Lo s(Paz)io e il fumetto del corpo
di Valeria Vannucci
Ci sono cose che non si possono dimenticare, che rimangono impresse nell’immaginario collettivo, si proiettano sulla società e scivolano nel profondo della cultura di cui entrano a far parte. Memorie palpabili, respirabili e tangibili che attraversano città e generazioni, plasmando anime e corpi. Ci sono poi occasioni capaci di riportare alla mente eventi e personaggi che non si possono archiviare e che è utile far scoprire e indagare a chi è venuto dopo quel tempo. Gli anniversari sono una di queste occasioni, svelano realtà che possono essere più vicine o lontane nel tempo, ma che continuano ad esprimere un’assenza sempre presente.
A trent’anni dalla scomparsa di Andrea Pazienza si può cogliere quest’occasione per riscoprire tale artista e per far conoscere alle nuove generazioni quella che è stata definita la“rockstar del fumetto italiano”.
Nato a San Benedetto del Tronto il 23 maggio 1956, Paz cresce nel comune pugliese di San Severo e inizia i suoi studi di disegno presso il liceo artistico di Pescara. Nel 1974 si trasferisce a Bologna per iscriversi al DAMS, percorso che non porterà mai a compimento, abbandonando gli studi a un esame dalla laurea.
Ancora prima di entrare all’università, espone e diventa co-direttore della galleria abruzzese “Convergenze”, dove presenta per la prima volta le sue opere. Nel 1977 debutta sulla rivista Alter Alter con Le straordinarie avventure di Pentothal e, nello stesso anno, appare anche su Cannibale; a seguire verrà pubblicato su Il Male, Frigidaire, Linus, Tempi Supplementari, Tango, ZUT, Comic Art e Corto Maltese. Alla carriera di fumettista, Andrea Pazienza accosta lavori per il cinema e il teatro, realizzando manifesti, scenografie, costumi, abiti; e disegna anche cartoni animati, copertine per dischi, pubblicità…
Fra i tanti lavori prodotti da Pazienza vale certo la pena ricordare La storia d’Italia in una sola pagina anzi meno se non la smetto di scrivere, pubblicato nella rivista ZUT il 9 aprile 1987, che manifesta in maniera piuttosto esplicita la visione che il disegnatore aveva dell’Italia, raccontata magistralmente con il solito sguardo tagliente: da «All’inizio c’era solo Bari», passando per Romolo, Pompilio, Battisti, Mogol, Michelangelo, Colombo, gli Italiani, fino alla sconsolata chiusura: «Addirittura mi avanza una vignetta».
Artista poliedrico nelle sue capacità tanto quanto molteplice nell’essere:«E ringraziate che ci sono io, che sono una moltitudine», soleva dire. Tutti i ‘coloro’ che facevano parte della persona di Andrea Pazienza sono traslati nelle sue opere, mostrando ogni volta “un’altra parte di sé”, crescendo e scoprendosi ad ogni passo della sua produzione artistica.
«Prima vive poi trascrive, e mai viceversa», afferma Massimo Zamboni in un articolo in memoria dell’artista, apparso nel numero di giugno della rivista Linus e aggiunge «La pazienza ha un limite, Pazienza no», evocando una battuta che il fumettista usava spesso per raccontarsi.
Fondatore di una scuola di fumetto, di riviste, di uno stile inconfondibile, di una poetica cruda e sublime, infischiandosene del possibile fallimento, l’arte di Pazienza vibra ancora proprio per la sua radicale libertà. Nessun limite di forma, significato, fantasia e respiro: fin dove le ali dell’immaginazione potevano spingerlo, la sua matita da disegno lo seguiva.
Eppure, quando si parla di uno stile inconfondibile, non si può certo intendere che Pazienza avesse un modo di esprimersi univoco: la realtà, filtrata dai suoi occhi, diveniva immediata interpretazione e allo stesso tempo svelata nella sua essenza e nei suoi misteri. Visione che si riverberava nella scelta del linguaggio, elemento fondamentale, personalissima sintassi che oltre il dialettale rivela sensi sottesi, personalità e intenzioni.
Era del 1977 il celebre Pentothal – personaggio-confessione il cui nome è traslato dal siero della verità adoperato da un altro personaggio da fumetto come Diabolik, simbolo della de-generazione bolognese di quegli anni e traccia di un’epoca. Poi arrivò Zanardi, apparso per la prima volta su Frigidaire nel 1981 in Giallo scolastico: uno strafottente dissoluto e perverso, con occhi serpentini, naso aquilino e un ghigno diabolico che lo contraddistingue. E ancora, Pompeo, simbolo della disfatta e da una tragica coscienza interiore, con il suo sguardo rassegnato che si trasforma in un sorriso solamente quando riesce a “evadere” da questo mondo: «Vivo sulla lama, mi com/muovo nei bassifondi, parlo coi ricercati dallo Stato, brigo, mi procuro e dilapido milioni, poi, rischio, mi struggo, mi umilio, mi arrendo, poi mi faccio, e tutto torna bello, più splendente di prima!».
Dal 1978 al 1987, assieme e contemporaneamente a quei personaggi, nel caleidoscopio delle varie personalità di Andrea Pazienza, arrivano“Paz e Pert”, un’improbabile coppia alla ricerca di giustizia nel mondo. Affascinato dalla figura di Sandro Pertini, il fumettista ritrae le avventure dei due con ironia pervasa da speranza, raffigurando il Presidente della Repubblica come un nanerottolo pieno di energia e con due enormi occhi attraverso i quali scrutare ogni magagna del Paese.
Ma tra le tante opere e personaggi di Pazienza, è necessario ricordare anche Astarte, il cane protagonista della sua storia sulla guerra fra Cartaginesi e Romani, nato da un sogno fatto dallo stesso artista. Nella prefazione che accompagna il libro, Roberto Saviano introduce questo ultimo personaggio di Pazienza: «La storia di Astarte è un sogno bellissimo, l’ultimo di Andrea Pazienza. Un’opera incompiuta. È un sogno classico, di quelli che quando ti svegli ti senti al centro dell’universo, come se avessi fatto parte della storia e il tuo fosse stato un ruolo attivo. Quando mi sono arrivate le tavole, quando per la prima volta le ho avute tra le mani, confesso di esserne rimasto folgorato. I disegni sono meravigliosi, precisi anche quando appena tratteggiati. E il testo è epica, Andrea Pazienza riesce, attraverso un cane, a costruire una atmosfera di combattimento e scontro, dove ogni parte del conflitto diviene chiaramente una scelta tra bene e male. Tutto attraverso un cane».
Potrebbe essere anche interessante, infine, per questa occasione, ricordare la grande passione per la nudità tanto femminile quanto maschile: l’attenzione dell’artista è tutta al corpo, umano, non umano, animale e ambientale. Corpo esposto come luogo da far abitare all’immaginario, carico di realtà e fantasia, di sogni e denunce: «Il corpo è per l’artista – dirà lo stesso Pazienza – un Teatro di Operazione, l’ambito di ricerca, un modello sempre a portata di mano e a buon mercato. Quando disegno un corpo, io disegno il mio antenato Arcadio Paz, o un corpo degradato, o migliorato, o flamenchizzato, o insensualito, ma sempre il mio corpo».
Segni e forme che, unendosi, rinnegano la presunta superficialità di un corpo al quale si è eccessivamente abituati, per renderlo significante, espressivo, comunicativo e performativo. Personaggi affascinanti, seducenti, accattivanti, appariscenti, armoniosi nella loro dissonanza: «Perché il freddo, quello vero sa essere qui, in fondo al mio cuore di sbarbo». Ecco allora che tante scene aggressive, dissacranti e crudeli, convivono con altre di dolcezza, eleganza e sensibilità rare. Attimi che possono trasformarsi all’interno di continuo contraltare fra il dolce e l’amaro: «Stella. Fiore. Notte. Tienimi stretta la mano, figliolo, mi sento le gambe molli» dirà una delle celebri tavole di Pazienza.
Il 17 giugno 1988 l’eroina si prese una volta per tutte questo geniale artista appena trentaduenne: «Forse la giovinezza è solo questo perenne amare i sensi e non pentirsi».
A noi resta il mondo inventato, disegnato, mostrato da Andrea Pazienza: le immagini scoperte di un paese pieno di corruzione e disonestà, esplicitate dal poeta della matita attraverso forme che urlano significati, attraverso corpi che gridano le loro verità e che si riempiono di forza comunicativa. L’esposizione sistematica, nero su bianco, di corpi e luoghi disegnati, utilizzati in relazione a ciò che l’autore intende evocare o raccontare e che va molto più in profondità del primo strato di pelle che l’osservatore, il semplice lettore, riesce a vedere. Ecco la grande capacità di Pazienza: sbattere in faccia la realtà al lettore e, allo stesso tempo, tenere qualcosa nascosto, celarlo e farlo scoprire solamente a chi possiede l’occhio giusto per trovarlo.
Valeria Vannucci
Valeria Vannucci (Roma, 1993), studentessa di 25 anni appassionata di danza, teatro e arti performative, sia nell’aspetto pratico che di ricerca e teoria. Laureata in Storia della danza con una tesi intitolata Le metamorfosi di Vaslav Nižinskij: tra persona e personaggi, relatori Professor Vito Di Bernardi e Professoressa Annamaria Corea. Corso di laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo (Triennale) presso “Università degli Studi La Sapienza” di Roma, nella sessione di luglio 2016. Studentessa presso il corso di laurea magistrale in Teatro, Cinema, Danza e Arti Digitali presso “Università degli Studi La Sapienza” di Roma. Profonda conoscenza della tecnica classica accademica, di tecniche e metodi relativi alla danza contemporanea. Ha svolto uno stage extracurricolare presso il Balletto di Roma nel 2016.