Città
di Patrizia Montesanti
«C’è la possibilità di affacciarsi e vedere il mare. Ti dà respiro e offre un’altra prospettiva»; così Maria Francesca, ricercatrice di diritto costituzionale e attivista dei beni comuni a uso civico e collettivo, originaria e residente a Napoli da più di trent’anni, ci accoglie nella sua città.
La possibilità di immaginare, di esplorare da un’altra angolazione gli spazi urbani è sempre più consumata da fenomeni come la gentrificazione e la turistificazione. Viviamo in un’epoca dove la precarietà attraversa tutte le sfere del quotidiano: dai contratti di lavoro, alla ricerca della casa fino alla garanzia del welfare. Un’instabilità e un’incertezza che modificano l’andamento delle nostre vite, generando frenesia, che si manifesta nell’urgenza di trovare soluzioni svelte e concise per non perdere il passo. In questo contesto la potenza immaginativa viene meno anche nella città maestra dell’impossibile, dove pare non ci sia alternativa alla privatizzazione, trasformando il mare in una cartolina per gli abitanti. «È molto paradossale, in realtà questo mare non ci appartiene» spiega Maria Francesca; privatizzato a causa di un meccanismo che vedeva tramandarsi le concessioni di generazione in generazione tra le famiglie del luogo, oggi è inaccessibile a chi vive a Napoli, se non a pagamento. Le famiglie napoletane che detengono le licenze dei lidi hanno inglobato gli accessi al litorale, permettendone l’ingresso a loro discrezione, a chi affitta lettino e ombrellone.
Come il mare, anche gli altri spazi pubblici della città vengono sempre più sottratti o svenduti dalle amministrazioni al privato. «C’è questa idea di Napoli per cui l’unica economia che si può fare è quella data dal turismo», continua Maria Francesca perplessa. Infatti a sottolineare la mercificazione della città il Comune ha inaugurato il “Brand Napoli”: «Dodici pannelli con la scritta ‘Napoli’ in italiano e in inglese, collocati in piazza Municipio nei pressi di via Acton, che accoglierà i turisti in arrivo in città via mare e i tanti visitatori», si legge sul sito ufficiale.
La vita di strada di Napoli salta all’occhio non appena ci metti piede, per retaggio culturale e al contempo per mancanza di infrastrutture lə abitanti hanno animato i vicoli e le piazze, ma oggi lo spazio pubblico urbano, in particolare del centro storico è conteso tra residenti e turisti, e stanno vincendo i secondi. Il Comune annuncia che tra aprile e ottobre 2023 è stata registrata una media mensile di circa un milione e duecentomila pernottamenti, e il trend per il 2024 è in aumento. «Investire nell’immobile è vantaggioso con il turismo e gli affitti brevi, infatti assistiamo a un innalzamento dei prezzi delle case, quindi progressivamente molte categorie tra quelle più popolari stanno subendo con insistenza richieste di acquisto per gli appartamenti. Mentre chi sta in affitto vive la pressione dei canoni che salgono. Il rischio è che una serie di fasce siano espulse dal centro storico», riporta Mariafrancesca, che puntualizza come anche “gli scugnizzi” radicati nei quartieri partenopei siano estromessi dalle strade «ed è molto importante far vedere la vetrina della città bella e sì pure caratteristica, perché una serie di peculiarità di Napoli sono chiaramente vendibili, però dedicate al turista».
Viene così alimentata la retorica di una città che aspira al decoro di “The Truman Show”, restituendo spazi urbani omologanti che rendono invisibili complessità e problematicità. Si alimenta una fantasia preconfezionata che collide con la realtà, dove le necessità delle città cambiano a dispetto di quelle di chi abita il territorio, che restano insoddisfatte. L’immaginario si conforma a uno standard, pubblicizzato come auspicabile per il bene comune, e il senso di immutabilità, dell’assenza di alternative e prospettive viene socializzato, accettato come la norma, con ricadute disastrose per chi non ha strumenti, welfare e tutele per adeguarsi a una modello non equo.
Inside Airbnb, è un sito online nato nel 2014 per mappare e pubblicare i dati che occulta la piattaforma “Airbnb”. Sarah Gainsforth nel libro “Airbnb città merce. Storie di resistenza alla gentrificazione digitale” (DeriveApprodi, 2019) la definisce: «uno strumento di accumulazione di profitti e di concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi proprietari assenti che affittano le case a turisti di passaggio, portando al rialzo i valori immobiliari e i canoni di locazione, alla contrazione dell’offerta di case in affitto e dunque all’espulsione del ceto medio e basso dai centri urbani, Airbnb si racconta come uno strumento innovativo che consente alle persone comuni di arrotondare e restare nelle loro case». Una piattaforma che si vende come “sharing economy”, ma di fatto è tra le principali cause del fenomeno degli affitti brevi e dell’estromissione dellə abitanti dalle città. Negli ultimi dodici mesi sono state 10.760 le offerte di alloggio Airbnb, di cui il 66.5% riguarda interi appartamenti, pari a 7.155 case. Si contano 15.518 offerte per una sola notte e 4.034 per due. Inoltre il 63% dellə host hanno annunci multipli, quindi si tratta di multiproprietarə.
Un meccanismo che sgretola il tessuto sociale urbano e una convivenza che permetteva l’eterogeneità dell’abitare, come spiega Maria Francesca: «Napoli è una città dove da molto tempo convivono negli stessi quartieri classi sociali diverse. A Sanità, nei quartieri Spagnoli o a Posillipo si trovano persone ricche di famiglia con immobili di proprietà, così come classi popolari nel vicolo a fianco. Ma sempre più spesso assistiamo a dei processi di espulsione, probabilmente di entrambi, ma in primis delle categorie più fragili, per far posto al turismo». Secondo i dati Istat del 2019 lə napoletanə in affitto sono il 38%. In Campania sono stati 4.109 i provvedimento di sfratto emessi nel 2023 secondo i dati del Ministero dell’Interno, di cui quasi 2.000 solo a Napoli.
Eurostat mostra che in Italia ci sono 5.2 milioni di persone (l’8.7% della popolazione) che soffrono un sovraccarico del costo dell’abitare, pari al 40% del reddito disponibile. Federcasa riporta che oltre il 5% delle famiglie italiane si trova in condizione di disagio abitativo estremo, di queste oltre il 75% vive in affitto. 650 mila famiglie nelle graduatorie comunali attendono una casa popolare. Secondo i dati OCSE sul totale delle abitazioni le case popolari in Italia sono solo il 3.8%.
Il fenomeno della turistificazione, unito all’aggravarsi della crisi abitativa e dell’accesso al welfare, interessa tutta Italia, compresa la capitale. Isabella, dottoranda in tecnica urbanistica, attivista del movimento transfemminista Non Una di Meno, restituisce la complessità del luogo in cui è nata e cresciuta: «Forse la cosa che descrive meglio Roma è una costellazione di piccole città, di piccoli paesi, ecosistemi a sé stanti. Ci sono tante piccole identità dei quadranti e puoi vivere benissimo in una parte di Roma senza aver visto l’altra in qualche modo». Lei è originaria della zona Ovest, ma da diversi anni vive a Est della metropoli.
Roma si estende su una superficie di 1.287 km². Secondo i dati ISTAT del 2021, le abitazioni nel Comune di Roma ammontano a circa un 1.450mln, di cui l’11,2% non occupate o occupate esclusivamente da persone non dimoranti abitualmente. Nel 2019 ISTAT ha quantificato circa 235 mila case in affitto, il 18,2%. L’Osservatorio casa Roma a febbraio 2023 stima 20mila su 74mila alloggi pubblici in vendita (più di un quarto dell’intero patrimonio). Le famiglie in lista d’attesa sono oltre 16mila. Il report di Nonna Roma, un’associazione che si pone l’obiettivo di contrastare la povertà e le disuguaglianze economiche e sociali, a fronte dei dati forniti dal Ministero degli Interni sui provvedimenti esecutivi di sfratto nel 2022 riporta 3.825 provvedimenti di sfratto emessi nella capitale, dove nove su dieci sono per morosità incolpevole, ovvero famiglie che non riescono più a pagare l’affitto.
Un quadro preoccupante e insanato da decenni, inasprito dall’overtourism e che può solo peggiorare in vista del Giubileo. La stima ufficiale del Vaticano prevede 32 milioni di visitatorə, un attraversamento della città che si aprirà il 26 dicembre 2024 e si concluderà il 14 dicembre 2025. «Sta cambiando moltissimo in vista del prossimo anno, e a scapito degli abitanti e non dei turisti. Pian piano gli affitti brevi entrano sempre di più in qualsiasi quadrante, e questo provoca sempre più un’espulsione della popolazione. Trovare un affitto è infattibile», racconta Isabella preoccupata per le conseguenze che questa manifestazione avrà sul tessuto urbano. I malcontenti crescono da parte dellə abitantə, il turismo a Roma ha già alterato profondamente gli standard di vita.
Inside Airbnb riporta 34.061 offerte di alloggi a Roma negli ultimi dodici mesi, il 73.1% sono interi appartamenti. Il prezzo medio è di 190 euro per notte. Il 98.9% sono affitti di breve periodo, pari a una o due notti. «Una città dove quello che sta venendo meno non è la frammentazione geografica che rimane, ma la condizione in cui si trovano quartieri e persone: la precarietà sta diventando sempre più la cifra comune soprattutto di noi giovani adulti, abbastanza trasversali anche a luoghi, quartieri e classi sociali. Viene meno una differenza tra le vite, dato sempre relativo, perché le classi sociali esistono e delle differenze ci sono sempre, ma a Roma i ricchi diventano sempre di meno e i poveri sempre di più», così Isabella parla del divario che aumenta e che genera una guerra tra persone povere. Un classismo all’interno di una stessa classe sociale, quella povera o del ceto medio, dove l’aggravarsi delle difficoltà allontana le soggettività. «La maggiore difficoltà a Roma oggi è la mancanza di incontro, riconoscersi con l’altro. Vedi molto di più l’abbrutimento, la vita si fa ferocemente precaria, i tempi si accorciano e la gente diventa molto più individualista. Sta cambiando l’atteggiamento verso la sofferenza altrui, perché banalmente viene prima la propria», racconta con rammarico, sottolineando come tutto questo possa trasformarsi in una ricerca del nemico comune, che cavalcato da una logica di razzismo istituzionalizzato, esistente in Italia, trova il capro espiatorio nella persona migrante, prevalentemente identificata come nera.
Una città che perde dunque la possibilità di immaginare scenari differenti da quello del conflitto per la proprietà, dove il tessuto urbano si ricompone in base al reddito e lo spazio si riorganizza come vetrina per l’esterno. «È più difficile da immaginare quando non si tratta solo di cambiamenti fisici e spostamenti, ma più di relazionalità» afferma Isabella.
Italo Calvino, in una conferenza nel marzo del 1983 tenuta di fronte agli studenti della Graduate Writing Division della Columbia University di New York, descriveva così gli spazi urbani: «Le città sono un insieme di tante cose: di memorie, di desideri, di segni d’un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell’economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi». Isabella sembra percepirlo al parco San Galli, a Torpignattara, dove vive: «È un quartiere popolare in via di gentrificazione, dove ci sono forti comunità migranti, molto radicate. Parco San Galli di notte è meraviglioso, perché ne vedi l’utilizzo da parte di noi giovani con la Peroni in mano, i ragazzini che giocano a calcio e le mamme – bengalesi principalmente, ma non solo – che accompagno i figli. Il parco si riempie in un equilibrio molto bello. È un parco delle famiglie in qualche modo, esprime una parte del quartiere che esercita anche un’appropriazione dei luoghi, non una proprietà, e utilizza uno spazio diversamente».
L’Overtourism non è una soluzione per il fabbisogno delle città, è responsabile dell’esasperazione del consumo urbano basato sul profitto e agisce a braccetto con la gentrificazione stravolgendo le relazioni tra corpi, spazi e oggetti. Sono due fenomeni di causa ed effetto che stanno logorando gli ecosistemi delle città e l’immaginario di chi li vive. È necessario ripartire dai modelli relazionali, dai bisogni e desideri di chi abita i territori, per evitare di essere esplusə e difendere gli spazi che chiamiamo casa.
Patrizia Montesanti
Giornalista e videomaker freelance. Redattrice di Dinamopress. Ha frequentato la Scuola di giornalismo della Fondazione Lelio Basso e la Scuola Nazionale di Video Partecipativo e Cinema Documentario di Zalab. Puoi leggere qualcosa di suo anche su “Transizioni. Città e corpi fuori norma” e “Guerra alla scienza” due numeri della rivista DinamoPrint o sul trimestrale Q Code nel numero “Geografie”. Si aggira per le città con una macchina fotografica, non può fare a meno di osservare e immaginare gli spazi urbani ed extraurbani insieme a chi li abita