Cosa ci affascina della fine

di Claudio Kulesko

Blackened
immagine tratta dalla copertina di Blackened, Cassini/Kulesko

P. «Desidero che si spieghi, signor Vankirk.»
V. «Vorrei farlo, ma questo richiede uno sforzo superiore alle mie forze.
Lei non mi fa le domande giuste.»
Ρ. «Cosa le debbo chiedere?»
V. «Deve cominciare dal principio.»
P. «Il principio! Ma dov’è il principio?»
V. «Sa che il principio è DIO».

E.A. Poe, Rivelazione mesmerica


Nel marzo 1848, a Hydesville, New York, la placida vita della famiglia Fox viene sconvolta da una serie di misteriosi accadimenti. Nel cuore della notte, gli abitanti della casa vengono svegliati di soprassalto dal frastuono di porte sbattute, dal rumore di mobili trascinati lungo il pavimento, da colpi battuti alle pareti, nonché da grida e gemiti di origine inspiegata.
Il 31 marzo, stanche di vivere nel terrore, le sorelle Kate e Margaret Fox ‒ all’epoca, rispettivamente, di undici e quindici anni ‒ decidono di stabilire un contatto con il misterioso autore dei misfatti. Kate schiocca le dita e sfida l’entità a fare lo stesso. La risposta giunge subito. Incoraggiata da quel primo successo, Kate chiede all’entità di battere tanti colpi quanti sono gli anni suoi e di sua sorella. Ancora una volta, la risposta non tarda ad arrivare. Le due sorelle battezzano l’entità con il nome di “Mr. Splitfoot” (ossia “Signor Piede-Caprino”, uno dei tanti nomi attribuiti dal folklore americano al Diavolo).
Dopo qualche tempo, grazie alla mediazione delle sorelle Fox, e al sistema di comunicazione da loro inventato, la creatura incorporea si rivelerà essere lo spirito di un venditore ambulante, ucciso anni prima proprio all’interno della casa: Charles B. Rosma.
Alla fine, i coniugi Fox decidono di allontanare le sorelle, per proteggerle da eventuali influenze maligne. Kate e Margaret vengono affidate alle cure dello zio e della sorella maggiore, Leah. Gli enigmatici fenomeni, tuttavia, si spostano con loro e, assieme a essi, le voci riguardo le incredibili capacità medianiche delle ragazze.
Nel giro di due anni, le Sorelle Fox (con la “s” maiuscola) diventano le medium più celebri degli Stati Uniti. Le loro facoltà e le loro testimonianze trovano riscontro nei libri di Allan Kardec, fondatore dello spiritismo, e negli insegnamenti di Franz Mesmer ‒ ideatore del “mesmerismo”, l’antenato del moderno ipnotismo ‒ mescolandosi e fondendosi con i principi di tali dottrine. Alle sedute organizzate dalle Fox partecipano politici, intellettuali e affaristi. Kate, in particolare, si distingue per essere in grado di manifestare non solo colpi e battiti, ma anche voci, luci, oggetti solidi e persino un paio di mani spettrali sospese nel vuoto.
Nel 1888, Margaret ‒ divenuta preda di forze ben più oscure di quelle alle quali è abituata, sarebbe a dire l’alcolismo e l’ortodossia religiosa ‒ pubblica sul New York World una confessione scritta, all’interno della quale vengono illustrati i metodi, del tutto truffaldini, impiegati da lei e dalla sorella per produrre le voci spettrali e i battiti incorporei. Un inganno cominciato a marzo del 1848, per noia, e protrattosi negli anni, per la fama e il denaro, messi a disposizione dall’allora nascente movimento spiritista, per le interviste e le sedute pubbliche.
Nella sua confessione, Margaret racconta di come, in quel fatidico anno nel quale tutto è cominciato, l’intero vicinato si fosse messo alla ricerca dell’assassino di Charles B. Rosma. I sospetti erano subito ricaduti sul precedente proprietario della casa: un certo Bell. Da quel momento in poi, Bell era stato considerato dall’intera comunità alla stregua di un efferato criminale, finendo con l’essere isolato ed emarginato per il resto della sua vita. Un fatto che Margaret non era mai riuscita a perdonarsi.
Nel giro di qualche anno, le rivelazioni sul caso delle Sorelle Fox conducono alla fine dello spiritismo in quanto fenomeno di massa.
In un arco di tempo che va dall’1888 al 1893, le Fox si spengono, una dopo l’altra, portandosi nella tomba tanto la gloria passata, quanto l’infamia degli ultimi anni.
Il movimento spiritista si spegnerà del tutto nel 1926, con la fallita evocazione dello spirito del celebre prestigiatore Harry Houdini. Ma la storia delle Sorelle Fox non finisce qui.
Nel 1904, infatti, nel corso di alcuni lavori di ristrutturazione, nella cantina della vecchia casa di famiglia dei Fox vengono rinvenute delle ossa umane, sepolte a poche decine di centimetri sotto le assi di legno che compongono il pavimento: i resti mortali di un venditore ambulante, ucciso, decenni prima, all’interno della casa.

Nel 1844, Edgar Allan Poe aveva già anticipato il nucleo teorico della dottrina spiritista, trattando il tema delle facoltà medianiche all’interno del racconto intitolato Rivelazione mesmerica. Partendo dalla trance indotta dall’ipnotismo, Poe sprofonda i due protagonisti del racconto in una serie di scambi di natura metafisica. Il soggetto sperimentale, “V.”, immerso in un sonno catatonico, riporta a sommi capi ‒ e al limite delle possibilità del linguaggio umano ‒ la struttura fondamentale dell’universo. Da un lato, Poe descrive il moto perpetuo delle cose, dei corpi celesti e di tutta la materia inorganica; dall’altro, lo sviluppo tormentoso e limitato dei corpi organici. L’idea di Poe è fulminante, intrisa di un orrore di natura prettamente astratta e filosofica: ogni singola cosa presente nel mondo corrisponderebbe, stando a tale punto di vista, a un’idea di Dio ‒ dai minerali agli organismi naturali, fino agli angeli e agli altri esseri incorporei che popolano i cieli.
Ma se la materia non-vivente è destinata a muoversi per sempre, peregrinando senza meta nel vuoto cosmico, lo stesso non può dirsi di quella vivente. La rivelazione che Poe offre all’attonito lettore riguarda, infatti, lo scopo ultimo di ogni organismo, che corrisponderebbe proprio nel soffrire, nel raffinare, per mezzo del dolore, l’infinitesimale componente divina presente nel proprio corpo, così da poterlo infine abbandonare (come la farfalla fa con la crisalide) e transitare a quella che Poe denomina la “vera vita” ‒ un paradiso di quiete catatonica.
Inaspettatamente, sarà proprio Sigmund Freud, nel 1920, a riproporre tale teoria, nel suo Al di là del Principio di Piacere ‒ seppur in veste più scientifica. Per Freud, come per Poe prima di lui, ogni essere vivente sarebbe tormentato da un “fastidio” primordiale, ambiguamente descritto come un dolore scaturito dall’abbandono della quiete del grembo materno, ma anche come una sorta di “nostalgia”, propria alla materia organica in generale. Ogni organismo, in breve, coverebbe in sé il desiderio di tornare alla pace, al silenzio e all’immobilità della materia inorganica. Un desiderio che ciascuno di noi conquisterebbe solo nel momento della propria morte.
Non a caso, le spoglie mortali, le ossa che lasciamo polverizzarsi nelle tombe, rappresentano qualcosa di più di “quel che resta”. Esse, di fatto, sono la più potente testimonianza del nostro antico legame con la materia inorganica: la nostra, per così dire, “appartenenza originaria”.

Le paure giunte fino a noi attraverso i miti, le leggende e il folklore, riguardanti spettri e fantasmi, nonché le nozioni confuse e frammentarie elaborate dallo spiritismo, insistono su una delle più profonde intuizioni forgiate tra gli incubi della nostra specie: che la morte non rappresenti la fine; che dopo di essa vi sia qualcos’altro. Non la pace del Paradiso cristiano; né la trasmigrazione in un nuovo corpo; né l’estinzione di un Sé tanto illusorio, quanto essenziale.
L’idea alla base della nostra credenza istintiva negli spettri e nelle apparizioni, rimanda molto da vicino all’Ade ‒ l’oltretomba inquieto e affolato immaginato dai Greci ‒, ma anche al terrificante limbo descritto da Ambrose Beirce nel racconto Un cittadino di Carcosa. Il timore nei confronti degli spiriti dei morti procederebbe, in sostanza, dal terrore, ancor più profondo e radicato, di un oltretomba in cui l’esistenza umana si estenda senza tuttavia cessare. Uno spazio vuoto ed enigmatico, popolato da ombre senza pace, deprivate di ogni fine e di ogni desiderio ‒ se non l’angoscia di non essere più vive.
La fine, da questo punto di vista, non è che una continuazione, un prolungarsi delle sofferenze, delle paure e delle angosce, spogliato di ogni speranza di redenzione o di estinzione. Osservato da tale inquietante prospettiva, lo scheletro che ci lasciamo alle spalle nel momento del decesso si tramuta in un simbolo: il sigillo del nostro irriducibile legame con un mondo intriso di dolore.

In Blackened, la piccola antologia “catastrofica” che ho scritto e composto assieme ad Andrea Cassini, tale idea viene condotta al proprio punto apicale. L’interrogativo che, saggio dopo saggio, il libro pone al lettore, è riassumibile più o meno nel modo seguente: cosa accadrebbe se vi fosse più di una fine? Cosa ne sarebbe di noi se, a ogni fine ‒ a ogni conclusione, a ogni catastrofe, a ogni estremo addio ‒ ne seguisse un’altra, ancor più terrificante della precedente?
Un po’ come il signor “P.”, l’ipnotista al centro di Rivelazione Mesmerica, abbiamo tentato di metterci in contatto con le entità, le forze e le correnti sotterranee che vagano senza posa per il mondo, intercettando paure, concetti e intuizioni, legati al tema della fine: la fine dell’individuo, della storia, la fine della nostra specie, del nostro pianeta e dell’universo stesso ‒ in un crescendo che, dall’antichità, giunge al futuro più remoto.
In particolare, uno dei saggi contenuti all’interno della raccolta, buffamente intitolato L’abominevole bisbiglio del Nero Attrattore Cadaverico, mi ha sempre colpito per la sua capacità di astrarre e sintetizzare lo spirito del libro. Si tratta di un testo ‒ scritto più o meno in “automatico” ‒ che affronta il rapporto dell’essere umano con l’aldilà, con gli spiriti dei morti e le loro rappresentazioni. Lo scritto recupera un’idea abbozzata da Elias Canetti nel suo monumentale Massa e potere: l’ipotesi che l’essere umano sia fondamentalmente terrorizzato dalla massa dei morti, dal loro numero pressoché illimitato, e dal loro rancore nei confronti di quelli che sono loro sopravvissuti. Ciò a cui, tuttavia, il saggio tenta di approdare, è una sorta di delirante prosecuzione del concetto introdotto da Canetti: un’ipotesi secondo la quale ogni qualvolta entriamo in contattow con l’aldilà ‒ per mezzo di allucinazioni, sogni, visioni o sensazioni non meglio definite ‒ ci relazioniamo, in realtà, con qualcosa di concreto, per quanto remoto nel tempo e nello spazio. Ad attenderci, dall’altra parte, c’è la fine: la nostra fine, nonché la fine di ogni cosa.
La “dimensione spettrale”, lo spaventoso limbo abitato dalle anime dei morti, è separato dal nostro mondo da un velo sottile quanto la nostra immaginazione. Un confine labile, costantemente sull’orlo dell’annichilimento, pronto a spalancarsi e riversare su di noi i terrori dell’oltretomba. Terrori immaginari, forse ‒ ma chi può mai affermare di avere certezze in merito a certe questioni?

Con ogni probabilità, ciò che più ci affascina (e angoscia) della fine, è il timore ancestrale che essa non sia la fine, ma un proseguimento. Un nuovo, terribile inizio, eternamente sospeso sull’orlo di un abisso dal quale non vi è alcuna via d’uscita.

 

 

Claudio Kulesko 

Claudio Kulesko è un traduttore e ricercatore indipendente. Si occupa per lo più di pessimismo filosofico, realismo speculativo e filosofia contemporanea. Per Nero Edizioni ha tradotto Tra le ceneri di questo pianeta (2019) e Rassegnazione infinita (2021), di Eugene Thacker. È tra gli autori di Demonologia rivoluzionaria (2020). Assieme ad Andrea Casini è autore di Blackened – Frontiere del pessimismo nel XXI° secolo. Suoi racconti sono apparsi su riviste quali L’Indiscreto, Argo e Nazione Indiana, nonché su diverse antologie.