Parlare con lo spirito dell’albero.
una conversazione con Paulina Chiziane
Paulina Chiziane è una scrittrice mozambicana, conosciuta per essere stata la prima donna di questo paese dell’Africa australe a pubblicare un romanzo. Le artiste della parola, attive nella poesia e nel canto, non avevano accesso al mondo “maschile” delle lettere fino a non molti decenni fa. Paulina Chiziane, da donna nera, ha infranto questa divisione e lo ha fatto raccontando storie che mettono in discussione i punti di vista abituali, pur raccontando vicende legate alle dinamiche culturali del suo paese, come nel caso di Nicketche. Una storia di poligamia, ripubblicato dall’editrice La Nuova Frontiera qualche anno fa.
Ho avuto modo di incontrare Paulina Chiziane nel 2019, quando mi sono recato a Maputo al seguito della compagnia ALDES, invitata al festival di danza Kinani. Con la scrittrice – che vive in un quartiere non centrale della capitale, in una casa con un bel giardino – ho avuto modo di conversare di vari argomenti connessi alla sua scrittura. Tra questi c’è l’influenza che i miti e la cultura animista, che deriva dalle credenze religiose tradizionali, esercita sui rapporti tra le persone e tra queste e l’ambiente circostante. Riportiamo qui, per questo numero di «93%» dedicato all’animismo e ai possibili spunti che questa prospettiva può fornire alla contemporaneità, un frammento di quella conversazione (già apparsa in altra forma su «Minima&Moralia»).
Graziano Graziani
Che ruolo hanno i miti nella cultura mozambicana e che legame hanno con la sua scrittura?
Io andrei ancora più a fondo: che legame hanno i miti con la vita? C’è un mito che mi piace moltissimo, il mito della creazione del mondo secondo la cultura matriarcale. All’inizio dei tempi Dio era una donna che viveva sul monte Namuli, un luogo bellissimo che si trova nel distretto di Gurué, nella provincia della Zambezia. A un certo punto apparì un uomo, ma arrivò solo dopo la donna che creò tutto. In quel luogo si originarono tutte le razze del mondo, che partirono da lì per popolare la Terra. L’uomo cominciò a bramare il potere che aveva la Dea. In quella zona c’è una fonte da cui si originano due fiumi che vanno in direzione contraria. Uno è il fiume Licongo, che sfocia nell’Oceano Indiano, l’altro è il fiume Malema, che prosegue verso Nampula. Secondo questo mito, la prima battaglia tra uomo e donna fu disputata lì. La Dea partì verso nord, portando il matriarcato per tutto il continente. L’uomo proseguì verso sud, seguendo il fiume Licongo, e diffondendo il patriarcato. Siamo di fronte a un mito, potremmo dire una fantasia. Ma se osserviamo i comportamenti delle donne dal fiume Malema in su vediamo un mondo differente rispetto al sud: le donne si vestono e si truccano in modi che comunicano la gioia di vivere. Una donna di una regione matriarcale è una presenza forte, mentre gli uomini sembrano quasi dimessi. Il sud è differente: lì gli uomini si impongono, si presentano con un’aura di forza, mentre le donne vestono di scuro, come se cercassero un posto per nascondersi. Allora forse il mito può essere letto come una sorta di psicologia che abita nel subcosciente delle persone e che può perfino determinare il comportamento di un popolo.
Abbiamo vari miti, in Mozambico, belli e brutti come in tutto il modo. Il mito è una storia, non c’è bisogno di sapere se racconta qualcosa di vero o di finto, quello che dobbiamo capire è come interagisce con i caratteri di un popolo. Ci sono miti davvero interessanti, da questo punto di vista.
Esiste un mito della fine del mondo? Oggi l’Apocalisse sembra essere una narrazione imperante, anche a causa degli sconvolgimenti climatici e ambientali. Come si figurano la fine del mondo i miti mozambicani?
Non conosco miti che parlano della fine del mondo. Ma, nella mia percezione, quello che abbonda nella cultura mozambicana sono i miti di preservazione del mondo. E sono tra i più belli. Quando sono stata nella Gorongosa la gente diceva: se vuoi urinare, prima devi chiedere il permesso allo spirito del monte. Se un uomo urina alla base del monte senza chiedere il permesso viene colto da un castigo, viene trasformato in una donna. Mi sembrava una storia interessante, così ho cominciato a cercare qualche donna che una volta era un uomo ed era stato trasformato a causa della sua insolenza. Ovviamente un mito è un mito, ma quello che scoprii è che questo come altri miti hanno un ruolo molto importante, quello di far capire alle persone che ci sono gesti che non possono essere fatti impunemente. Con l’avvento della colonizzazione e della modernità questi miti sono stati ritenuti delle favole; spesso però, in questo modo, si finiva per dimenticare anche la funzione che quel mito aveva all’interno della comunità.
Un altro mito molto diffuso riguarda gli alberi. Se si presenta la necessità di tagliare un albero è importante prima parlare con lo spirito dell’albero e raccontagli il motivo che ti spinge a farlo. Per la mitologia africana un albero è una vita. L’albero ha ricevuto il dono della vita dallo stesso Dio che ha creato anche te, per questo non puoi tagliarlo senza chiedere il permesso. Questo significa che non si può tagliare un albero per il puro gusto di farlo o per questioni utilitaristiche. L’anacardio, ad esempio, è un tipo di albero che non può essere toccato senza aver prima ricevuto un permesso, altrimenti, nel momento in cui cade, ti potrebbe franare addosso e tu finiresti per morire con lui. Io stessa ho dovuto tagliare un albero qui, a casa mia, un albero molto grande che stava compromettendo una parete della casa. Andai in giro a cercare qualcuno che facesse il lavoro e i tre operai con cui parlai mi dissero tutti la stessa cosa: questo è un grande albero, non possiamo tagliarlo senza aver detto una preghiera per lui. Con il primo insistetti per tagliarlo, ma lui si rifiutò, e lo stesso fece il secondo. Al terzo dissi: va bene, fai la tua preghiera, ma dopo porta a termine il lavoro. Lui mi chiese di comprare una bottiglia di vino bianco, una gallina bianca e del tabacco. Quando arrivò l’ora della preghiera mi misi ad ascoltarlo. Fu una preghiera bellissima. L’uomo disse: albero, noi non vogliamo ucciderti, vogliamo che ti ritiri da qui per poter salvare altre vite. Ascoltami, albero, questa parete si sta rompendo. Se la parete si rompe il tetto può cadere e le persone che sono in casa possono morire. Quello che ti chiediamo, albero, è che tu te ne vada da qui per far in modo che la gente viva in pace e senza pericolo. Dopo aver recitato questa preghiera l’uomo uccise la gallina, versò un po’ di vino sul terreno e, infine, cominciò a tagliare il tronco.
Dopo qualche tempo l’uomo passò per casa mia e disse che le radici dell’albero avevano generato una nuova pianta, da un’altra parte. La preghiera era stata ascoltata, l’albero si era spostato altrove. Non so dire se fosse vero, ma non è quello il punto. L’importante è che le cose vengano fatte secondo un certo criterio e con rispetto.
Parlare di miti vuol dire anche parlare di tabù. Ce ne sono ancora che riguardano la vita delle donne?
Certamente. Ci sono molti tabù che riguardano le donne mestruate. A loro tutto è proibito: non possono entrare in cucina, non possono toccare il cibo, eccetera. Una volta parlai con un vecchio, chiedendogli perché si conservassero certi tabù e lui mi disse: sai, qui, nella nostra regione, l’acqua è molto lontana. Non sappiamo se questa donna è una persona che mantiene un’igiene personale oppure no, per questo, durante il periodo, è meglio che resti sola, perché la mancanza d’acqua o di igiene può essere causa la trasmissione di malattie. Fu molto interessante ascoltare questa spiegazione, perché era meno irrazionale di quello che sembrava. I miti come questo spesso rispondono a un’esigenza di conservazione, ma possono anche essere violenti.
La colonizzazione è stata una storia di violenze ma ha lasciato delle tracce che restano nel presente, come la lingua, che è oggi un aspetto unitario per un paese vastissimo che ne parla diverse decine. Qual è l’eredità di quella storia?
La colonizzazione è durata molti secoli e credo che anche la liberazione durerà diversi secoli. Oggi esiste una libertà, ma è una libertà apparente, perché il mondo si muove allo stesso modo di prima pur avendo mutato forma. Le nuove generazioni devono esserne consapevoli e continuare a lottare. Soprattutto in questi anni, che i signori del mondo tornano a usare discorsi di stampo hitleriano.
Razzismo, intolleranza, sono cose che credevo appartenessero al passato e che invece oggi tornano con violenza a causa di un cinico calcolo politico. La questione coloniale, dunque, è ancora accesa. Alcuni europei, per lavarsi la coscienza – perché si tratta di una storia tragica –, affermano che ha avuto anche aspetti positivi. Ma quali? Avete presente del livello di distruzione che ha significato per questo continente? La forza lavoro migliore è stata rapita e portata in America. È stata un’enorme sofferenza in passato che continua ad essere sofferenza nel presente. Siamo stati imprigionati in una terra che era la nostra. Di cosa dovremmo essere grati? Del fatto che oggi parliamo portoghese?
Il portoghese è una lingua bellissima e ci aiuta a comunicare, a parlare con il mondo. Fa parte di quello che siamo. Ma ciò che è stato fatto durante la colonizzazione deve essere ancora ripagato.
In Europa tornare a parlare del passato coloniale significa anche fare i conti con il presente delle migrazioni che stanno interessando il continente. C’è molta ostilità da parte di una parte delle società europee. Lei che cosa ne pensa di questo fenomeno?
Penso che il pianeta Terra è la casa di tutti gli esseri viventi: lucertole, uccelli, persone, cobra, capre. È di tutti. Dovunque c’è spazio, quello spazio è per tutti gli esseri che lo attraversano. Gli europei possono venire in Africa e vivere nello spazio africano, perché umanamente appartiene anche a loro, come a tutte le persone che vengono in pace. Spesso, invece, gli europei sono venuti armati e hanno maltrattato il popolo africano, hanno ucciso e torturato – e i portoghesi non sono stati i primi né gli unici. Chi viene in pace dovrebbe poter andare ovunque: e se gli europei vengono qui, perché i neri non dovrebbero poter andare in Europa?
Paulina Chiziane
Paulina Chiziane è nata nel 1955 a Manjacaze, nel sud del Mozambico. Nel 1990 ha pubblicato Ballata d’amore al vento, diventando la prima donna mozambicana ad aver scritto un romanzo. Tra le sue opere ricordiamo, oltre a Niketche, Il settimo giuramento e L’allegro canto della pernice, romanzi che l’hanno definitivamente consacrata come una delle voci più intense e originali della letteratura africana. Nel 2021 la giuria le ha assegnato all’unanimità il Premio Camões, il più importante riconoscimento letterario del mondo lusofono. Lei continua a definirsi una raccontatrice di storie che recupera la ricca tradizione orale del suo paese.