Le camere dell’eco

di Graziano Graziani

Foto di Teemu Paananen da Unsplash
Foto di Teemu Paananen da Unsplash

La “camera dell’eco” è un ambiente, il più delle volte virtuale, in cui le persone vengono esposte principalmente a idee e informazioni che confermano i loro convicimenti preesistenti, limitando di conseguenza l’esposizione a punti di vista differenti. Il termine non descrive un luogo fisico, ma uno stato mentale o meglio, la sfera di convincimenti e informazioni nella quale siamo tutti immersi. Di camere dell’eco si parla apertamente per descrivere l’ambiente dei social media, e sono di fatto una condizione intrecciata alla creazione delle cosiddette “bolle” (il termine deriva dalle bolle di filtraggio dei contenuti, ma oggi il termine si estende fino a indicare una cerchia dei contatti con i quali si condividono le stesse informazioni e gli stessi convincimenti).
L’analisi di fenomeni di questo tipo è servito a descrivere i meccanismi con cui si propaga la disinformazione attraverso le fake news, ma oggi, in un’epoca caratterizzata da conflitti militari e conflitti culturali sempre più acuti, occorre riconsiderare il processo in senso più ampio: non sono solo le posizioni meno accurate – quelle apertamente complottiste, quelle frutto di manipolazione dell’informazione – ad essere oggetto di questo processo; piuttosto, bisogna riconoscere che la creazione di bolle e di camere dell’eco è a tutti gli effetti la “grammatica” dell’ambiente mediale che viviamo quotidianamente attraverso i social. E bisogna cominciare a studiare gli effetti di questo “ambiente” che, come tutti gli ambienti, influenza e “informa” il pensiero che si articola al suo interno.

Questo secondo numero di “Poli opposti” – il dittico di uscite di 93% che indaga gli effetti sul dibattito pubblico della polarizzazione dei discorsi e la difficoltà di portare avanti, a queste condizioni, un dialogo costruttivo – si concentra proprio su questa grammatica e sulle possibili azioni per rettificarne gli effetti. Da un lato il sociologo Giovanni Boccia Artieri evidenzia come, di fronte alla narrazione main stream, l’emergere di una fringe democracy (e cioè di una narrazione alternativa portata avanti in spazi fringe, non ufficiali) sia, allo stesso tempo, lo spazio di un naturale processo di critica e contestazione ma anche il luogo di narrazioni identitarie, emotive, scarsamente in grado di cum prendere il punto di vista dell’altro. Dal canto suo Monica Di Sisto rileva come la manipolazione e la polarizzazione del dibattito pubblico sia sempre esistita, fin dai tempi dell’Impero Romano, ma anche che il tempo presente ha prodotto un’accelerazione senza precedenti di questo fenomeno. Il motivo risiede soprattutto negli strumenti tecnologici, come l’intelligenza artificiale, che proprio nel campo della produzione di contenuti informativi e artistici rischia di operare una vera e propria rivoluzione, in grado di spazzare via le figure professionali preesistenti: Milena Brusco indaga, dal punto di vista del diritto, le diverse posizioni sul diritto d’autore alla prova dell’AI, mettendo in evidenza come la tutela dei soggetti più deboli sia spesso in contraddizione con le posizioni polarizzate, interamente a favore o interamente contro. Norma Felli e Emma Gainsforth, dal canto loro, cercando di fare luce sulle polarizzazioni che interessano uno dei campi del pensiero politico più influenti della contemporaneità, i femminismi e i diritti trans, prendendo spunto dalla recente sentenza della Corte Suprema britannica.

Il sociologo Michele Sorice (citato da Monica Di Sisto) evidenzia come il carburante di questa “grammatica” che abbiamo cercato di mettere in luce nei due numeri di 93% con interventi dedicati a vari campi del dibattito, dalla guerra all’ecologia, sia composto sostanzialmente da un binomio: provocazione e conflitto. Sono modalità comunicative che hanno spesso accompagnato il discorso “militante”, per sottolineare la nettezza della propria presa di posizione e ribadire il posizionamento etico del proprio punto di vista. È evidente che oggi, alla luce del moltiplicarsi delle voci in campo, della disinformazione, ma anche della polarizzazione emotiva delle reazioni, questo tipo di atteggiamento non riesca più a favorire uno spazio del dibattito costruttivo. Ogni discorso, oggi, è “hackerabile”: può diventare cioè il cavallo di troia per qualcos’altro, può trasformarsi in una cortina fumogena dove diventa impossibile vedere la complessità. Il tentativo di ricostruire un dibattito pubblico in grado di mettere a fuoco soluzioni, e non solo ribadire identità, dovrebbe partire anche da questa consapevolezza.