Dimmi come ti muovi e io ti imiterò
di Fridanna Maricchiolo
La “comunicazione non verbale” (CNV) si potrebbe definire come una trasmissione di contenuti, costruzione e condivisione di significati che avviene a prescindere dall’uso delle parole (Bonaito, Maricchiolo, 2009). La componente non verbale della comunicazione, infatti, comprende tutti gli aspetti di messaggi diversi dalle parole, dunque non solo segnali corporei (movimenti delle mani e del corpo, espressioni del volto, sguardi, posture, ecc.), ma anche codici e canali comunicativi non necessariamente corporei (es. gestione del tempo, ambiente architettonico, arredamento, abbigliamento, accessori, ecc.). Gli esseri umani, quando interagiscono, particolarmente in co-presenza, in modo visibile, comunicano continuamente tra loro non soltanto contenuti verbali.
Dato il ruolo fondamentale della CNV nell’interazione sociale, lo studio di questo fenomeno, recentemente, si è sviluppato molto nell’ambito della psicologia sociale, soprattutto da una prospettiva funzionale. Lo studio della funzione della comunicazione corporea è rilevante per la psicologia sociale, in quanto i segnali non verbali comunicano specifiche informazioni sulle intenzioni comportamentali, le emozioni e gli atteggiamenti interpersonali, i livelli e la forza di coinvolgimento relazionale; inoltre essi regolano gli schemi interazionali della conversazione (presa o cessione della parola), forniscono un veicolo per l’autopresentazione e operano nell’“influenza interpersonale” (cioè imitarsi e influenzarsi vicendevolmente nei comportamenti).
Dal punto di vista di quest’ultima prospettiva, in particolare, e cioè il modo in cui il comportamento non verbale di una persona influenza il comportamento di un’altra, la CNV può essere pensata come una serie di mosse e contromosse, avente ognuna un impatto sullo scambio dei messaggi. In generale, la nostra capacità di coordinare le nostre azioni con quelle degli altri rende possibile l’interazione sociale e comunicativa (Cappella, 1987). E questo è realizzato in gran parte attraverso comportamenti non verbali.
Dagli anni Sessanta i modelli teorici sviluppati in ambito psicologico-sociale hanno cercato di spiegare perché le persone reagiscono in un certo modo ai comportamenti non verbali degli altri. In particolare, i ricercatori hanno tentato di far luce su quel fenomeno che è stato chiamato “adattamento non verbale”: le persone compiono aggiustamenti interattivi (adattamenti interpersonali) nei loro comportamenti non verbali legati alla caratterizzazione delle relazioni, cioè il significato e valore che diamo alla relazione con il nostro interlocutore. In altre parole, una persona compie dei cambiamenti nei propri comportamenti in modo che questi siano più o meno simili a quelli del proprio partner comunicativo: quando il soggetto muta i propri comportamenti per renderli più simili a quelli dell’altro, si verifica una reciprocità o convergenza; quando invece si discosta da quelli dell’altro, abbiamo una compensazione o divergenza (Communication accomodation teory di Giles e Ogay, 2006). La convergenza sarebbe quella strategia per mezzo della quale le persone adattano la propria comunicazione così da rendere i loro comportamenti visivi, vocali e/o verbali più simili ai comportamenti dei propri partner interazionali. Questi comportamenti comunicativi includono espressioni facciali, sguardi, posture, segnali prossemici (avvicinamento/allontanamento), contatti corporei, toni vocali, accenti ecc. Generalmente, la convergenza migliora l’efficacia degli episodi comunicativi. La premessa è che più due interlocutori sono simili dal punto di vista non verbale, più si piaceranno e si rispetteranno vicendevolmente e più le ricompense sociali, compresa l’accettazione reciproca, saranno conseguenti e migliore sarà l’esito dell’interazione stessa. La convergenza è associata con valutazioni favorevoli se l’intento accomodativo (di adattamento) è percepito favorevolmente e non come imitazione o accondiscendenza. La convergenza può avvenire anche in situazioni di potere tra gli interagenti e, a seconda del loro status sociale, può essere verso l’alto o verso il basso. Di solito l’adattamento è diretto verso chi ha più potere da parte di chi ne ha meno: si tende ad imitare il comportamento non verbale della persona con status superiore. Secondo tale visione, in situazioni di simmetria interazionale entrambi gli interlocutori convergono, mentre in situazioni sociali asimmetriche, solo una persona (quella meno “potente”) converge. La convergenza può riflettere dunque il bisogno della persona di integrazione sociale con l’altro (o con un gruppo), nonché il desiderio di approvazione. Inoltre, il desiderio di rendere una persona intelligibile, prevedibile e comprensibile spesso porta le persone a convergere con essa, particolarmente con individui che si rispettano o che controllano ricompense sociali significative. Anche il bisogno di esprimere empatia può influenzare le tendenze convergenti. La divergenza, invece, si riferisce al modo in cui coloro che comunicano accentuano le differenze tra sé e gli altri attraverso i comportamenti non verbali. I motivi per la divergenza, spesso di natura sociale, possono riguardare ad esempio lo sdegno personale per un altro e l’enfasi di un’identità di gruppo. Prendendo in prestito le assunzioni della teoria dell’identità sociale (Tajfel, 1978), infatti, in una situazione di confronto tra gruppi, gli individui coordinano il loro comportamento non verbale con i membri del proprio gruppo di appartenenza (in-group) convergendo verso il loro stile (ad esempio, abbigliamento, manierismi, vocalità, accenti, posture, gesti ecc.); gli individui tendono invece a divergere dai membri di altri gruppi (out-group) per comunicare la loro distinzione e il desiderio di autonomia da essi. In questo contesto la divergenza non sarebbe diretta al singolo, ma farebbe riferimento a un’identità di gruppo; infatti, particolari comportamenti non verbali (accenti, gesti, andatura, ecc.) possono essere percepiti come divergenza per un ricevente appartenente a un gruppo diverso da quello del comunicante, ma come convergenza per un ricevente in-group. Le origini motivazionali della divergenza, così come della convergenza, non sono sempre di tipo affettivo, come nel caso dell’identità di gruppo, ma possono funzionare anche deliberatamente a livello cognitivo. Ad esempio, durante una conversazione con un interlocutore che parla velocemente, assumere un comportamento vocale divergente (velocità di parlato più lento) può essere efficace per facilitare la coordinazione della comunicazione, e probabilmente non è percepito sfavorevolmente dal ricevente. Un altro esempio di divergenza che può non essere percepita negativamente dai due interlocutori riguarda i comportamenti non verbali utilizzati in un’interazione tra persone di genere diverso: l’uomo, parlando con una donna, utilizzerebbe un tono di voce più grave, mentre la donna userebbe toni più acuti con gli uomini. Lo stesso può essere detto per altri comportamenti non verbali (postura, andatura, gesti) che in qualche modo segnalano e rafforzano l’identità di genere. Tali condotte spesso, ma non in ogni situazione, sono percepite e valutate positivamente pur segnalando una divergenza. L’adattamento non verbale sia convergente che divergente è influenzato dalle disposizioni e aspettative degli interagenti. Ad esempio, un individuo che desidera alti livelli di coinvolgimento in una interazione sarà probabilmente divergente da un partner che invece ha mostrato un basso coinvolgimento, ad esempio avvicinandosi, mentre l’altro si tiene a distanza. La divergenza fornisce un modo per comunicare i livelli desiderati di coinvolgimento e può influenzare il comportamento di un interlocutore. Inoltre, i processi di adattamento influenzano non solo l’andamento delle interazioni, ma anche la percezione degli interagenti e le dimensioni e i significati e valori relazionali della loro interazione.
Durante le conversazioni comunicative, spesso è possibile osservare i parlanti che si muovono in armonia, assumendo posture speculari tra di loro o adottando ritmi e cadenze simili nel discorso, e movimenti sincronizzati. Questo coordinamento, “sincronia interazionale”, sembra essere una caratteristica specifica delle interazioni intime e familiari di tipo quotidiano. Questo spiega il motivo per cui le coppie sposate, o comunque i familiari e/o gli amici che si conoscono bene e passano molto tempo insieme, finiscono per assomigliarsi anche fisicamente: il lungo e continuo periodo di imitazione empatica nelle loro espressioni facciali cambierebbe anche le caratteristiche fisiche. Un concetto simile a quello della sincronia interazionale è la “congruenza posturale” (mantenimento di una stessa postura in un dato momento dell’interazione): durante interazioni familiari e amichevoli, le persone adotterebbero posture simili, indicando similarità di opinioni e ruoli; mentre una “non congruenza posturale” suggerirebbe divergenze marcate, tra le persone, negli atteggiamenti o nello status. Anche Kendon (1970) spiega l’assunzione della stessa postura in termini di rapporti positivi tra gli interagenti, distinguendo tra postura speculare (la parte sinistra del corpo di una persona è in posizione identica alla parte destra dell’altra e viceversa) e postura identica (il lato destro di una persona uguale al lato destro dell’altra e il sinistro uguale al sinistro), e dimostrando che nei rapporti più positivi le posture assunte dagli interagenti sono principalmente di tipo speculare piuttosto che identico. Inoltre, da parte di osservatori esterni, le interazioni dove sono presenti posture speculari piuttosto che identiche o non sincrone vengono percepite come indice dei buoni rapporti tra gli interagenti.
Il coordinamento della CNV non è solo un messaggio relazionale, ma anche un mezzo attraverso il quale le persone raggiungono l’influenza sociale. L’influenza sociale, intesa anche come influenza interpersonale o persuasione, si riferisce agli sforzi per preservare o cambiare il comportamento di un altro individuo o mantenere o modificare aspetti di un altro individuo che sono legati al comportamento, come atteggiamenti, emozioni, e identità (Dillard, Anderson, & Knobloch, 2002). Alcuni studi sul conformismo hanno dimostrato che la CNV è altrettanto importante quanto la CV per far sì che le persone si conformino alle richieste dell’agente o raggiungano un accordo o ne imitino le azioni o il comportamento non verbale, con una maggiore probabilità di essere persuasi se i richiedenti utilizzano forme positive e socialmente accettabili di contatto fisico (esempio pacca sulla spalla, o mano sul braccio), o il contatto visivo, presentano un aspetto sano e professionale, e stanno moderatamente vicini alle persone che cercano di persuadere (Segrin, 1993). Le associazioni tra questi comportamenti e il conformismo sono tuttavia mediate da almeno due variabili: l’affidabilità del parlante e la legittimità della richiesta e veridicità del messaggio. La credibilità del richiedente è di vitale importanza. Gli individui che sono considerati affidabili, simpatici, composti, competenti e carismatici sono più probabilmente percepiti come credibili e perciò essere più persuasivi ed essere maggiormente imitati nei comportamenti. In secondo luogo, le persone sono più inclini a rispettare le richieste che percepiscono legittime e vere rispetto a quelle che ritengono irragionevoli, inutili e legate a contenuti falsi. Un certo tipo di gestualità delle mani, ad esempio, può rendere i parlati più credibili e persuasivi e i messaggi più attendibili e comprensibili (Maricchiolo, Bonaiuto, Gnisci, & Ficca, 2009)
Il coordinamento non verbale tra gli interlocutori è stato indagato anche per quanto riguarda gli aspetti interattivi della menzogna, in quanto, i bugiardi devono gestire, oltre al carico cognitivo ed emotivo dovuto all’inganno, anche la lettura dei feedback (spesso non verbali) da parte dell’interlocutore, per capire se viene creduto e, in caso, “aggiustare il tiro”. Questa prospettiva fornisce un quadro concettuale per spiegare come il comportamento di entrambi, emittenti (bugiardi) e riceventi contribuisca al successo (o al fallimento) degli ingannatori e alle impressioni che i riceventi si fanno di loro. L’inganno può essere dunque frutto di un adattamento comunicativo ai segnali non verbali dell’interlocutore. Emittenti e riceventi influenzano entrambi l’interazione e l’autenticità o meno della stessa.
I processi di adattamento, sincronia, corrispondenza e coordinazione riflettono dunque il significato della relazione che intercorre tra gli interagenti. I comportamenti non verbali qualificano l’interazione, influenzando la percezione che i partecipanti sviluppano del tipo di relazione in atto e influenzano gli esiti delle interazioni sociali stesse. Bisognerebbe puntare dunque a una sorta di “educazione al non verbale” (Anolli, 2002), finalizzata a migliorare le capacità di gestione delle relazioni sociali tra le persone.
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Anolli, l. (a cura di) (2002). Psicologia della comunicazione. Bologna: il Mulino.
Bonaiuto, M. & Maricchiolo, F. (2009). La comunicazione non verbale (seconda edizione). Carocci, Roma.
Cappella, J.N. (2006). The interaction management function of nonverbal cues. In V.L. Manusov & M.L. Patterson (eds.), The Sage Handbook of Nonverbal Communication (pp. 361–379). Thousand Oaks, CA: Sage.
Dillard, J.P., Anderson, J.W. & Knobloch, L.K. (2002). Interpersonal influence. In M.L. Knapp & J.A. Daly (eds.). Handbook of Interpersonal Communication, third edition (pp. 423–474). Thousand Oaks, CA: Sage.
Giles, H. & Ogay, T (2006). Communication accommodation theory. In: B. Whalen & W. Samter (eds.). Explaining Communication: Contemporary Theories and Exemplars (pp. 293–310). Mahwah, NJ: Lawrence Erlbaum.
Kendon, A. (1970). Movement co-ordination in social interaction: Some examples considered. Acta Psychologica, 32, 1-25.
Maricchiolo, F., Gnisci, A., Bonaiuto, M. & Ficca, G. (2009). Effects of different types of hand gestures in persuasive speech on receivers’ evaluations. Language and Cognitive Processes, 24(2), 239-266.
Segrin, C. (1993). The effects of nonverbal behavior on outcomes of compliance-gaining attempts. Communication Studies, 44, 169–187.
Fridanna Maricchiolo
Fridanna Maricchiolo è ricercatore confermato di Psicologia sociale presso il Dipartimento di Scienze della Formazione all’Università degli Studi di Roma Tre, dove insegna Psicologia sociale dei gruppi ai corsi di laurea magistrale. I suoi studi sono centrati su: comunicazione interpersonale, in particolare non verbale, corporea, politica; menzogna e onestà e gli effetti della cultura su questi aspetti;interazione sociale tra le persone e tra gruppi sociali, con particolare riferimento alla formazione di stereotipi e pregiudizi intergruppo; la relazione uomo-ambiente: effetti sul benessere psico-fisico, stili di vita sostenibili e comportamenti pro-ambientali. È autore di numerosi articoli e capitoli nazionali e internazionali e ha partecipato a progetti di ricerca inter-ateneo, europei e cross-culturali.