Il sapere corporeo del femminismo
di Federica Castelli
Da sempre, fin dai nostri primi giorni di scuola, abbiamo imparato a pensare e a nominare una dicotomia: quella tra la mente e il corpo. Crescendo, questa coppia oppositiva ci è stata raccontata in molti modi: dalla religione (che ci ha parlato dell’anima), dalla letteratura, dalla filosofia, a volte dalla medicina, persino dalla politica. In vari modi e sfumature il nostro corpo è sempre stato posto in opposizione a qualcosa.
Ci troviamo davanti a un tratto caratteristico del sapere (e del potere) occidentale: sin dalla Grecia e dalla polis ateniese (da cui facciamo discendere la maggior parte del nostro immaginario sul mondo), il corpo ha rappresentato un nodo controverso, il polo dell’irrazionale, delle passioni, della natura e del femminile, che la cultura, la politica e la ragione hanno il compito di arginare e controllare. Questo schema oppositivo è fondante rispetto al pensiero occidentale, che si struttura secondo opposizioni nette e senza resti: mente/corpo, ragione/passione, natura/cultura, pubblico/privato, libertà/necessità, uomo/donna. A livello simbolico, poi, tutti i poli “negativi” di queste dicotomie finiscono per sovrapporsi e intrecciarsi tra loro, ricadendo sul femminile.
Il femminismo ci ha aperto spazi di libertà prima impensati, ha inaugurato nuovi modi di stare in relazione, ha avviato percorsi di liberazione che continuano a propagarsi in diversi angoli del mondo, secondo diverse accezioni, radicandosi in contesti e pratiche differenti. Ma non solo. Nella sua lotta di liberazione, il femminismo ha liberato anche il sapere dalle sue gabbie, dalla sua struttura dicotomica, rovesciando il rapporto tra sapere e potere che sulla coppia identità/alterità è venuta a costituirsi nella storia occidentale.
Il femminismo ha elaborato un sapere nuovo, radicato, corporeo. Mai astratto, mai universale, mai dogmatico, questo sapere si diffonde in modo imprevisto, in luoghi non accademici ma politici, in pratiche di scambio continuo. Il sapere elaborato dalle donne non coincide con l’elaborazione di una nicchia teorica che si occupa delle donne (come nell’accezione più ampia dei Gender Studies, che guardano alle donne come oggetti di studio e ricerca: storia delle donne, filosofia delle donne, letteratura delle donne…). O meglio, non si riduce a questo. Porsi come soggetto (e non oggetto) di sapere ha portato le donne alla messa in questione delle dicotomie fondanti della modernità, mostrando il loro essere costruzioni sociali e non dati immutabili (ossia “naturali”) della condizione umana; ha mostrato come queste dicotomie fossero funzionali alla struttura di un potere (nei fatti fallologocentrico e patriarcale, tendente all’unità e all’omogeneizzazione delle differenze), e delle sue tassonomie sociali, gerarchie ed esclusioni. Ha inoltre mostrato come nell’esperienza di ognuna molti di questi piani siano intrecciati, e di come il personale sia politico; ha innescato nuove pratiche di soggettivazione radicate nei corpi, nell’essere in presenza, nella relazione con le altre donne. L’elaborazione di questo sapere è nata direttamente dalle pratiche politiche delle donne, dal loro agire insieme una politica nuova, diversa da quella che il potere patriarcale ha tramandato: una politica che guarda al piano simbolico prima che ai diritti (un diritto di per sé è vuoto, se la società non cambia) che non guarda alla presa del potere istituzionale, ma mira a cambiare le relazioni quotidiane tra uomini e donne; e che mette al centro i corpi, pensati come sessuati, situati (in situazione), in relazione.
Il femminismo ha pensato i soggetti non nella dualità del mente/corpo, ma come soggettività incarnate, costitutivamente in relazione agli altri e al contesto materiale. Ogni soggetto è soggetto incarnato, ha una storia, un percorso non astraibile dalle sue condizioni materiali, dal suo contesto, dal suo corpo. Ogni corpo è sessuato, e questa sessuazione dà avvio a una storia personale diversa, che si intreccia con le stratificazioni sociali attribuite al genere che in base a quel dato sessuato ci è stato assegnato. Siamo costituite da linee di potere che attraversano i nostri corpi, che tentano di normarli e gestirli. Inoltre, i corpi sono sempre in relazione: agli altri, all’ambiente, al potere. Sono esposti, mai autosufficienti. Non esiste dunque quel soggetto sovrano che il pensiero occidentale ha voluto raccontarci: pensabile a prescindere dalla propria relazione con gli altri, senza contesto, senza corpo, assoluto. Il corpo pone le sue domande alla politica, ha delle sue urgenze, e pone la relazione, lo scambio con gli altri e le pratiche come dimensioni fondanti dell’agire politico. Per questo il corpo è già dimensione politica. Inoltre il corpo è ciò che crea la politica, che permette lo spazio politico. Non è solo ciò a cui il potere si applica, ciò che viene regolato e gestito dal potere.
I corpi hanno storie diverse, percorsi diversi, e insieme possono creare alleanze. Possono ad esempio performare la politica, portandola nelle piazze, come abbiamo visto negli scorsi anni (basti pensare alle proteste globali che dal 2011 in poi hanno contestato – in modo sempre specifico e legato al proprio contesto – l’ordinamento neoliberista, come ad esempio le varie espressioni del movimento Occupy), mostrando le esclusioni e le gerarchie dello spazio pubblico contemporaneo. Allo stesso tempo, queste pratiche corporee risignificano lo spazio pubblico e lo attraversano portandovi la passione, l’esposizione, la cura al centro. Rendendolo così uno spazio pubblico appassionato.
Qualche lettura che cambia la vita:
H. Arendt, Vita Activa. La condizione umana, Bompiani, Milano 1994 (ed. or. The Human Condition, University of Chicago Press, Chicago 1958).
S. de Beauvoir, Il Secondo Sesso, Il Saggiatore, Milano 2008 (ed. or. Le deuxiéme sexe, Gallimard, Paris 1949)
J. Butler, Questioni di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità, Laterza, Roma-Bari 2013 (ed. or., Gender Trouble: Feminism and the Subversion of Identity, 1990)
J. Butler, Corpi che contano, Feltrinelli, Milano 1996 (ed. or., Bodies That Matter: On the Discursive Limits of Sex, 1993)
J. Butler, L’alleanza dei corpi, Nottetempo, Milano 2017 (ed. or., Notes Toward a Performative Theory of Assembly, 2015)
A. Cavarero, Corpo in figure, Feltrinelli, Milano 2003
A. Cavarero, Inclinazioni. Critica della rettitudine, Raffaello Cortina, 2014.
L. Cigarini, La politica del desiderio, Pratiche, Parma 1995.
Diotima, Potere e politica non sono la stessa cosa, Liguori, Napoli 2009.
Libreria delle donne di Milano, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Sellier, Torino 1987.
C. Lonzi, Sputiamo su Hegel, in Lonzi C., Sputiamo su Hegel e altri scritti, Rivolta Femminile, Milano 1974.
N. Loraux, Il femminile e l’uomo greco, Laterza, Roma-Bari 1991 (ed. or., Les expériences de Tirésias. Le féminin et l’homme grec, Gallimard, Paris 1989).
Rivolta Femminile, Manifesto di Rivolta Femminile, in Lonzi C., Sputiamo su Hegel e altri scritti, Rivolta Femminile, Milano 1974.
Federica Castelli
Federica Castelli ha conseguito un Dottorato di ricerca presso l’Università di Modena e Reggio Emilia ed è attualmente assegnista di ricerca in Filosofia Politica presso l’Università Roma Tre. È stata visiting researcher presso l’Università Paris VIII e l’ècole des hautes ètudes en sciences sociales (EHESS). È redattrice di DWF – Donnawomanfemme, rivista del femminismo romano, con cui ha iniziato a collaborare dal 2009. Dallo stesso anno fa parte della redazione di IAPh Italia, sito della sezione italiana dell’Associazione internazionale delle filosofe. Per IAPh ha curato, assieme a Chiara Belingardi, il volume Città. Politiche dello spazio urbano (2016) e il ciclo di seminari “Lineamenti teorico-politici di femminismi, genere, differenze”, presso l’Università Roma Tre. Collabora con il Master in studi e politiche di genere dell’Università di Roma Tre, per il quale era già stata coordinatrice delle attività curriculari e delle attività seminariali (ed. 2015, 2017, 2018). Ha fatto parte delle Diversamente Occupate, del collettivo Femministe Nove e del gruppo Verlan (che ha curato il volume Dire, fare, pensare il presente, Quodlibet, Macerata 2011).
È autrice di Corpi in Rivolta. Spazi urbani, conflitti e nuove forme della politica (Mimesis, Milano 2015) e di Il pensiero politico di Nicole Loraux (IAPh Italia, Roma 2016).