Sintonizzati su ciò che accade là fuori

di Cinzia Spanò

Pierre St. Lucie, “La Grande Danse Macabre” (1568), Harris Brisbane Dick Fund, 1923 – Donazione al Pubblico Dominio dal Metropolitan Museum of Art https://www.metmuseum.org

Milano. 13 marzo. Ho iniziato a scrivere questo pezzo circa cinque giorni fa. Scrivo e poi cancello, perché la realtà continua a trasformarsi in maniera talmente precipitosa che mi è diventato molto difficile fissare quello che volevo raccontare. Ossia come stiamo reagendo qui, noi attori, noi teatranti, di fronte allo sprofondare del nostro mondo. Allora mi affido il compito di farlo tutto d’un fiato, questa notte, sapendo che questo frammento già domani potrebbe risultare stonato.

A Milano i teatri hanno chiuso tre settimane fa (1). Questo evento ha generato all’inizio reazioni tutte diverse tra di noi con spaccature anche molto forti e feroci rispetto a quello che sarebbe stato meglio fare e dire. Siamo tra le prime zone raggiunte dai provvedimenti. E i luoghi della cultura sono stati i primi a essere chiusi. Abbiamo avuto bisogno di un po’ di tempo per capire. C’era chi chiedeva di riaprire immediatamente i teatri e chi invece si è messo in una condizione di maggior ascolto rispetto a ciò che stava accadendo anche altrove. Io, come tantissimi miei colleghi, faccio parte di questo secondo gruppo. Voglio chiarire però che nessuno di noi ha sottovalutato cosa queste chiusure avrebbero significato. Chiunque conosca la realtà teatrale da vicino ha capito da subito che il danno sarebbe stato gravissimo e difficilmente riassorbibile. I teatri in Italia lottano anche in tempi normali ogni giorno per la sopravvivenza; anche quelli con finanziamenti importanti, con le gestioni più virtuose e con le sale che scoppiano di spettatori. Io non so come potranno reggere un colpo del genere. E in questo panorama come potremo sopravvivere noi, che di questo mondo incarniamo la parte più fragile, precaria, meno tutelata? Ma soprattutto, hanno ancora senso queste domande di fronte allo scenario che si sta spalancando davanti ai nostri occhi? Di fronte a tutto un mondo che sta collassando, attività dopo attività, regione dopo regione, e fra poco – lo sappiamo – paese dopo paese?

Facciamo finta che le domande abbiano ancora senso. I primi a saltare sono stati i piccoli eventi, le date secche che vedevano raggruppate più persone, gli spettacoli in scena o sotto debutto. Poi sono saltate anche le prove. Prima perché il loro costo non sarebbe stato ammortizzato dal numero di repliche che diminuiva sempre più, poi perché è diventato proprio impossibile incontrarsi. E qui sta il punto. Che lo spettacolo dal vivo si fonda sull’incontro. L’incontro con il pubblico, l’incontro tra di noi. E qua io non sto parlando di un incontro solo fisico, ma comunque di un incontro che non può esserci senza incontro fisico. Cose che gli attori rincorrono per anni. Accorciare le distanze, rimuovere le barriere, imparare ad ascoltarsi, davvero, a parlarsi davvero, a guardarsi davvero. Non esiste smart working per noi. Noi ci fermiamo. Mentre scrivo la chiusura dei teatri è prevista fino al 3 aprile. Ma come potranno mai riaprire i teatri il 3 aprile quando è chiaro che siamo solo all’inizio di tutta questa storia? I teatri sono stati i primi a chiudere, saranno gli ultimi a riaprire. Salteranno altri spettacoli. Ma uno spettacolo che salta non è solo un evento che non si verifica. Per un attore è la linea del tempo che si inceppa, un presente che si blocca perché non c’è nessun futuro che possa retroagire in maniera vitale su di lui. Dobbiamo gestire la nostra mente, il nostro tempo, la nostra energia, in modo che quando arriverà il momento di ripartire noi saremo pronti. Abbiamo bisogno di una strategia.

Cerco la mia. Sono a casa. Sono costretta a osservarmi, a confrontarmi con pensieri nuovi. Il mio stato d’animo è difficilmente spiegabile. È un misto di tante cose ma non c’è niente di furioso. Sono lucida. Lo spazio non risponde più alle regole di ieri. Il confine del mio appartamento non è un luogo in cui mi sento sola, ma al contrario, è un luogo in cui riesco a percepire di più gli altri, perché è proprio per gli altri che io mi trovo qui. Anche il tempo non è più il tempo di ieri, in cui attorno alle mie scadenze costruivo la mia vita. Ho di fronte un tempo indefinito al quale do dei confini solo ipotetici ma che pure mi permettono di non bloccarmi, di non entrare in stallo, di segnare una direzione in cui continuare, a piccoli passi, a camminare. Tra gli spettacoli che non sono saltati, ne ho uno che debutta a fine aprile. Io so bene che salterà anche quello. Ma ogni giorno con il copione davanti faccio memoria, ripeto il testo. Ha senso quello che faccio? Sì, ha senso. Perché mi tiene ancorata alla vita. Mi permette di non andare alla deriva. Di non lasciare che il caos del mondo finisca tra i miei pensieri, infettandoli. I colleghi che fanno lunghissime riunioni via Skype per definire il piano luci di uno spettacolo previsto fra un mese o gli attori che allo stesso modo fanno le prove di uno spettacolo che dovrebbe debuttare a maggio, si muovono mettendo in atto la stessa strategia. Sbaglia chi crede che avere scelto una professione che ci rende precari a vita, che ci rende soggetti costantemente a scelte che il più delle volte sono arbitrarie e insindacabili, ci abbia in qualche modo abituati all’incertezza. La precarietà non rafforza mai. Anzi. Ti ricorda ogni giorno il fatto che basta un solo inciampo, un solo passo falso per cadere di sotto.

Per superare la paura cerchiamo una dimensione in cui restare vicini. Ci siamo riuniti in chat. Cerchiamo di capire come possiamo muoverci per difendere quel poco che abbiamo da difendere. Quello che per altre categorie è difficile e che per noi diventa quasi impossibile. Perché il nostro settore è da sempre ignorato dal legislatore. E perché la nostra è una professione atipica, senza ammortizzatori sociali, poco sindacalizzata. Ho visto un gran numero di iniziative girare in questo periodo. Raccolta firme, appelli da sottoscrivere, comunicati. Mi ha dato l’impressione di una gran quantità di energia che si disperde in mille rivoli. Da sempre facciamo fatica a compattarci. Da sempre facciamo fatica a renderci consapevoli del nostro ruolo e dei nostri diritti. In questo momento in molti si stanno avvicinando al sindacato. Dico subito che ne sono contenta, il sindacato mi sembra l’unica realtà che permetta un vero dialogo con il Governo ed è in possesso di competenze che nessuno di noi possiede. Non essere stati vicini ci ha penalizzato nel passato e ora rischia di costarci carissimo.

Speriamo in un nuovo corso, in cui possano essere rimossi anche molti ostacoli psicologici che ancora ci tengono lontani, e che si possa creare una coscienza diversa su cui ricominciare a costruire quando sarà il momento. Ma adesso si sta nel presente, sintonizzati su ciò che accade là fuori e su tutti quelli che non possono starsene al sicuro a casa. Per quel che possono anche gli attori cercano di assumersi la responsabilità del tempo in cui viviamo. Fanno dirette Facebook, registrano maratone di poesie, mandano video di spettacoli.

E anche io per lo stesso motivo sono qui che scrivo. Combattuta tra il bisogno esserci, di esistere comunque e cercare testimoni al fatto che sono ancora viva, e la voglia di scomparire, di fare silenzio, di trasferirmi in un luogo altro dove forse posso trovare qualcosa che non ho mai conosciuto.

Molte volte, in questa notte in cui ho voluto scrivere tutto questo, ho sentito le sirene delle ambulanze suonare.

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  1. Al momento dell’uscita siamo oltre le quattro settimane, ndr.

 

Cinzia Spanò

Cinzia Spanò è attrice e autrice teatrale. Si è diplomata all’Accademia dei Filodrammatici di Milano nel 1996. Da allora ha lavorato in teatro con importanti registi fra i quali Antonio Latella, Massimo Castri, Silvie Busnuel, Carmelo Rifici, Ferdinando Bruni, Francesco Frongia, Damiano Michieletto. Ha vinto il premio Imola, il premio Hystrio, il premio Anteprima ed è stata finalista ai premi Ubu per il teatro. E’ stata conduttrice di trasmissioni televisive e radiofoniche. Per il teatro ha scritto il testo Marilyn, dedicato alla figura della Monroe, prodotto nel 2011 dal Teatro Litta di Milano. Ha scritto e interpretato il monologo La Moglie, prodotto dal Teatro Elfo Puccini, liberamente ispirato alla figura di Laura Fermi, moglie del fisico Enrico, e ambientato nel periodo in cui lo scienziato si trovava nel deserto del New Mexico a lavorare alla bomba atomica. Il testo è vincitore del Premio Donne e Teatro 2017. A maggio 2019 ha debuttato Tutto quello che volevo, ispirato alla vita della Giudice Paola di Nicola e ad una sua originale sentenza di cui hanno parlato i giornali di tutto il mondo riguardante il risarcimento del danno a una delle ragazze coinvolte nel giro di prostituzione minorile dei Parioli di Roma. Lo spettacolo ritornerà all’Elfo Puccini a ottobre 2020 e proseguirà poi con la tournée in autunno (https://www.elfo.org/stagioni/20182019/tuttoquellochevolevo.html).