Per far ridere devi allenarti a fallire

di Silvia Gribaudi

Silvia Gribaudi e Domenico Santonicola in "What age are you acting?", 2014, foto Margherita Mana
Silvia Gribaudi e Domenico Santonicola in “What age are you acting?”, 2014, foto Margherita Mana

«Non vi è comicità al di fuori di ciò che è propriamente umano».
È così che Henri Bergson inizia Il riso – saggio sul significato del comico, un libro che mi ha offerto spunti per approfondire la mia ricerca artistica sulla relazione tra comicità, danza e coreografia.
Ridere è generare vibrazione coreografica, è il mio modo di danzare e di far danzare, di portare lo sguardo sui corpi e rompere il giudizio. 
Dal 2008 approfondisco il lavoro sul corpo e sullo “smascheramento di cliché” come autrice, performer e coreografa. Quando compongo una coreografia cerco una verità del corpo e spesso a far ridere è questa “verità”.

Sempre Bergson scrive:
«Non potremmo apprezzare il comico se ci sentissimo isolati. Sembra che il riso abbia bisogno di un’eco. Ascoltatelo bene: non è un suono articolato, netto, conchiuso; è qualcosa che vorrebbe prolungarsi ripercuotendosi a poco a poco, qualcosa che inizi con uno scoppio, per continuare con un rimbombo, come il tuono in montagna. E tuttavia, questa ripercussione non deve continuare all’infinito, può espandersi all’interno di un cerchio largo quanto si vuole, il cerchio rimane comunque chiuso, il nostro riso è sempre un riso di gruppo. (…) Per quanto franco lo si supponga, il riso nasconde sempre un pensiero d’intesa, direi quasi di complicità, con altre persone che ridono, reali o immaginarie (…)
Per comprendere il riso, bisogna collocarlo nel suo ambiente naturale, che è la società; bisogna soprattutto determinare la funzione utile, che è una funzione sociale. Il riso deve rispondere a certe esigenze della vita in comune. Il riso deve avere un significato sociale».

Il binomio corpo e società, nelle performance che porto in scena, è alla base della struttura della drammaturgia coreografica. Quello che cerco è di destrutturare il rapporto formale tra pubblico e performer e ottenere con la risata una trasformazione dello sguardo dello spettatore nei confronti dei corpi in scena.
Il riso è inserito nella partitura coreografica con un preciso “timing”, il cui studio viene perfezionato nella pratica in presenza del pubblico.
Azione e reazione, causa ed effetto, la vibrazione della risata del pubblico diventa parte della coreografia studiata con i danzatori.

Quello che è stupendo del riso è il rischio di non far ridere e l’opportunità di stare nel disagio che ne deriva. Questo rischio diventa parte della pratica della scena e offre sempre nuovi spunti: per far ridere devi allenarti a fallire. 

Durante le prove, nel processo coreografico, faccio molti incontri di prove aperte con il pubblico, ed è molto utile per capire che tipo di effetti provocano le azioni che portiamo in scena in chi guarda. Durante le prove aperte osservo tutto quello che accade e poi cerco di rispondere a delle domande:
Le persone ridono?
Quando?
Dove mi hanno sorpreso le risate?
Devo modificare i tempi della coreografia?
Quali?
Devo togliere struttura e praticare improvvisazioni? In quali momenti?
Ridevano o sorridevano?
Se sono dieci le persone che mi stanno guardando, in quante ridono?
Mi conoscono? Conoscevano già il mio lavoro?
Cosa si aspettano da me? Si aspettano di ridere o no?
Quanto tempo impiegano le persone che non ridono a lasciarsi andare?
Come posso relazionarmi con chi non ride ed è infastidito dalla risata degli altri?
Lo sguardo come devo usarlo? Il tempo del viso e il tempo del corpo come sono in relazione?
La risata del pubblico cosa provoca dentro il/la performer? Come gestire le emozioni che la risata del pubblico provoca in chi danza per non tradire la struttura coreografica?
Se mentre danzo ridono e io non me lo aspettavo… che cosa è successo?

Quando accade una reazione imprevista, la riprovo più volte, per vedere se è stato un caso oppure se si ripete ogni volta e cerco di ricreare lo stesso stato ritmico e di presenza.
Mi diverte creare un tempo di attesa con il pubblico, un tempo di apparente disagio, come quando si rimane in silenzio in una stanza con tante persone, per poi trovare una ”soluzione” per trasformare quel disagio nell’occasione di vivere un’esperienza sociale di una situazione perfettamente imperfetta.
All’interno del ritmo coreografico attendo, come un momento sacro, il silenzio dentro cui giocare con il virtuosismo funambolico che possa far ridere. È quel silenzio a esplodere in una risata.

Bergson scrive: 
«Il comico nasce nel preciso istante in cui la società e la persona, libere dalla cura per la propria conservazione, cominciano a trattare sé stesse come opere d’arte. In breve, se tracciamo un cerchio intorno alle azioni e alle disposizioni che compromettono la vita individuale o sociale e che si correggono da sé con le loro conseguenze naturali, al di fuori di questo terreno di emozioni e di lotte, in una zona neutra in cui l’uomo si offre semplicemente come spettacolo all’uomo, rimane una certa rigidità del corpo, dello spirito e del carattere, che la società vorrebbe a sua volta eliminare per ottenere dai suoi membri la più grande elasticità e la più alta socievolezza possibili. Il comico è tale rigidità, e il riso ne è la correzione. (…) Poiché il comico oscilla tra la vita e l’arte».

Con ogni performer con cui ho l’opportunità di lavorare cerco di fare emergere un “clown”, non come personaggio, ma come persona che si mette a nudo e ride di sé stessa, facendo ridere il pubblico delle proprie fragilità.
Mi piace citare questa di definizione di Minna Salami, da sensuous knowledge: a conversation with Minna Salami di Andy West, apparsa su «3:AM MAGAZINE»: «Clowning contains an element of recreating the self. So many concepts of womanhood have been predetermined by others. A lot of liberation lies in taking the freedom to define yourself. So the clown became an interesting concept through which to think about liberation. For example, for women its pre-decided that they must be a sex object, but the clown plays with not being sexy».

Ogni artista ha il proprio metodo di composizione coreografica sul riso e sin dal lockdown della scorsa primavera ho sentito l’esigenza di dialogare con altri artisti e artiste su questo tema. Condivido con voi alcune osservazioni di Andrea Costanzo Martini:
«Secondo me la risata è innanzitutto una bussola della verità. Dove c’è la risata qualcosa è rivelato, confessato, esposto. Prima ancora che nello spettacolo, il ridere mi è utile nel processo creativo. Quando durante le prove si ride di qualcosa, è un segno che lì c’è da scavare, un tesoro nascosto che chiede di essere portato alla luce. Nel mio lavoro la risata è raramente intenzionale. Credo di non aver mai creato apposta una scena perché facesse ridere, piuttosto preferisco che la scena stessa riveli di sé le proprie contraddizioni, o rifletta quelle di chi guarda attraverso la risata. Mi piace scoprire che una serie di azioni faccia ridere e condividere questa scoperta col pubblico, seguendo la regola che la risata è sempre e comunque la benvenuta qualunque sia la situazione. If it’s funny, say it».
Con Andrea abbiamo dialogato molto sul cambiamento del riso negli spettacoli prima e durante la pandemia.
Per esempio in GRACES (il mio ultimo spettacolo) il ritmo della risata è cambiato, cambiando anche lo spettacolo. Non è peggio o meglio di prima, è semplicemente diverso. Il pubblico è distanziato, quindi l’effetto contagioso del ridere ha un tempo dilatato e intermittente, inoltre indossa la mascherina che attutisce il suono del riso quindi dalla scena è più difficile cogliere i tempi di azione e reazione.

Ora sono in una nuova esplorazione che è quella dell’online, ancora non ho capito bene come usare questo strumento al servizio del “riso coreografico” e come creare il tempo comico per innescare la risata sul corpo come normalmente sperimento dal vivo.
È un nuovo mistero che sto studiando.
Sono felice di questo spazio in cui iniziamo a parlarne insieme di danza e comicità.
Vi ringrazio e ci vediamo presto a teatro!

 

Silvia Gribaudi

È una coreografa italiana attiva nelle arti performative.
Dal 2004 focalizza la propria ricerca artistica sull’impatto sociale del corpo, mettendo al centro del linguaggio coreografico la comicità e la relazione tra spettatore e performer.
Premio Giovane Danza D’Autore con “A CORPO LIBERO”(2009), finalista Premio UBU come migliore spettacolo di danza e finalista Premio Rete Critica con R.OSA (2017), Premio CollaborAction#4 2018-2019, finalista Premio Rete Critica 2019,  Premio DANZA&DANZA 2019 come miglior produzione Italiana con GRACES .
Ha partecipato a progetti artistici di ricerca quali:
CHOREOROAM (2011),  TRIPTYCH (2013),  ACT YOUR AGE (2014)  progetto europeo sull’invecchiamento attivo attraverso l’ arte della danza, da cui è nata la performance WHAT AGE ARE YOU ACTING? e il progetto  territoriale OVER 60; PERFORMING GENDER (2015); CORPO LINKS CLUSTER (2019/2020) in cui la relazione tra danza, montagna e comunità montana ha dato vita al progetto site specific TREKKING COREOGRAFICO e allo spettacolo MON JOUR (2021) prodotto da Torinodanza Festival in collaborazione con Teatro Stabile del Veneto e Les Halles de Schaerbeek – Bruxelles.
Nel 2021 è coreografa ospite per “Danser Encore, 30 solos pour 30 danseurs” progetto per l’ Opéra de Lyon.
I suoi spettacoli sono presenti in numerosi Festival Nazionali ed Internazionali e vengono realizzati in processi creativi al cui centro c’è il dialogo e l’incontro poetico con altri/e artisti/e, compagnie e comunità.