Occorre ripoliticizzare il tema della movida

di Christian Raimo

Periferia romana, foto da www.specchiodeitempi.org

[…] Mancano letture politiche della questione movida, nonostante movida entri da protagonista in qualunque dibattito politico non solo sulla città. Per farlo occorre prima di tutto decostruire la storia ormai non breve dell’ideologia securitaria che ha colonizzato lo spazio del dibattito politico sulle città. Occorre studiare, discutere e scendere in piazza, consapevoli che questa linea di conflitto sarà sempre più importante.
Veniamo a studi più seri e più utili dunque. Uno è stato condotto da Enrico Gargiulo e Anna Avidano, e mette al centro della questione proprio l’intervento politico. Si può scaricare qui e s’intitola Il “governo” della movida a livello locale: una ricerca sulle ordinanze sindacali “anti-alcool” e “anti-vetro”. L’analisi viene fatta su 55 (!) ordinanze su 34 città, e racconta come viviamo nel pieno di una storia recente ma non breve appunto, la Stagione dell’emergenza continua, dal Pacchetto sicurezza di Maroni e le modifiche al potere di ordinanza, in cui non solo i poteri sulla pubblica sicurezza si allargano ma si amplia la legittimazione di quest’allargamento dei poteri. È del 2008 il decreto legge che modifica il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali e che introduce la nozione, ormai invalsa, di “sicurezza urbana”.

«Il sindaco, quale ufficiale del governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, provvedimenti anche contingibili e urgenti al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana».

Nel 2011 la Corte costituzionale, ricordano Gargiulo e Avidano, scrive che la norma è illegittima. È una sentenza importante che i dieci anni dopo la crisi cercheranno di picconare pezzo a pezzo, riuscendoci prima de facto e poi, in molti casi, de iure.
Nell’aprile del 2011, tuttavia, la Corte costituzionale interviene dichiarando illegittima la norma del 2008. Secondo la Corte, i poteri attribuiti ai sindaci dal d.l. 92 sarebbero caratterizzati da una «portata essenzialmente normativa», data la possibilità che un amministratore locale «emani anche provvedimenti di ordinaria amministrazione a tutela di esigenze di incolumità pubblica e sicurezza urbana»; provvedimenti, come tali, a efficacia illimitata nel tempo. Le nuove ordinanze, dunque, tenderebbero a configurarsi come norme a carattere permanente, capaci di imporre «divieti od obblighi di tenere comportamenti significativi sul piano religioso o su quello delle tradizioni etniche», così da incidere indebitamente «su materie inerenti ai diritti e alle libertà fondamentali».
Già, la Corte prova a tamponare, ma il danno è fatto, non solo perché quella fonte normativa resta ed è il modello sulla quale vengono ricalcate tutte le ordinanze e i regolamenti urbani, ma perché riesce a confermare un pregiudizio in modo ideologico prima e attuativo poi.
Arriviamo al terribile decreto Minniti-Orlando, che fa un passaggio in più. Riesce a modulare la nozione di sicurezza urbana aggiungendo un altro pezzo di ideologia mancante: il decoro. La sicurezza urbana viene ridefinita “bene pubblico relativo alla vivibilità e al decoro delle città”. Questa nuova terminologia può ottenere lo stesso effetto di dare legittimazione all’arbitrio dell’ordine pubblico – chi è che giudica e decide qual è la vivibilità o il decoro? – ma evita di incappare nelle censure della Corte Costituzionale in cui era inciampata la Lega. Abbiamo trovato la leva! Per fare politiche di destra: securitarie, repressive, di controllo, ma abbiamo parole neutre, weasel words come si direbbe in sociolinguistica: parole adatte a essere plastiche a ogni tipo di uso soggettivo.
Non è chiaro? Per X può essere indecorosa una piazza piena di suv parcheggiati, per Y – come accade molto spesso – può essere indecorosa una piazza in cui ci sono degli stranieri che mangiano sulle panchine o dei senzatetto che dormono sotto un portico per ripararsi dalla pioggia. È come se i regolamenti condominiali più repressivi fossero diventati legge dello stato, e con i regolamenti i poteri d’intervento delle classi politiche e delle forze dell’ordine assurti a amministratori di condominio e portieri delle città.
Il risultato è evidente: «Al di là della sostenibilità giuridica e della tenuta costituzionale delle modifiche introdotte, la tendenza sembra piuttosto chiara: negli ultimi dieci anni, i margini di autonomia riconosciuti ai primi cittadini hanno teso ad allargarsi, seppur in maniera ambivalente e formalmente illegittima. Questo tipo di propensione è riscontrabile anche se si guarda all’operato quotidiano dei sindaci, con frequenza impegnati nell’emanazione di provvedimenti ‘creativi’ e spesso escludenti, accomunati, nella loro enorme varietà, dal fatto di essere in aperto contrasto con la normativa statale vigente».

È interessante come la legittimazione ideologica di questi provvedimenti coinvolge degli stakeholders – sempre meno nel tempo, quando il meccanismo diventa automatico e la norma può giustificarsi da sé, evidentemente – che sono anche qui arbitrariamente rappresentativi: autoproclamati comitati di quartiere, associazioni di residenti o di categoria. Mancano sempre altre forme di rappresentanza: le associazioni universitarie, i coordinamenti studenteschi, i sindacati, i movimenti per la casa, le associazioni di stranieri, etc… Chi decide è in genere maschio, over 50, benestante, residente, professionista, etc…


La trimurti delle politiche urbane: sicurezza, decoro, ordine pubblico

Lo scivolamento del concetto di sicurezza da una safety economica sociale alla sicurezza come controllo – la security – è la storia in cui la lotta di classe si è fatta nelle città, ed è stata vinta da una parte: chi ha rendita, chi vuole chiudere gli spazi pubblici, chi pensa che la città sia essenzialmente il luogo dei proprietari e dei consumatori.
Sicurezza, decoro, e ordine pubblico sono diventate la triade di una nuova egemonia ideologica che riesce a mettere insieme esponenti politici di sinistra e di destra. Il ruolo giocato da queste tre nozioni nel giustificare l’emanazione dei provvedimenti è assolutamente centrale. Gargiulo e Avidano riportano come quasi tutte le 55 misure considerate contengono riferimenti alla sicurezza; più dei due terzi parla di decoro (o di degrado); poco meno della metà rimanda all’ordine pubblico.
Le ordinanze fatte in nome di sicurezza, decoro e ordine pubblico delineano un’idea di mondo in cui il degrado, la minaccia, il pericolo, il rischio sono da contrastare attraverso un controllo sempre più pervasivo. Se non ronde, telecamere; se non ruspe, taser; se non sgomberi, diffide.
Le dimensioni della minaccia e del rischio non riguardano soltanto il concetto di sicurezza, ma interessano anche le altre due nozioni sopra richiamate. Un atto intenzionale che costituisce una minaccia per un passante rappresenta una turbativa dell’ordine pubblico, mentre l’abbandono di rifiuti in strada equivale a un attacco al decoro. Per questa ragione, l’attenzione alle tre categorie manifestata dagli estensori delle ordinanze può essere scomposta, sinteticamente, nella preoccupazione per due diversi aspetti della vita urbana: il “degrado urbano e l’insicurezza”, che coincide con quei fattori che minacciano la sicurezza individuale e l’ordine pubblico; la “vivibilità e la tutela delle persone”, che equivale all’assenza di elementi di rischio per l’incolumità personale e per l’estetica dei luoghi e degli spazi.
Il destinatario di queste misure, che diventa da un punto di vista ideologico l’avversario, è evidente dai riferimenti delle ordinanze che riguardano in diverse percentuali chi non risponde a una “norma urbana” implicita e esplicita, e con un progressivo accanimento nei confronti nei confronti di alcune categorie sociali.

percentuali

Insieme alla triade, c’è un’altra nozione che le tiene insieme tutte e tre: quella di devianza. Che viene estrapolata dal contesto disciplinare della sociologia dove è un termine problematico, e riportato come se fosse un termine neutro nel discorso pubblico, dove diventa chiaramente un sinonimo di stigma e di patologia. Ma qui il discorso sarebbe lungo.
L’esito di queste ordinanze è presto detto. Scrivono Gargiulo e Avidano: «La ‘regolazione’ effettuata dalle ordinanze, dunque, può essere propedeutica all’adozione di un vero e proprio strumento regolamentare. Il meccanismo che si innesca in questi casi è il seguente: i provvedimenti fungono da dispositivi in grado di istituire un frame legittimato a livello politico che, una volta affermatosi, restringe le possibilità di spostare il discorso pubblico al di fuori del quadro tracciato dall’amministrazione locale. Emanata l’ordinanza, in altre parole, il percorso verso il regolamento è in un certo senso già segnato: sono pensabili piccole variazioni, ma non stravolgimenti sostanziali. La vicenda di alcune città, tra cui Torino e Venezia, è emblematica al riguardo: provvedimenti ripetuti nel tempo hanno imposto gradualmente un certo modo di intendere la materia, fino a creare le premesse per la modifica del Regolamento di polizia urbana. Queste città, perciò, oltre a costituire un modello per altre realtà di piccole e medie dimensioni, hanno reso reale un modello di governo che, attraverso l’uso di strumenti emergenziali, mira a incidere in modo strutturale su determinati fenomeni.

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Ringraziamo Christian Raimo per averci consentito di pubblicare uno stralcio del suo intervento su decoro e movida. Il saggio completo è su minima&moralia

 

 

Christian Raimo

Christian Raimo (1975) è nato a Roma, dove vive e insegna. Ha pubblicato per minimum fax le raccolte di racconti Latte (2001), Dov’eri tu quando le stelle del mattino gioivano in coro? (2004) e Le persone, soltanto le persone (2014). Insieme a Francesco Pacifico, Nicola Lagioia e Francesco Longo – sotto lo pseudonimo collettivo di Babette Factory – ha pubblicato il romanzo 2005 dopo Cristo (Einaudi Stile Libero, 2005). Ha anche scritto il libro per bambini La solita storia di animali? (Mup, 2006) illustrato dal collettivo Serpe in seno. È un redattore di minima&moralia e Internazionale. Nel 2012 ha pubblicato per Einaudi Il peso della grazia (Supercoralli) e nel 2015 Tranquillo prof, la richiamo io (L’Arcipelago). È fra gli autori di Figuracce (Einaudi Stile Libero 2014).