker smangiucchiato sul quale è tracciata la sagoma di una casetta, il guscio di una noce ripreso in macro, il volto della strega, un pomodoro, un sole accecante. La sirenetta è fatta di un paesaggio subacqueo in cui oggetti colorati navigano in due bicchieri con Le cosmicomiche di Calvino, il monitor/schermo diventa una superficie pittorica e il racconto di Giuliano Scabia, Consumazione obbligatoria, è risolto con una tavola apparecchiata dove le forchette e i coltelli sono i personaggi, mentre dell’Odissea si seleziona l’episodio di Polifemo, restituito da un occhio che assomiglia a un bottone e da una bocca.

Entrambe le scene, quella concreta e quella virtuale in immagine su schermo, sono mostrate: quella materiale è data da un piano illuminato da una lampada con la telecamera che inquadra gli oggetti minuscoli che il manovratore manipola mentre drammatizza la favola con la voce, e quella costituita dal monitor sul quale compaiono trasfigurati in immagine gli attrezzi di scena ripresi dalla telecamera. La simultaneità di avere di fronte il set e nello stesso tempo le immagini riprese, pone a chi guarda – lo spettatore – il problema di decidere come e cosa guardare. Come succede anche nel teatro di marionette, nei Teleracconti il manovratore è visibile, il suo operare non avviene nel backstage, ma sulla scena che si dispiega doppia, con il concreto manipolare sotto la lente della videocamera che registra e trasmette direttamente sullo schermo del monitor. Riportiamo l’osservazione di Giacomo Verde in merito: «La Vista è uno dei sensi più facilmente ingannevoli. Quando non si riesce a capire di ‘cosa si tratta’ bisogna metterci mano, e allora il potere dell’illusione diminuisce fino anche a sparire. In un momento dominato sempre più dall’intoccabile e immaterialità delle immagini, si rende necessario fare esperienze tattili ed esperienze di dialogo cercando di eliminare il diaframma tra l’arte e la non arte, tra il vedere e il toccare, tra il dire e il fare»i .

Infatti la preoccupazione rispetto al pericolo di desensualizzazione e spossessamento nei confronti del reale per Giacomo Verde, come per Studio Azzurro e Bill Viola, è una motivazione profonda, uno stimolo alla sperimentazione e un’attitudine etica: lavorare in controtendenza rispetto all’indifferenziato flusso di immagini comporta svelare il processo di produzione di una immagine sulla quale concentrare l’attenzione. C’è bisogno che ci sia un soggetto che stabilisca un contatto con essa. Il formarsi dell’immagine dipende dunque da un’azione che coinvolge il tatto, non solo la vista, per cui la sua messa in forma è lenta, bassa la sua definizione, incerti i suoi contorni e magica la sua trasformazione da oggetto concreto a immagine che lo defunzionalizza al punto di creare altri mondi cromatici, fatti di forme e figure fantastiche. L’immagine che si produce davanti agli occhi dello spettatore è frutto di un’attività e non di una condizione naturale della realtà mediatica. La sirenetta, Hansel e Gretel sono racconti che si svolgono nel tempo e nello spazio e lo spettatore è soggetto dell’attività (ludica, relazionale, collettiva), rimette in moto le immagini e le fa rivivere. L’aspetto affascinante dei Teleracconti è dato dalla dimensione magica della tecnologia low tech, non tanto dal fatto che smitizzano e decostruiscono l’inautenticità dell’immagine televisiva, quanto dalla capacità di creare un mondo fantastico, non figurativo, accennato, fatto di dettagli. La dimensione “straniante” è affidata allo svelare ed evidenziare il processo di costruzione dell’immagine, che non viene nascosto agli spettatori, anzi mostrando ambedue le scene viene interrotto quel rapporto di continuità costruito tra immagine e realtà che era un dato fondamentale per Giacomo Verde. Scegliere quindi cosa guardare, è la tensione che i Teleracconti propongono allo spettatore, trascorrere dall’una all’altra scena in modo che l’una – godere della magia delle immagini – non affievolisca l’altra.

Sul lavoro di Giacomo Verde si è sovraimpressa una superfetazione ideologica che ha ostacolato l’irraggiamento della sua pratica verso relazioni e connessioni con altri artisti e operatività coeve o passate, superfetazione che sarebbe opportuno incominciare a diradare.

 

 

Valentina Valentini

Valentina Valentini insegna arti performative e arti elettroniche e digitali, Sapienza Università di Roma. Ha dedicato vari studi storici e teorici al teatro del Novecento: Teatro contemporaneo 1989-2019 ( Carocci, 2020), Nuovo teatro Made in Italy ( Bulzoni,2015), pubblicato in inglese da Routledge (New Theater in Italy: 1963-2013) e il relativo sito web: https://nuovoteatromadeinitaly.sciami.com; Drammaturgie sonore (Bulzoni, 2012), Mondi, corpi, materie. Teatri del secondo Novecento (B. Mondadori, 2007 in inglese pubblicato da Performance Research Books, 2014), Dopo il teatro moderno (Politi,1989), Il poema visibile. Le prime messe in scena delle tragedie di Gabriele D’Annunzio (Bulzoni,1993), La tragedia moderna e mediterranea (Angeli, 1991); alle interferenze fra teatro e nuovi media (Teatro in immagine, Bulzoni, 1987) e alle arti elettroniche (Medium senza Medium, Bulzoni 2015; Le pratiche e Le storie del video, Bulzoni, 2003). Pubblica su riviste nazionali e internazionali (Performance Research, PAJ, Biblioteca Teatrale, Close Up, Arabeschi).
Ha diretto il Centro Teatro Ateneo, centro di ricerca sullo spettacolo, Sapienza, Università di Roma dal 2011 al 2015. E’ responsabile del network www.sciami.com. Responsabile scientifica del progetto Incommon, vincitore del bando ERC 2015.

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