Pina Bausch (1940-2009), un altro ritratto

di Gaia Clotilde Chernetich

Pina Bausch, foto di Joanne Savio in “A Retrospective of Dance Portraiture and Performance 1986-2004” al NYUAD Arts Gallery – https://www.nyuad-artgallery.org/en_US/arts-center-project-space/joanne-savio

Studi, circostanze

Nel 2015, mentre ero al secondo anno del mio dottorato di ricerca, mi ritrovai, in prima persona e per la prima volta, sulle tracce di Pina Bausch: Philippine “Pina” Bausch, danzatrice e coreografa tedesca nata a Solingen il 27 luglio 1940 e morta a Wuppertal il 30 giugno 2009. All’epoca erano trascorsi sei anni dalla sua morte, anni densi di attualità, tra ripetuti cambi di direzione alla guida della compagnia e un grande rinnovamento dell’organico dell’ensemble. La costruzione di uno sguardo retrospettivo su Bausch e sui suoi Stück, i suoi spettacoli dall’aura leggendaria, si è rivelato un processo complesso: la sua morte ha segnato l’inizio della dischiusura del suo mondo, un tempo postumo che ha aperto a nuovi sviluppi e a una conoscenza rinnovata, più approfondita, della sua traiettoria artistica. La sua arte, stabilmente nutrita da collaborazioni durature come quelle con il compianto Rolf Borzik, Peter Pabst, Marion Cito oltre a quelle con i danzatori e le danzatrici, ha segnato il secondo Novecento con un’eco che si protrae ancora nell’estremo contemporaneo. La forza delle sue opere coreografiche è stata tale per cui il riverbero della loro potenza immaginativa ed estetica si è estesa anche al di là dei confini della danza e del teatro, toccando ambiti limitrofi quali la moda, il cinema e la fotografia. La sua voce, che poche volte si è espressa pubblicamente, ha saputo incidere la memoria culturale con espressioni che, oggi, evocano, ogni volta che le sentiamo, l’emozione delle sue coreografie. «Non mi interessa come si muovono le persone, ma quello che le muove», ma anche «Danziamo, danziamo, altrimenti siamo perduti» sono diventate citazioni che hanno connesso fortemente il mito di Pina Bausch al suo pubblico, dandole una voce, un tono, un linguaggio, chiaro e semplice, capace di veicolare in maniera diretta le complessità della natura umana e la forza della danza. Il suo sguardo sul mondo e sulle persone, espresso attraverso la coreografia, ha commosso, ammaliato e coinvolto con un’intensità che si è rivelata, nel tempo, indimenticabile. La compagnia di danza di Wuppertal — da lei diretta dal 1973, anno in cui Arno Wustenhüfer le offrì la direzione della compagnia di danza delle Wuppertaler Bühnen (i teatri di Wuppertal), fino al 30 giugno 2009 — ha vissuto una fase di sospensione creativa durata poco meno di un decennio a partire dal momento della sua scomparsa. Proprio nel 2015 venne presentato a Wuppertal un primo tentativo di creazione, una serata intitolata Neues Stücke composta da tre coreografie, che non ha avuto grande fortuna. Tra il 2009 e il 2018 — anno in cui finalmente i coreografi Dimitris Papaioannou e Alan Lucien Øyen sono stati invitati a creare, rispettivamente, una nuova opera per il Tanztheater Wuppertal Pina Bausch — la compagnia è passata attraverso un doloroso lutto, personale, collettivo ed artistico insieme, nella cui elaborazione un ruolo importante è stato giocato dal film-tributo Pina di Wim Wenders; un progetto cinematografico nato prima della morte della coreografa e ripreso dal regista, successivamente al 30 giugno 2009, con il supporto dei membri della compagnia. Nei suoi quasi quattro decenni di attività artistica, Bausch ha creato una quarantina di coreografie per il “suo” ensemble: originariamente, una tradizionale compagnia di balletto, il Ballett Wuppertal, trasformato nel corso del tempo in Tanztheater Wuppertal e, infine, in Tanztheater Wuppertal Pina Bausch. Le trasformazioni della nomenclatura della compagnia sono state il segno di diversi passaggi di stato stilistici e coreografici che non sempre sono stati facili. Le proposte di Bausch, nella Germania degli anni Settanta, affondavano le proprie radici creative nell’emotività umana e nella sua condivisione con il pubblico, offrendo spettacoli nei quali il rispecchiamento emotivo metteva a nudo tanto i danzatori in scena quanto gli spettatori. La stampa dell’epoca riporta di un inizio difficile, fatto di incomprensioni, proteste — con commenti del tipo «questa non è danza» — e platee lasciate semivuote prima della fine delle rappresentazioni. Tuttavia, questo scenario ha presto lasciato spazio alla costruzione del mito Bausch: il suo talento di danzatrice e di coreografa ha vinto sulle resistenze del pubblico dai gusti più tradizionali. Le sue coreografie, innovative e rivoluzionarie per l’epoca ma fedelmente intrecciate all’eredità dei suoi maestri europei e americani, hanno rigenerato il pensiero sulla danza, sui corpi, sul teatro. La grandiosità dei suoi spettacoli passa alla storia anche per le soluzioni innovative delle scenografie, dell’uso dei corpi attraverso le diverse tecniche, i diversi generi, le diverse culture. Le mie ricerche, condotte tra il 2015 e, per certi aspetti, ancora in corso, hanno favorito dell’inizio di una nuova era che ho definito “post-Bausch”, per segnalare come la morte della coreografa sia stato una separazione che non ha decretato semplicemente l’esistenza di un prima e un dopo, ma quella di un prima da riscoprire con nuovi occhi e un dopo presente sotto forma di “presente continuo del passato” (sotto forma di “has been”). Il nuovo tempo di Pina Bausch, successivo alla sua scomparsa, è un evento che, annunciato dalla sua morte intesa come un’aura visiva, ha segnato l’inizio di uno scuotimento interiore profondo del suo mondo ancora vivo nel presente.


Post-Bausch

In seguito all’inaspettata morte di Pina Bausch, nel 2015 nessuna nuova opera coreografica era stata ancora creata per il suo storico ensemble composto da uomini e donne provenienti da diversi paesi e altrettante culture. Nel momento in cui iniziai a fare dell’era post-Bausch l’oggetto delle mie ricerche dottorali, mi trovai costretta a confrontarmi con la presenza di una sospensione cui andava avanti, di pari passo, un ampio lavoro di rimessa in scena del repertorio che sembrava trasformare sempre di più la compagnia in un progetto artistico unicamente volto alla conservazione e alla trasmissione delle coreografie di Bausch ideate tra il 1973 e il 2009. Posto sulla linea del tempo, il progetto del Tanztheater Wuppertal sembrava procedere in avanti rimanendo orientato al passato, ancorato al nome Pina Bausch che è parte del suo stesso nome. Le celebrazioni del quarantennale della compagnia PINA40, nel 2013, e l’impegnativa rassegna presentata al Sadlers Well’s di Londra durante i giochi olimpici del 2012 avevano previsto il riallestimento e la presentazione di diversi spettacoli, alcuni dei quali non andavano in scena da decenni. L’affezionato pubblico del Tanztheater Wuppertal iniziò, in quell’occasione, ad accorgersi che i fisiologici cambiamenti nei cast delle diverse produzioni erano, nonostante la cura della preparazione, dei cambiamenti ad alto impatto. Nel tempo, infatti, il pubblico di Pina Bausch aveva sviluppato una vera e propria affezione per gli interpreti della compagnia, avendo imparato a conoscerne i caratteri, le sfumature interpretative, le fisionomie. Questo fenomeno era sollecitato da diversi fattori, ma anche dalle coreografie stesse, in cui spesso lo scarto tra artista e persona è quasi invisibile, specialmente in alcuni brani che, per infinite ragioni, sono particolarmente “memorabili”. Avendo avuto modo di vedere Palermo, Palermo a Londra nel 2012, ricordo di essermi chiesta come avrei mai potuto dimenticare quella scena in cui la danzatrice Nazareth Panadero entra sul palco con un mazzo di spaghetti per poi nominarli, uno per uno, col proprio nome. Che nome avranno questi stessi spaghetti quando il cast verrà rinnovato? Il pubblico si abituerà a sentire quegli spaghetti chiamati con un altro nome? In questi primi undici anni, l’era post-Bausch ha iniziato a fornire risposte a domande come questa. Le opere, rinnovate dai nuovi danzatori ingaggiati nella compagnia, hanno saputo restare attuali seppure la trasposizione su corpi nuovi crei, a chi ha negli occhi la memoria del passato, un iniziale spaesamento. La cura e la gestione dei processi di trasmissione coreografica sono oggi un tema di lavoro fondamentale per la compagnia, che nella selezione dei nuovi cast deve bilanciare somiglianze fisiche, capacità tecniche ed espressive, ma soprattutto il dosaggio di quella “temperatura” che è propria di ciascun artista e di ciascun corpo danzante. Le nuove opere create per la compagnia nel 2018 hanno rimesso in moto la creatività dei danzatori e hanno confermato al pubblico che il Tanztheater Wuppertal Pina Bausch è, nel segno dell’intramontabile e amatissima “Pina”, una compagnia che ha piena cittadinanza nel panorama contemporaneo.

 

Gaia Clotilde Chernetich

Gaia Clotilde Chernetich è un’autrice, studiosa e drammaturga per la danza. Come autrice scrive di danza e teatro per Doppiozero, Teatro e Critica, 93% e Springback Magazine. Come ricercatrice post-doc dell’Università Ca’ Foscari di Venezia ha lavorato al progetto europeo “Dancing Museums 2. The Democracy of beings”. Dopo gli studi in Scienze sociali (EHESS – Parigi) e Studi teatrali (Université Paris 3 / Ecole Normale Supérieure, Parigi), nel 2017 ha conseguito con lode un dottorato europeo in Arte con una specializzazione in Danza all’Université Côte d’Azur (Francia) e in Scienze umanistiche all’Università di Parma. Il testo Architetture della memoria. L’eredità di Pina Bausch tra archivio e scena è il suo primo libro pubblicato (in corso di stampa per Accademia University Press, Italia). Le sue ricerche e i suoi studi pubblicati riguardano la danza contemporanea, l’epistemologia e la drammaturgia. Collabora con il progetto Ormete – Oralità, Memoria, Teatro, un progetto di ricerca che coniuga la metodologia della storia orale e della storia delle arti dello spettacolo. Ha curato il progetto “Archivio Anno Zero” per l’Associazione Culturale VAN. Ha curato e collaborato a diversi progetti educativi / di sviluppo del pubblico e di coinvolgimento riguardanti la cultura internazionale delle arti dal vivo.