Ballata scientifica del mare che cambia

di Danilo Zagaria

Canale di Beagle 2015, foto di Lorenzo Pavolini
Canale di Beagle, foto di Lorenzo Pavolini, 2015

The water level’s rising! The water level’s rising! 
The animals, the elephants, the polar bears are dying! 
Stop crying, start buying, but what about the oil spill? 
Kae Tempest, Europe Is Lost 

I dati scientifici sono chiari: i mari e gli oceani del pianeta Terra sono sempre più caldi, più acidi e più alti.

Queste trasformazioni in atto sono di origine antropogenica, vale a dire sono state causate da noi (esseri umani) e dalle nostre azioni.

Un elenco delle nostre azioni può aiutare a comprendere che tipo di attività risultino più deleterie: utilizzo diffuso del motore a scoppio; deforestazione sistematica dei polmoni del pianeta; estrazione di carbone, petrolio e gas naturale; cementificazione su vasta scala; allevamento intensivo di bovini; ricorso all’agricoltura meccanizzata, utilizzo di mezzi di trasporto ad alte emissioni (aerei); passaggio a un’economia basata sull’industria; riproduzione della specie umana.

Quanto all’ultima voce dell’elenco, è bene ricordare che secondo le stime nel 2050, cioè fra soli ventotto anni, il mondo sarà popolato da 9,74 miliardi di esseri umani. Nel 2000, cioè ventidue anni fa, eravamo 6,14 miliardi. Nel 1900, cioè centoventidue anni fa, eravamo soltanto 2 miliardi. Nel 2100 saremo probabilmente 10,87 miliardi. Oggi siamo 7,9 miliardi.

Questi 7,9 miliardi di esseri umani vivono in un’epoca che alcuni chiamano Antropocene. Nessuno sa bene quando sia iniziata, ma è noto perché è stato proposto questo nome: per sottolineare che l’essere umano contemporaneo, tramite le sue azioni, è in grado di modificare il clima terrestre e, in generale, di alterare diversi sistemi naturali della Terra, fra cui mari e oceani.

Alcuni hanno fatto notare che l’essere umano dell’Antropocene è una forza geologica.

In che modo l’umanità ha cambiato il clima? Ha iniziato a utilizzare i combustibili fossili (carbone, petrolio, gas naturale) come fonte di energia. Gli storici chiamano questo momento di grandi cambiamenti Rivoluzione industriale. Bruciando combustibili fossili si producono anidride carbonica, metano e altri gas serra, che si accumulano in atmosfera, andando a inspessire la “coperta termica” del pianeta, che in passato ha consentito l’evoluzione della vita e, più tardi, la trasformazione degli esseri umani da cacciatori-raccoglitori ad agricoltori, allevatori e cittadini. Rimanendo nella metafora della coperta: stiamo passando da una trapunta a un piumino molto spesso, che aumenta la temperatura del corpo addormentato.

In questo momento la concentrazione di anidride carbonica (CO2) in atmosfera è di 412 ppm (parti per milione). Nel 1950, settantadue anni fa, era di 311 ppm. Nel 1800, duecentoventidue anni fa, era di circa 280 ppm.

L’aumento della concentrazione di anidride carbonica e il conseguente aumento della temperatura media terrestre hanno degli effetti su mari e oceani. Effetti che ci riguardano.

È bene insistere su questo punto: ciò che succede al mare non resta nel mare. Per troppo tempo abbiamo pensato che il mare fosse essenzialmente due cose: un impiccio da superare per passare da una terra all’altra e una cornucopia di risorse inesauribili, un sistema talmente vasto da poter incassare ogni colpo, annacquandolo. Oggi sappiamo bene che non è così, ma questa presa di consapevolezza è un’acquisizione recente. Ci torneremo.

Quanto alla vastità di mari e oceani, una breve digressione sulla nostra ignoranza. Le acque occupano i sette decimi del globo terrestre. Di questa grande distesa d’acqua noi sappiamo ben poco. Si calcola infatti che soltanto il 5% di mari e oceani sia stato mappato a dovere. Il grande blu è un luogo ignoto. Un paradosso: conosciamo meglio la superficie lunare che le profondità oceaniche.


Mari più caldi

Gli scienziati ci dicono che mari e oceani oggi sono più caldi che in passato.

Alcuni dati. Da quando abbiamo iniziato a misurare la temperatura di mari e oceani in modo preciso e costante, nel 1955, gli oceanografi hanno capito che le cose non andavano per il verso giusto. L’aumento delle temperature è infatti evidente dai grafici che hanno costruito con i dati raccolti. Grafici che, purtroppo, mostrano un innalzamento progressivo delle temperature. Secondo alcune ricostruzioni storiche, gli ultimi dieci anni (2011-2021) sono la decade più calda dal 1800 a oggi. Il 2021 è in assoluto l’anno che ha fatto registrare il picco di temperature.

Un consiglio che vale (quasi) sempre. Quando si parla di clima, non è importante una singola misurazione, ma l’andamento che deriva dalla lettura di una serie di misure. In altre parole: è molto più preoccupante il dato relativo all’ultima decade (2011-2021) rispetto a quello relativo al singolo anno (2021), perché quest’ultimo potrebbe essere un’anomalia. In questo campo a contare di più sono le tendenze e non i singoli record.

Ad ogni modo, i mari sono sempre più caldi. In particolare la loro superficie: il riscaldamento è infatti concentrato nei primi 20 metri, anche se le misurazioni indicano che gli effetti si propagano ben più a fondo, fino ai 700 metri.

Bene, diranno alcuni. Più caldo è meglio. Sbagliato. Vediamo perché.

Punto primo. Se mari e oceani sono sempre più caldi, il loro volume crescerà di conseguenza. Mettete una pentola piena d’acqua sul fornello e accadrà la stessa cosa: più si scalda, più l’acqua aumenta di volume. Il problema è evidente: se mari e oceani “gonfiano”, il loro livello sale. Parleremo di questo più avanti.

Punto secondo. Se mari e oceani sono sempre più caldi, il ghiaccio marino artico fonderà più in fretta. Il legame fra questi due fenomeni è piuttosto semplice da capire: l’acqua sempre più calda fonde più rapidamente il ghiaccio che vi galleggia sopra. Infatti, secondo alcune stime, è possibile che già entro il 2050 avverrà la totale fusione del ghiaccio artico marino durante l’estate.

Breve parentesi sulle prospettive. Se sei un orso polare e non hai più ghiaccio a disposizione su cui muoverti e cacciare, la fusione del ghiaccio artico non è una bella cosa (affoghi o muori di fame). Se sei una multinazionale dei trasporti che vuole far passare le sue navi nell’Oceano artico, la fusione del ghiaccio è una bella cosa (incassi un sacco di soldi, perché fai meno fatica e le merci arrivano prima a destinazione).

Punto terzo. Se mari e oceani sono sempre più caldi, avremo eventi estremi sempre più intensi e frequenti. E qui torniamo alla massima “ciò che succede al mare non resta nel mare”. I climatologi sanno bene che mari e oceani caldi hanno grande energia, capace di interagire col sistema atmosferico e con le terre emerse. Risultato? Alluvioni lampo, bombe d’acqua, tornado, città allagate, fiumi in piena, precipitazioni intense e concentrate, dissesti idrogeologici. L’Italia è un paese molto esposto a questo genere di eventi (è un “territorio fragile”), complice un Mediterraneo sempre più caldo.

Punto quarto. Se mari e oceani sono sempre più caldi, gli ecosistemi cambiano. Il Mediterraneo, un mare che si sta scaldando a vista d’occhio, è diventato appetibile per molte specie tropicali, abituate a vivere in acque dalle temperature elevate. Motivo per cui i biologi marini stanno registrando una vera e propria invasione: centinaia di specie mai viste prima nelle nostre acque ne stanno colonizzando i vari ecosistemi.

Ecco, fra gli altri, l’affascinante granchio blu (Portunus segnis), il piccolo ma vorace sigano (Siganus luridus), il pericoloso pesce scorpione (Pterois miles). Tutti esempi di una migrazione, detta “lessepsiana”, che ha portato numerose specie marine a passare dall’oceano Indiano al Mediterraneo dopo l’apertura del canale di Suez (il nome della migrazione deriva dal costruttore del canale, il francese Ferdinand de Lesseps). Nell’ottobre del 2021 un pescatore cipriota ha documentato il primo avvistamento di uno squalo balena, altra specie tropicale, nel Mediterraneo.

Anche qui, è necessario fare una parentesi sulle prospettive. Quando le condizioni ambientali cambiano, per alcune specie è una buona cosa, per altre no. Se inizia a fare più caldo per decenni, una specie può estinguersi mentre un’altra può prosperare perché adatta a vivere in un ambiente più caldo. Se una specie migra e si stabilisce da un’altra parte, dove si acclimata, per lei è un’ottima cosa, ma per altre può essere un incubo (un nuovo predatore? un nuovo competitore?).


Mari più acidi

Gli scienziati ci dicono che mari e oceani oggi sono più acidi che in passato.

Sebbene questo sia un fenomeno leggermente più difficile da afferrare rispetto agli altri, i suoi effetti, invece, sono ben noti.

Spiegazione tecnica. Mari e oceani assorbono anidride carbonica dall’atmosfera (un’ottima notizia per il clima, perché così facendo tamponano la grande quantità di CO2 che noi esseri umani immettiamo in atmosfera). Una volta che questa è disciolta, reagisce con le molecole d’acqua, dando origine a un acido, detto acido carbonico. La presenza di questo acido viene contrastata da un “meccanismo di sicurezza” dei sistemi acquatici: il carbonato di calcio presente nell’acqua si lega all’acido carbonico, limitandone così la quantità. Tuttavia, nel momento in cui la CO2 assorbita da mari e oceani è troppa, il pH, che è l’unità di misura dell’acidità, si abbassa: gli oceani diventano quindi un po’ più acidi di prima. Il vero problema è che l’aumento dell’acidità fa sì che gli oceani siano in grado di assorbire meno anidride carbonica dall’atmosfera (male per noi) e finiscano per liberarne a loro volta (molto male per noi).

In altre parole, gli oceani si stanno acidificando per via della grande quantità di anidride carbonica presente in atmosfera. È come se ne stessero facendo indigestione, compromettendo così la loro stabilità chimico-fisica.

Per la cronaca, nel corso di un paio di secoli (dal 1751 al 2021) il pH dell’acqua di mare è passato da una media di 8,25 a una media di 8,14 (il succo di limone, molto acido, ha un pH di 2,5).

All’apparenza potrebbe sembrare una variazione di poco conto, ma così non è. La scala del pH è di tipo logaritmico; ciò significa che una modifica di pochi punti equivale a un cambiamento notevole nella realtà. Le specie marine, inoltre, sopravvivono grazie a reazioni chimiche che si basano sul grado di acidità dell’ambiente esterno e dei loro fluidi corporei interni. Per questi motivi, l’acidificazione dei mari e degli oceani è un fenomeno che ha delle ripercussioni sulla vita marina nella sua interezza.

La Grande Barriera Corallina australiana, la più grande del mondo, si estende per una superficie di mare ben più grande dell’Italia ed è costituita da un mosaico di 3.000 singole barriere coralline. È una vera e propria foresta sommersa, ricchissima di forme di vita.

Per diverso tempo si è pensato che l’acidificazione di mari e oceani fosse responsabile della moria e dello sbiancamento delle barriere coralline, un fenomeno noto come bleaching. Di recente si è capito però che i coralli sono piuttosto resistenti alle alterazioni del pH, mentre soccombono all’aumentare della temperatura. Mari e oceani più caldi portano alla rottura della simbiosi fra il corallo e le alghe che lo costituiscono; senza le alghe, il corallo si decolora e degenera rapidamente.


Mari più alti

Gli scienziati ci dicono che mari e oceani oggi sono più alti che in passato.

Questo fenomeno è tra i più noti anche fra i non addetti ai lavori. Quasi tutti sanno che “a causa del gran caldo i ghiacci si sciolgono e il livello dei mari sale”. Non si tratta però di una sorta di diluvio universale, di uno tsunami in grado di spazzare via le città costiere e di sommergere i monumenti più famosi nel giro di pochi anni. È invece un fenomeno lento, graduale, minaccioso proprio perché invisibile (come quasi tutti quelli elencati finora).

Prima di passare alle cause, diamo una misura a questa lentezza. Si stima che negli ultimi centoventi anni, cioè dall’inizio del Novecento in poi, il livello di mari e oceani sia salito di 15-20 centimetri. Il ritmo sta però accelerando, dato che si è passati da 1-2 millimetri all’anno a circa 3,7 millimetri all’anno.

Ma è davvero colpa del ghiaccio? Sì, in parte. È necessario precisare che è la fusione dei ghiacciai continentali (per esempio le calotte polari della Groenlandia e dell’Antartide) a costituire un problema; il ghiaccio galleggiante sull’Oceano artico, invece, non rappresenta una minaccia in questo senso perché è ghiaccio già parzialmente immerso in acqua e la sua fusione dunque non implica l’aumento del livello del mare. Del secondo fenomeno responsabile abbiamo già parlato: è l’espansione termica delle acque, che aumentano di volume quando riscaldate.

Ecco alcuni stati che, ad oggi, sono più preoccupati di altri dall’innalzamento del livello di mari e oceani: Kiribati, Micronesia, Maldive, Comore, Samoa, Palau, Tonga, Tuvalu, Vanuatu, Seychelles, Nauru.

Delle dieci città più popolose del mondo, cinque sorgono sul mare: Shanghai, Tokyo, Giacarta, Manila, New York.

I mari più alti minacciano non soltanto le città costiere e quanto gli uomini hanno costruito sul mare, bensì sono all’origine di problemi ben più subdoli. Uno dei più insidiosi è la salinizzazione delle falde acquifere, vale a dire la “contaminazione” di una delle risorse più importanti e preziose sulla Terra: l’acqua dolce. L’acqua salata si incunea sotto alle coste, penetrando nell’interno e compromettendo falde acquifere e campi coltivati. Per molti paesi insulari, fra cui quelli sopraelencati, l’incubo peggiore non è un mare sempre più alto che sommerge tutto quanto, bensì il sale che rende inutile ogni coltivazione e l’acqua che minaccia l’integrità stessa degli edifici costruiti nei pressi del mare.

Da tempo uomo e mare combattono una vera e propria battaglia, lì sulla battigia. Il mare erode, distrugge, avanza, corrompe col sale. L’uomo, dal canto suo, cerca di difendersi come può e di far valere la propria presenza: costruisce dighe, città costiere, porti, piattaforme petrolifere, canali, barriere frangiflutti, isole artificiali e attua costantemente il ripascimento, vale a dire il rinforzo delle spiagge erose dall’azione del mare con sabbia prelevata altrove.

Consapevoli o meno di essere la causa dell’innalzamento del livello di mari e oceani, noi esseri umani costruiamo da decenni interi quartieri strappandoli al mare. È un fenomeno che prende il nome di land reclamation. Alcuni risultati sono sotto gli occhi di tutti: il quartiere di Fontvieille a Monaco, le tre isole artificiali chiamate Palm Islands negli Emirati Arabi Uniti, numerose aree residenziali a Hong Kong e Singapore.

Chi ha paura di vedere l’intera popolazione trasformata in profughi climatici (nel 2018 erano 17,2 milioni) costruisce città galleggianti. È il caso della Maldives Floating City, che sorgerà a dieci minuti di barca dalla capitale dell’arcipelago, Malé. Una città sostenibile e resiliente, edificata per ospitare circa 20.000 persone. Il futuro, la fantascienza, è già qui.


Chiusa

Ripetiamolo: ciò che succede al mare non resta nel mare.

 

 

Danilo Zagaria

Biologo di formazione, lavora in campo editoriale come redattore freelance per diverse case editrici e service editoriali. Scrive di scienza, ambiente e libri per diverse testate, fra cui «La Lettura» del «Corriere della Sera». È divulgatore scientifico e organizza attività culturali volte alla promozione di lettura e scrittura. Il suo primo libro è In alto mare (add editore, 2022).