Le foreste urbane fanno male alle città

di Sarah Gainsforth

immagine da un piano generale per le città sostenibili e autosufficienti del futuro di Vincent Callebaut Architects
Immagine: da un piano generale per le città sostenibili e autosufficienti del futuro di Vincent Callebaut Architects – http://mimdap.org/2015/03/vincent-callebaut-mimarlar-surdurulebilir-ve-kendi-kendisine-yeterli-gelecedhin-kentleri-icin-bir-master-plan

A pochi passi dalle case popolari di Tor Marancia, dietro Piazza dei Navigatori nell’ottavo municipio di Roma, è iniziata la costruzione di un nuovo complesso di case di lusso: dodici piani fuori terra e tre interrati per parcheggi e impianti. Nei nuovi grattacieli ci saranno appartamenti, uffici (ma quelli accanto sono vuoti), negozi e un grande supermercato. Il nuovo complesso immobiliare sarebbe stato concepito come una «foresta abitata» dallo studio dell’archistar Mario Cucinella. L’edificio ha un nome (Foresta Romana) abbreviato in un acronimo (Fo.Ro). «Vivere nella natura. Come un grande albero» si legge sul sito web di Fo.Ro, che sarebbe «portavoce di un nuovo concetto di sostenibilità». Per chi, lo si capisce approfondendo il progetto. Il complesso avrà un esclusivo rooftop garden a 40 metri di altezza, un’area co-working, una sala living con personale dedicato per far vivere agli ospiti «piacevoli attese», una palestra, un’area relax («una sala d’élite con angoli dedicati al silenzio») e una piccola area golf. Una sezione del sito web è dedicata al contesto in cui sorgeranno le case di lusso. Si fa riferimento al quartiere Ardeatino ma anche a un generico luogo «a sud nel cuore di Roma» dall’affascinante «spirito pittoresco», illustrato con l’immagine di uno scorcio della Garbatella. «Oggi l’area si presenta rinnovata e pronta a iniziare un nuovo capitolo – si legge sul sito – Le sue vie sono percorse da studenti di ogni età e da turisti internazionali attratti dai siti architettonici, dai musei e dall’atmosfera un po’ rustica, lontana dalla frenesia metropolitana». Il complesso sorgerà accanto alla Cristoforo Colombo, un’autostrada urbana a quatto corsie, realizzata durante il fascismo per indirizzare l’espansione di Roma verso il mare. Insomma, anche Roma avrà il suo “bosco verticale”.

I prezzi delle case partono da 314mila euro per un monolocale di 46 metri quadri e arrivano a tre milioni di euro per un attico di 300 metri quadri. «Le case di lusso nasceranno sull’area della vecchia borgata Sette Chiese, che risale al 1931, dove vennero a vivere le persone allontanate dal centro storico, dagli sventramenti del fascismo, i poveri. Adesso, novant’anni dopo, quando ancora i poveri non sanno dove andare ad abitare, qui sorgeranno dei grattacieli di lusso» racconta Giuliano Marotta dell’Associazione Parco della Torre di Tormarancia.

Il complesso sarebbe «uno dei progetti più importanti per il rinascimento della città di Roma» ha detto Barbara Mezzaroma, presidente di Impreme s.p.a, la società che controlla la Ditta Federici e Igliori, proprietaria dell’area. Dopo l’uscita della famiglia Mezzaroma, sull’orlo del fallimento nel 2017, Impreme risulta interamente posseduto dal fondo globale di investimenti Varde. A causa del mancato rispetto della convenzione urbanistica stipulata nel 2004 dal Comune di Roma con alcune aziende private tra cui la Federici e Igliori, Piazza dei Navigatori aspetta un “rinascimento” da 19 anni. In cambio di permessi a costruire 184mila metri cubi di edifici, i privati si impegnavano a realizzare le opere di urbanizzazione. Due edifici sono stati tirati su (uno, il cosiddetto “bidet”, è rimasto incompiuto) ma le opere di urbanizzazione non si sono mai viste. Nel 2018 la giunta Raggi ha stipulato un nuovo accordo con le imprese inadempienti, confermando la cessione delle aree e i diritti edificatori e consentendo la realizzazione di ulteriori 66mila metri cubi per un terzo edificio – il “bosco abitato”. Come ha sintetizzato Rossella Marchini, il Comune ha rinunciato a esigere i contributi obbligatori per l’ottenimento del permesso di costruire e ha concesso ai privati di realizzare direttamente le opere pubbliche previste, salite a un controvalore di 30 milioni di euro. «Dall’elenco però sono sparite alcune opere pubbliche prima previste. Sono naturalmente le più onerose: la realizzazione del sottopasso, l’impianto di illuminazione delle aree pubbliche e persino l’asilo nido».

La nuova convenzione prevede la realizzazione di parcheggi, verde pubblico e piste ciclabili, una nuova bocciofila, uno skate park e un’area giochi, l’ammodernamento del mercato rionale, il completamento dell’edificio che sembra un bidet. Fuori dalla convenzione con i privati, sono previsti anche interventi nella Tenuta di Tor Marancia (un’area verde minacciata per anni dalla cementificazione, salvata dalle lotte dei cittadini) con nuovi ettari aperti al pubblico e una piazza con arredi e attrezzature sportive. «L’intero quadrante sarà totalmente riqualificato nella sua funzione di verde pubblico, di standard urbanistici e servizi per territorio, aumentando la presenza di esemplari arborei in un’ottica di ‘forestazione urbana’», si legge sul sito del Comune di Roma. «Per lo più si tratta di opere di ordinaria amministrazione, come la sistemazione del verde pubblico, dei marciapiedi, delle panchine, fatte passare come straordinarie», commenta Marotta.


Un quartiere green ma non per tutti

Se la crisi climatica investe le città, le opere di inverdimento urbano da sole non bastano. A Roma i pini stanno morendo. Lungo le strade che dal mare arrivano a Piazza dei Navigatori centinaia di pini sono stati abbattuti e rimossi. Sono stati colpiti dalla cocciniglia, un parassita che si è diffuso in tutta la città perché negli anni passati nessuno, al Comune, ha agito per evitare il disastro ambientale. Fuori dai boschi verticali, nella città pubblica, gli alberi stanno morendo, mentre si continua a consumare suolo. Oltre gli annunci e le inaugurazioni, manca la manutenzione. A causa delle difficoltà ormai strutturali del Servizio giardini del Comune, sono spesso i cittadini a prendersi cura del verde pubblico.

In secondo luogo, come per qualsiasi altra operazione di riqualificazione urbana, occorre chiedersi chi, esattamente, beneficerà della “forestazione urbana”, pubblica o privata che sia. Quale sarà l’effetto della riqualificazione in chiave verde sui valori immobiliari di tutta la zona? Quale effetto avrà su Tor Marancia, un quartiere di case popolari, l’arrivo di una nuova classe di residenti più ricchi e di proprietari di case a uso investimento? Infine: la realizzazione di ulteriori 66mila metri cubi di cemento per costruire case di lusso in una città con 167mila case vuote e 200mila persone in emergenza abitativa, in che modo è un’operazione “sostenibile”?

Appropriandosi del tema della sostenibilità ambientale, operazioni immobiliari travestite da “boschi verticali” legittimano ulteriore consumo di suolo e alimentano il paradigma della crescita. Con il loro ecologismo di facciata, i “boschi verticali” sono parte del problema, esempi di come il capitalismo inventa nuovi mercati per vedere soluzioni a problemi che esso stesso crea, primo fra tutti il consumo di suolo. Sarebbe meglio non costruirli proprio, i boschi verticali. Con i servizi di lusso all’interno, sono gated communities per un abitare elitario e introverso. E in quanto all’idea pervasiva che le operazioni come Fo.Ro possano “riqualificare” il quartiere circostante, basterebbe ricordare com’è andata in passato o anche solo guardare al presente.

Gli abitanti di Tor Marancia attendono da anni la realizzazione di un centro culturale, la principale opera di compensazione dei primi due edifici costruiti dalle imprese inadempienti. «Dove oggi è presente lo scheletro dell’ex scuola Mafai dovrà sorgere una struttura gestita dal Teatro dell’Opera di Roma, che ospiterà al suo interno le scuole di coro e danza dell’ente artistico e un Polo Civico a disposizione degli abitanti», racconta Marotta. Di questo progetto, però, non si hanno notizie. Sarebbe bloccato da adempimenti burocratici. «Abbiamo bisogno di spazi di socialità e di cultura, di spazi pubblici, gratuiti e accessibili». Questi spazi ci sono ma restano chiusi. «Abbiamo contato quarantadue serrande abbassate di locali Ater (l’ente regionale che gestisce l’edilizia residenziale pubblica) e appartamenti sfitti non utilizzati. Quello che potrebbe essere dato alla comunità è inaccessibile. Si aprono le porte solo a chi ha potere economico», commenta Marotta.

Numerosi studi stanno mettendo in luce gli aspetti problematici di una “gentrificazione green” di parti di città ripensate per rispondere a criteri di sostenibilità ambientale, che finiscono per aumentare le disuguaglianze ambientali e sociali in assenza di interventi politici specifici: le politiche sul verde devono essere accompagnate da politiche sulla casa. In assenza di queste, le infrastrutture verdi aumentano i valori immobiliari e contribuiscono a espellere fasce di residenti più povere che non beneficeranno della rigenerazione del quartiere. Intanto le imprese come Impreme assoldano archistar e usano la prospettiva del verde, del benessere e della sostenibilità per giustificare il prezzo finale delle case.

Il modello dei progetti urbani verdi è la High Line di New York, un’ex ferrovia sopraelevata trasformata in un parco urbano lineare. «Oggi è visitata da cinque milioni di persone l’anno e viene spesso presa a modello come la migliore pratica di progettazione e architettura urbana. Eppure, tra il 2003 e il 2011, i valori delle proprietà nei pressi della High Line sono aumentati del 103%, sollevando interrogativi su chi abbia accesso a questo spazio verde. Invece di creare uno spazio inclusivo, questa trasformazione ‘verde’ ha intensificato l’espulsione di imprese e residenti locali», hanno scritto i ricercatori Anguelovski, Connolly e Brand. Lo stesso progettista della High Line, otto anni dopo la sua inaugurazione, avrebbe ammesso il fallimento dell’intervento nei confronti del quartiere.

All’interno del bosco verticale romano sono previsti quattordici appartamenti di social housing – ovvero a prezzi calmierati. Lì vicino anche l’area dell’ex Fiera di Roma cambierà volto grazie all’accordo raggiunto tra il Comune e il fondo Orchidea. Dopo la demolizione degli immobili dell’ex fiera, venticinque ettari saranno destinati a verde attrezzato e sorgeranno, anche qui, nuovi edifici residenziali, di cui una quota di social housing. «Sarà costruito un nuovo quartiere all’avanguardia, con una attenzione all’integrazione sociale poiché inseriamo cento appartamenti a un canone calmierato, che si aggiungono a quelli di piazza dei Navigatori, in un quartiere molto prestigioso», ha spiegato l’Assessore all’Urbanistica Maurizio Veloccia.

Se il Comune ha davvero a cuore l’integrazione sociale, perché innanzitutto non cessa i piani di vendita delle case popolari? A Garbatella, sull’altro lato della Cristoforo Colombo, ci sono 304 alloggi pubblici di proprietà del Comune in vendita. L’Ater ne ha messi in vendita 920. A Tor Marancia e a Grotta Perfetta le case Ater in vendita sono 228. Secondo la ricostruzione dell’Osservatorio Casa di Enrico Puccini, i piani di vendita riguardano in tutto quattordicimila case nel centro di Roma che finiranno sul mercato privato, alimentando il processo di gentrificazione da una parte e l’emergenza abitativa dall’altra, rendendo inaccessibile gran parte della città a persone con redditi medio-bassi. In una città come Roma non servono boschi verticali, ma semplicemente più alberi, più case e prezzi accessibili.

 

 

Sarah Gainsforth

Ricercatrice indipendente e giornalista freelance. Scrive di trasformazioni urbane, abitare, diseguaglianze sociali, gentrificazione e turismo. Collabora principalmente con Internazionale/L’Essenziale e Il Manifesto e Jacobin Italia.  È autrice di Airbnb città merce, Storie di resistenza alla gentrificazione digitale (Derive Approdi, 2019), finalista Premio Napoli 2020, e Oltre il turismo, Esiste un turismo sostenibile? (Eris Edizioni, 2020), Abitare Stanca. La casa: una storia politica (Effequ 2022), vincitore del Premio Giulio Angioni 2023; Cameriera (I Quanti, Einaudi, 2022); Dopo la gentrificazione, un quartiere laboratorio dalla crisi economica all’abitare temporaneo (con A. Barile, B. Brollo e R. Marchini, DeriveApprodi, 2023). Vive e lavora a Roma.