Il riso, la danza e l’incomunicabilità

di Giovanna Velardi

Giovanna Velardi in “Core Demetra 2.0”, foto Marianna Giorgi (2004)

La mia attenzione per il riso e la comicità è nata dalla curiosità, dall’esigenza di far provare piacere, di non appesantire il pubblico con argomenti e modalità che penso alle volte fanno declinare la danza in ambito autoreferenziale, che allontanano l’interesse del pubblico.
La tensione che spinge a usare l’arte della danza per me risiede nel linguaggio comunicativo insito nel gesto e nel movimento. Ho trovato nella lettura i miei riferimenti; mi sono appoggiata ad alcune frasi de Il riso di Bergson come «il maggiore nemico del riso è l’emozione». L’emozione per me è la linfa che rivitalizza il pubblico. Non provarla in questo caso, per generare il riso, ma farla provare.

Ho pensato al clown, alla maschera più piccola del mondo, per accedere al mondo del riso e avere la possibilità di sperimentare il concetto di amplificazione come mezzo per generare il riso e la comicità. Ho messo il focus sul personaggio e la maschera come identità teatrali nella danza, agganciandomi a ciò che non conoscevo, trovando chiavi e modi per generare riso e non esprimere il riso, assecondando la ricerca su cosa volesse dire escludere l’emozione. Distacco emotivo, nessun pathos ma azione. Fare giocare il personaggio con le forme, spingerlo in una dimensione sociale attraverso una sequenza narrativa assurda: un palloncino che ti segue non si è mai visto nella realtà, un uomo che si dice innamorato di una donna stravagante, goffa che però si vede come una femme fatale fa proprio ridere. Il pianto finto generato dal rumore di un palloncino per la finta morte dell’amata fa ridere. Il suono, le forme, che sembrano staccarsi dalla realtà, sono invece una proiezione magica della realtà e parlano del ridicolo, dell’assurdo. Ma parlano anche di desideri nascosti, desideri di cui ci si vergogna soltanto a provarli. E quando sono realizzati concretamente sulla scena creano una dimensione comica e tragica. Anche la bruttezza ha una dimensione reale, la risata è generata da una idiosincrasia tra forma e bellezza, ma anche un sapiente desiderio di rivendicazione da parte del pubblico la genera, nella sua identificazione con il personaggio. La bruttezza ci appartiene come la bellezza. Nella danza rendere la goffagine e tenere una tensione disarmonica richiede un allenamento. Dalla marionetta disarticolata che ha permesso al personaggio di prendere vita, allineata in un tutt’uno al marionettista, la sensazione di sentire il personaggio avvolto e partecipe dello spazio tridimensionale, si è generato un sapere del corpo, una entrata e uscita dalle forme ma anche una permanenza legata all’ azione che si svolge nel tempo di quella maschera rappresentativa che dialoga con il tempo stesso. Amplificare il gesto, spingerlo nella goffagine non basta, si devono fare i conti con gli accenti e la ritmicità delle azioni e dei gesti in movimento, della loro ripetizione e del loro in questo caso essere inopportuni.

Ho deciso di sperimentare la difficoltà e farne volutamente del bavardage. Ho scelto il teatro come luogo di investigazione e di ricerca per chiarirmi cosa volesse e potesse generare il riso e la comicità attraverso il movimento; inevitabilmente il mio rapporto con il teatro, l’azione, il gesto e la parola hanno innescato un’applicazione e motivazione nella realizzazione di momenti coreografici di aderenza del teatro nella danza, e viceversa della danza nel teatro, facendone un solo corpo. Il corpo in questa dimensione interagisce in una moltitudine di sequenze e di relazioni con oggetti reali e immaginari che rimandano a metafore della vita reale, si ha l’occasione di forzare le possibilità del corpo nel teatro e amplificare la dimensione corporea attraverso contenuti verbali, parole, frasi essenziali per marcare il punto di risata o di comicità. Quale tema scegliere per organizzare questi costrutti in cui l’obiettivo è stato investigare e creare motivo al riso? «Per comprendere il riso bisogna riportarlo nel suo ambiente naturale che è la società, bisogna sopra tutto determinare la funzione utile, che è la funzione sociale» dice Bergson ne Il riso.
Le partit pris è stato far tacere la sensibilità e dare voce al corpo senza caricarlo di quello che socialmente e valorialmente è legato alla sensibilità. Provocazione, indifferenza e affidarsi al corpo, all’azione, sono i tratti salienti per il non coinvolgimento della sensibilità intesa qui come coinvolgimento emotivo, empatico. La narrazione si arresta nel processo drammaturgico per parlare dell’azione e dirigerla in quadri inconsueti che apparentemente sembrano non dialogare, dalla corona di fiori che simula quella di spine al lancio delle sedie nel mio spettacolo Clown.
Gli appoggi grazie ai quali dare concretezza alla dimensione dell’assurdo sono gli oggetti significanti che sono inseriti in scenari irreali ma non è irreale la storia che conduce la narrazione. Si tratta dell’incomunicabilità dell’uomo e della donna e dei ruoli che a mio parere oggi, essendo stati stravolti, vanno rivalutati. Non si riesce a comunicare! Il tema del mio lavoro con il riso è questo, l’incomunicabilità. Pensavo fosse importante trattare un argomento che toccava delle corde sociali e risultava essere un malessere di tanti.
In Core/Demetra 2.0 esploro il malessere di tanti nel sentirsi trattati come numeri, come carne da macello. In un contesto tragico quale la rivisitazione del mito di Demetra, interpreto un personaggio, una sorta di macellaio, che entra in scena con carne e salsicce e che va gettando polli sul palcoscenico dicendo «ora magari l’hai accampari io?». E questo fa ridere, risulta comico anche quando si affuca, strozzandosi con la salsiccia.
Poi c’è la donna oggetto, con natiche e seni sproporzionati e tacchi a spillo, che si muove come se fosse di vetro, facendo sentire il suono dei tacchi e insistendo su movimenti atturciuniati, ha una aderenza al personaggio comico, una donna del genere la si immagina ma non la si vede nella realtà di tutti i giorni. Può rappresentare un archetipo bizzarro.
«A volte facciamo troppo nostro il caso altrui, così come la gente grida quando vede degli altri in pericolo», scrive Bernard de Mandeville nella Favola delle api.
Clown è una esperienza di legame tra il teatro e la danza in cui il personaggio clownesco che ho pretestuosamente utilizzato come maschera per comunicare, e come fonte di ispirazione perché legato al mondo immaginario del circo, ha nascosto il suo sensibile per generare il riso. Il clown danzante, maschera danzante, ha fatto i conti con l’abilità fisica propria della tecnica della danza. La maschera danzante e rappresentativa che mi ha permesso di lavorare sul rapporto riso comicità e danza trova il suo studio nel rapporto tra la marionetta e società (spazio-ambiente-marionettista). Senza questa ricerca di partenza quel personaggio stravagante che ha generato tanto riso non sarebbe mai nato.

Il riso non è solo comico, il riso scaturisce anche dal tragico, ma il comico può non far scaturire il riso. Indiscussa per me è la strutturazione di un personaggio per avviare qualsiasi discorso legato al comico o al riso, sentirsi quel personaggio, io sono quel personaggio o quell’azione che non deve essere rappresentata, perché è già rappresentativa. Il corpo diventa altro da sé come suggeriva Alwin Nikolais. L’allenamento è la possibilità di fare assorbire e introiettare al corpo nuove essenze che sconfinano dall’abituale e che possono generare altro rispetto al vissuto e conosciuto umano, quell’altro serve come esperienza attoriale e danzante da vivere nella scena per canalizzare tensioni o rilasciamenti comici .
Mi sono chiesta come integrare il teatro e la danza in una cosa sola, l’intuito mi ha sempre spinto a collaborare con il mondo del teatro, lavorando con registi teatrali come Roberta Nicolai, Luciano Colavero e Fausto Paravidino, e a scegliere attori invece che danzatori in alcune produzioni, attori che hanno seguito training di danza, ai quali ho trasmesso anche il mio metodo di lavoro, che ho chiamato “cuore articolare”, per allinearci in un linguaggio comune, parlare lo stesso linguaggio del corpo. Nell’ultima produzione I broke the ice and saw the eclipse Federico Brugnone, attore che pratica la danza, ha una grande vena comica. La pièce si conclude con un momento di meta-teatro, attraverso il ghiaccio si dispiegano gli stati e stadi di una relazione. La teatralità che permette al corpo di proiettarsi nella dimensione tragica e comica è legata alla essenza del personaggio e alla possibilità che questo ha di compiere gesti e movimenti in un contesto dove la parola, il respiro, il silenzio, il rumore sono integrati nell’azione.
La danza senza la contaminazione del teatro non possiede elementi che fanno scatenare il riso. Il teatro è luogo dove la bruttezza e la bellezza, il gesto e la parola, cooperano. La danza è luogo astratto, della bellezza, del movimento e dell’espressione in cui l’aderenza alla bruttezza permette il ricongiungimento di questi due mondi in una sola organicità per generare tragicità, comicità, riso e toute forme d’expression.

 

 

Giovanna Velardi

Coreografa e danzatrice di origine siciliana, direttrice artistica di PinDoc. All’età di 14 anni viene premiata al concorso internazionale Città di Catania. E’ diplomata all’Accademia Nazionale di Danza a Roma. Dalla fine degli anni 90 ad oggi lavora tra la Francia e l’ Italia, collabora con alcuni coreografi della “nouvelle danse” tra cui Geneviève Sorin. Sviluppa la sua tendenza a lavorare sull’ improvvisazione ed esplora le qualità pulsionali del movimento. Collabora come coreografa e danzatrice con il regista video Dominik Barbier sul progetto multimediale Hamlet Machine. E’ invitata al Centre Chorégraphique National D’ Orlans diretto da Josef Nadj come artista ospite in residenza. Ha creato più di trenta pièces con il sostegno delle istituzioni. Nel 2009 riceve l’incarico come commissario consultivo tecnico esperto del Mibac settore danza. Affianca come coreografa alcuni registi tra cui Vincenzo Pirrotta e Fausto Paravidino. Con la sua compagnia è stata Artista Associata a Scenario Pubblico. Nel 2018 crea le coreografie del progetto In-Side-Out al Teatro Massimo di Palermo per il corpo di ballo della Fondazione lirico sinfonica. Insegna nello stesso anno alla Scuola di Arti e Mestieri del Teatro Biondo diretta da Emma Dante. Nel 2020 è chiamata come docente di danza al corso di laurea in DAMS curriculum “recitazione e professioni della scena” Università di Palermo e Teatro Biondo Stabile di Palermo. Attraverso la sua ricerca sviluppa un metodo di movimento “il cuore articolare” per danzatori e attori.