Un artista caparbio, ostinato e contrario

di Roberto Castello

La Bandamagnaetica, foto di Andrea Fabbri Cossarini (1986)

Ho conosciuto Giacomo Verde negli anni Novanta e da lì in poi abbiamo fatto un sacco di cose, siamo diventati amici e abbiamo riso molto. Non abbiamo mai fatto vacanze insieme ma, al di fuori dei miei famigliari più stretti, è senza dubbio la persona con cui ho passato più feste comandate – quelle che tutti di solito passano con le loro famiglie – ed è certamente l’amico che più ho sentito e visto negli ultimi anni. Qualche settimana fa Giacomo, per usare una sua espressione, “ha bucato le nuvole” e con Graziano Graziani, che dirige queste pagine, abbiamo pensato di dedicargli un numero speciale di 93% – materiali per una politica non verbale.

In queste settimane sono usciti molti articoli e sono state realizzate iniziative che ne ricostruiscono con cura e affetto la vastissima ed eclettica produzione non solo artistica. Questo numero speciale vuole essere un piccolo contributo in tal senso, raccogliendo i contributi di persone con cui Giacomo Verde ha condiviso alcuni tratti del suo percorso: Renzo Boldrini e Carlo Infante, con cui ha condiviso l’esperienza del “teleracconto”; Lello Voce, con cui ha avuto una lunga collaborazione videopoetica; Fabio Cirifino di Studio Azzurro, con cui ha vissuto gli anni Novanta della video arte; Annamaria Monteverdi, che con Giacomo ha condiviso un figlio e svariati progetti; Igor Vazzaz, che con lui ha creato un progetto di critica teatrale online, «Lo sguardo di Arlecchino»; Ermanna Montanari e Marco Martinelli del Teatro delle Albe, con cui ha collaborato artisticamente, sempre negli anni Novanta. Ai loro contributi si aggiungono quelli di alcuni studiosi che hanno seguito diverse fasi del percorso di Giacomo: Massimo Marino, che parla degli anni Ottanta del teatro di strada; Valentina Valentini che racconta gli anni della video e della tekno arte; Dalila D’Amico, che appartiene a una generazione più giovane e riflette dunque sulla parabola di Giacomo Verde in una prospettiva storica. Infine Graziano Graziani interviene con una riflessione sulla sua ultima opera teatrale, il Piccolo Diario dei Malanni + D., spettacolo che, benché pronto da gennaio 2019, non ha mai avuto un vero debutto.

Ancora a fine gennaio scorso, a un anno di distanza, Giacomo mi chiedeva quando saremmo riusciti ad organizzare per il Piccolo diario un debutto come Dio comanda. Camminava ormai molto male, si imbottiva di antidolorifici, eseguire la danza finale gli costava dolori e grandissima fatica, ma una delle cose a cui ancora più teneva era che un festival o un’istituzionale teatrale importanti, almeno alla fine del suo cammino, ne riconoscesse il valore ospitando il suo testamento artistico. Nonostante il lavoro fosse minuscolo e avesse costi risibili, se ne è andato senza avere questa soddisfazione.

Sicuramente avrei dovuto fare di più, ma altrettanto certamente non ho fatto poco, per aiutare Giacomo, che da molto tempo era troppo malato per avere energie e voglia di autopromuoversi. Abbiamo contattato direttori artistici di festival e teatri, molti dei quali amici o conoscenti di Giacomo o miei, ma non c’è stato verso. Nonostante non facessi mistero della particolarità della situazione, non siamo riusciti a trovare nulla. Giacomo era fuori dal cono di visibilità della comunicazione di settore e ancor più di quella non di settore. Non era un giovane promettente o un artista affermato, ma un outsider ultrasessantenne caparbio che, per quanto dolcissimo e divertente, era evidentemente malato. A rendere la proposta ancora meno seducente c’era l’argomento: la propria malattia. Chi ha voglia di andare a teatro a sentire un malato terminale parlare di malattia? Non ha avuto alcun esito il mio dire e ripetere che si trattava di un lavoro di grande valore, assolutamente unico e originale, del tutto privo di melensaggini e autocommiserazione; un lavoro di disarmante semplicità, lontanissimo tanto dalla banalità formale del teatro, quanto da quella concettuale della performance. Uno spettacolo in cui realtà e rappresentazione si intrecciano dando vita a qualcosa di unico che imprevedibilmente conduce alla catarsi.

A parziale risarcimento di questa disattenzione del mondo del teatro “ufficiale” è arrivata, all’indomani della sua morte, e in pieno lockdown per il Covid che ha imposto la chiusura delle sale teatrali, la programmazione del video de Il piccolo diario dei malanni sui social del Teatro di Roma (con Corsetti, da poco insediato, era in corso un ragionamento sul possibile inserimento dello spettacolo nella stagione del Teatro Torlonia). Ma questo riconoscimento postumo non cambia la sostanziale invisibilità del suo lavoro. Non c’è quasi niente di “giusto” ne Il piccolo diario dei malanni, non è un’opera potente, ben confezionata e di grande professionalità. È un lavoro piccolo, un po’ stortignaccolo, fragile, fuori formato e per certi aspetti un po’ approssimativo, ma proprio per questo è forse il lavoro teatrale più profondamente sincero, onesto, e quindi in definitiva più umano, che io abbia mai avuto modo di vedere. Non lo dico per circostanza o per l’affetto che ho per Giacomo. Nel piccolo diario c’è la saggezza che aveva trovato nel corso della lunga malattia: uno sguardo leggero, divertito, mesto e sereno al tempo stesso, possibile solo a chi è riuscito a trasformare le sconfitte e gli insuccessi della vita in occasioni da cui imparare qualcosa che aiuti a dare un senso allo stare al mondo.

Giacomo non era un bello con la voce impostata, non ha mai corrugato la fronte con fare pensoso per distillare aforismi. Non era per niente cedevole sul piano dei principi, era, per quanto ne so, allergico alla classicità e disprezzava rispettosamente le élite di ogni genere. Era fuori formato per vocazione, a maggior ragione per un mondo teatrale alla ricerca di prodotti vendibili e non di opere, un mondo di amministratori ossessionati dagli algoritmi ministeriali incapaci di considerare degna di attenzione un’opera in cui un ultrasessantenne malato mostra al pubblico disegni un po’ infantili raccontando con disarmante sincerità e autoironia una vita di piccole e grandi delusioni.

Giacomo ha passato la vita a frantumare il diaframma fra rappresentazione e realtà, uno schema dentro al quale proprio non gli riusciva di stare. I risultati avevano a mio avviso esiti altalenanti e non gliene facevo mistero. Le discussioni che ne nascevano potevano anche diventare duri confronti sul senso e sul fine di ciò che si fa, ma l’esporsi al rischio dell’incomprensione era proprio parte sostanziale della poetica di Giacomo, del suo garbato ma perentorio andare dritto per la sua strada senza concedere nulla che non ritenesse politicamente giusto concedere. Resta il fatto che la sua testardaggine nel difendere scelte che a volte mi sembravano solo autopunitive è una delle ragioni principali dell’enorme stima e rispetto che ho sempre avuto per lui.

Giacomo era colto, attento, raffinato e perfettamente consapevole, ma perseguiva un’idea di arte popolare, ostentatamente indifferente alle mode e alle tendenze, che non si rivolge alle élite dei curatori ma cerca di parlare a tutti, anche a chi non ha avuto la fortuna di una buona educazione, un’arte che si nutre di cultura ‘bassa’ ma mai e poi mai è disposta ad ammiccare alla ricerca del consenso.

Forse è una stupidaggine, ma non riesco a fare a meno di pensare che Giacomo sia uno degli ultimi di quella generazione di artisti utopisti e fieramente sovversivi che, rispettando profondamente gli altri, si sentono in dovere di non fare il minimo sforzo per sembrare diversi da quello che sono. Artisti che non hanno avuto paura di pagare con la marginalità il prezzo della propria intransigenza e che il mondo della cultura non ha saputo apprezzare e valorizzare come sarebbe stato giusto. Un grande spreco, perché credo che siano proprio loro, e non chi cerca il successo a ogni costo, che andrebbero indicati come esempio luminoso di cosa significa dedicare la propria vita all’arte.


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A questo link youtu.be/VY4Kc1Gy8T4 la ripresa integrale de “Il piccolo diario dei malanni +D.” che il Teatro di Roma ha messo online nella sua pagina Youtube come omaggio a Giacomo e questo video https://vimeo.com/406753976 riprende invece la chiaccherata di Giacomo Verde con il pubblico, dopo un’anteprima della performance presentata nel gennaio 2019 c/o SPAM! (Porcari – LU).

Questo il sito web di Giacomo, ricco di informazioni e materiali: http://www.verdegiac.org