Emma Goldman e la rivoluzione senza fine

di Carlotta Pedrazzini

Emma Goldman (1901)

Nel 1886 a Chicago, in piazza Haymarket, durante un presidio in sostegno dei lavoratori in sciopero, una bomba uccise un poliziotto. In risposta, le forze dell’ordine aprirono il fuoco lasciando a terra, tra morti e feriti, decine di persone. Negli Stati Uniti la battaglia per le otto ore lavorative era entrata nel vivo. Lo scoppio della bomba in piazza Haymarket, di cui mai si scoprì l’artefice, fornì un pretesto per mettere a tacere alcuni degli organizzatori più attivi delle mobilitazioni in favore dei lavoratori. Il processo-farsa che ne seguì, e che portò all’impiccagione di quattro anarchici innocenti, generò un’eco che si espanse in tutto il mondo e che destò molte coscienze. Furono tanti gli anarchici che, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, dichiararono di essersi avvicinati al pensiero rivoluzionario in seguito a quei fatti. Tra questi, anche Emma Goldman.

Nata in Russia nel 1869 (a Kovno, odierna Lituania) ed emigrata negli Stati Uniti a sedici anni, proprio grazie alla vicenda dei “martiri di Chicago” si accostò al movimento anarchico statunitense, diventandone uno dei membri più attivi, conosciuti e temuti di tutta la storia degli Stati Uniti.
Nel 1889, all’età di vent’anni, iniziò ufficialmente la sua attività di militante che la portò a spostarsi lungo il Paese per arringare i lavoratori in sciopero, distribuire volantini davanti alle fabbriche, scrivere articoli e tenere conferenze con l’obiettivo di esortare gli oppressi a modificare un destino di povertà e miseria.

Nel 1894, a New York, a causa di discorso tenuto a Union Square di fronte a migliaia di lavoratori in sciopero, Goldman venne arrestata con l’accusa di “incitazione alla rivolta”. Nei dodici mesi trascorsi nel penitenziario di Blackwell’s Island ebbe modo di incontrare prostitute ed emarginate di ogni genere; le loro storie fecero capire a Emma quanto l’emancipazione femminile fosse necessaria.

Negli anni successivi, anche grazie agli studi di medicina e al lavoro di ostetrica, iniziò ad occuparsi attivamente dell’argomento. Goldman accusava il matrimonio di imprigionare le donne, si esponeva in favore della contraccezione e della maternità consapevole, della libertà sessuale e dell’autodeterminazione, del controllo delle nascite e del “diritto dei bambini a non nascere” (come recitava il titolo di una sua conferenza). Nel 1915 intraprese un tour che la portò a parlare pubblicamente oltre trecento volte di fronte a un pubblico di circa settantamila persone. I suoi incontri pubblici erano sempre tanto affollati quanto minacciati dalla polizia e, in seguito a una conferenza sulla contraccezione, venne nuovamente arrestata.

Tra il 1889 e il 1919 – anno in cui il governo degli Stati Uniti dispose la sua deportazione – l’azione politica e culturale di Goldman si sviluppò su più fronti: si occupò di pedagogia, del significato sociale del teatro, creò una lega per la libertà di parola, e quando in Europa scoppiò la Prima guerra mondiale si scagliò contro il militarismo e il patriottismo, fondando una lega contro la coscrizione obbligatoria per aiutare i giovani che non intendevano partire per il fronte. Allo scoppio della Rivoluzione Russa, poi, difese i bolscevichi dagli attacchi mediatici. Fu a quel punto che il governo decise di allontanarla per sempre dal Paese.

Con la Rivoluzione russa, la paura di un contagio politico aveva colpito il governo statunitense come una febbre. Sbarazzarsi di tutti i ribelli, gli agitatori sociali, gli instancabili militanti politici era diventato un obiettivo primario. Goldman si trovava in cima alla lista degli indesiderati, per la sua fervida attività di anarchica e rivoluzionaria e per il ruolo avuto nelle battaglie sociali dell’epoca. Così, privata della cittadinanza, il 21 dicembre 1919 fu costretta a imbarcarsi sul transatlantico Buford che la condusse in Russia.
Goldman riuscì a trasformare lo stigma della deportazione in un’opportunità: nella Russia post-rivoluzionaria si sarebbe messa a disposizione del popolo, con l’obiettivo di far proseguire la rivoluzione sociale scoppiata nel 1917.

Purtroppo, però, il sogno di essere approdata nella terra dell’uguaglianza e della libertà si trasformò presto in un incubo. Al suo arrivo in Russia, nel gennaio del 1920, il regime dispotico instaurato dai bolscevichi era già nel pieno delle sue forze. Le carceri traboccavano di oppositori politici, tra cui quegli anarchici e quei socialisti rivoluzionari che avevano contribuito ad abbattere lo zarismo.
Nei ventitré mesi di permanenza in Russia, Goldman ebbe modo di viaggiare per il paese, verificando la situazione sociale e confrontandosi direttamente con operai e contadini. La militarizzazione del lavoro e le requisizioni forzate dei raccolti avevano colpito duramente i lavoratori e la povertà aveva raggiunto un livello insostenibile. I soviet avevano perso la loro autonomia e le classi sociali erano state abolite, ma solo per far spazio ad un sistema di privilegi che premiava alcuni gruppi sociali a scapito di altri. Inoltre la mancanza di libertà, le incarcerazioni indiscriminate, le uccisioni sommarie aggravavano una situazione già molto critica.

Con la soppressione nel sangue della rivolta dei marinai di Kronstadt, che avevano preso le difese dei lavoratori entrati in sciopero, Goldman capì che in Russia non c’era posto per chiunque non fosse allineato con il governo e abbandonò il Paese in forte contrasto con i comunisti al potere, “traditori della Rivoluzione”.
Lasciata la Russia, si dedicò alla stesura di articoli a denuncia del regime dittatoriale instaurato dai bolscevichi, e nel 1936, all’età di 67 anni, partì per la Spagna per sostenere la rivoluzione sociale, la lotta contro il generale Franco e le istanze di emancipazione femminile portate avanti dal gruppo anarco-femminista Mujeres Libres.

Lungo l’arco della vita gli scenari cambiarono, ma il suo impegno per la giustizia sociale e per la libertà non si esaurì mai. «Fino alla fine dei miei giorni, il mio posto sarà con gli oppressi e i diseredati. Non mi importa se i tiranni si trovano nel Cremlino o in un altro centro del potere».

 

Carlotta Pedrazzini

Carlotta Pedrazzini (1989) è redattrice di “A-Rivista Anarchica”. Studiosa delle donne anarchiche e in particolare di Emma Goldman, ha curato il libro Un sogno infranto. Russia 1917 (Zero in Condotta, 2017), una raccolta di scritti e documenti di Emma Goldman, inediti in italiano, sulla Rivoluzione russa del 1917.

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