Il viaggio di Gioppino

di Damiano Grasselli

Pierre St. Lucie, “La Grande Danse Macabre” (1568), Harris Brisbane Dick Fund, 1923 – Donazione al Pubblico Dominio dal Metropolitan Museum of Art https://www.metmuseum.org

Damiano Grasselli è regista e direttore artistico di Teatro Caverna, una compagnia di Bergamo. Ci conosciamo da anni e in questi giorni, in cui tutti siamo chiusi in casa, ci siamo tenuti aggiornati grazie a Whatsapp. Bergamo è al momento l’epicentro della pandemia a livello italiano, con un numero di morti e contagiati impressionante. Quando la voce di Damiano si depositava in una nota vocale, gli elementi più eloquenti erano paradossalmente il silenzio che c’era attorno alle sue parole, il silenzio surreale della sera bergamasca, tagliata solo dalla sirena delle ambulanze. Ho chiesto a Damiano di raccontare cosa sta facendo in questi giorni, come pensa di utilizzare il suo sguardo sul mondo, uno sguardo d’artista, per reagire alla situazione. Mi ha risposto con un messaggio e un racconto. Sono questi.
(Graziano Graziani)

«Ciao Graziano. Ti mando questa cosa che ho scritto negli ultimi tre giorni. È un racconto di un viaggio della nostra maschera più popolare e amata. In luoghi cari di questa zona: li si capisce, credo, anche se un po’ mascherati. Sono legati a persone e opere molto famose. E poi ci sono un po’ di anacoluti… insomma… non so se sia pubblicabile, ma intanto leggilo, se ne hai voglia, che sono solo contento. Grazie e buonanotte».

Gioppino (1) è a casa. Margì gli ha detto che non lo lascia uscire. Son già quattro settimane. Anche se non ha capito bene perché. Lui mica guarda la televisione. Si fida di Margì, e se ne sta chiuso in casa. Altro non può fare. Non si può.
Gioppino ne ha piene le glorie di star lì stretto stretto con la moglie, Margì, il figlio Bortolino, padre madre e fratello. Stanno chiusi in uno spazio troppo piccolo, per starci tutti comodamente. La loro baracca è poco grande che da qui a lì. Di più non si può.
Gioppino ogni tanto vorrebbe prendere il suo bastone, e far vedere un po’ in casa chi comanda. Già, vorrebbe prenderlo e usarlo per la testa di qualcuno. Ma lo ha lasciato fuori dalla baracca. Ogni tanto gli sgrinta lì di andare giù a prenderlo, ma non può uscire. Non si può.
In baracca, che possa in qualche modo assomigliare ad un bastone, c’è solo un lungo salame: ma quelli, al posto del bastone, si usano solo a Parma, per tradizione. Gioppino la sua tradizione invece la segue mettendo il salame sul tavolo: una bella luganega che affetta stando attento che Bortolino non se ne prenda troppo. È l’ultimo salame rimasto, in baracca. E uscire dalla baracca, glielo ripete Margì, non può. Non si può.

Gioppino vorrebbe tirare due saracche, di quelle che sa dire lui, belle assestate al punto giusto, per sfogarsi un po’, con la sua voce gutturale. Se non ce l’ha lui la voce gggggutturale, chi deve avercela? Vorrebbe dare libero sfogo ai suoi gozzi, citare un po’ di “polenta abrustolida”, un po’ di litanie delle sue bergamasche, ma Margì gli ha detto di non dare brutti esempi al bambino. Chè toràda la ma n’ha dacc ‘sta Margì! E fuori dalla baracca, per dire quattro pateravegloria dei suoi, non ci può mica andare. Non si può.
Oh! Gioppino non ce la fa più! Aspetta quando Margì non è proprio lì, in banda a lui, e mette almeno la testa fuori da una finestra grossa, che sta sul fronte della baracca, e almeno si respira… Oh, il bastone laggiù sotto, per terra… Che desiderio di prenderlo… Quasi come una fetta di salame con un bicchiere di rosso… Provaci Gioppino, sporgiti ancora un po’, senza però uscire dalla baracca, che non si può.
Provaci Gioppino, ancora un pezzetto. Dagli al bastone… Sporgiti Gioppino, metti fuori la testa, la tua testa coi grossi gozzi, metti fuori la tua grossa testa… Oh, Gioppino, stai volando giù…
Tank!

Gioppino è caduto, di testa, sul pavimento sotto la sua baracca. Sarà morto? Sarà ferito? No. Gioppino non si è fatto nulla. E così, come in un lampo, si ricorda che la sua testa è di legno! La testa di Gioppino, proprio perché bergamasco, è di legno, non si rompe! E se non si rompe, non c’è pericolo anche se è borlato giù, fuori dalla baracca: è di legno!
Castègna de bof ’ndela sacocia! dice Gioppino con il suo mezzo sorriso che di più non può regalare. Adesso può ripigliarsi il suo bastone, e con la sua bella cràpa de lègn fare un giro per città bassa, che tanto non rischia niente e non è costretto a stare chiuso in baracca con Margi e tutta la famiglia muta…
Gli viene voglia di un bel biancoespuma, un euro ’zo de Marco, al White Bar, che c’ha il nome alla moda ma dentro il cliente più giovane è il nonno di Gioppino. Un biancoespuma da un euro, solo uno, e poi se ne ritorna dalla Margì, che per farsi perdonare che è uscito le darà un bacetto.
Se ne va in città bassa, e arriva vicino alla stazione. In via Bonomelli c’è nessuno. Beh, non si lavora a quest’ora? Anche in stazione nessuno… Tutti limoni? Nemmeno uno che va a cicciare la nèbia a Milano? Eh, ci sarà il treno in ritardo. Hanno serrato su il ponte di Calusco, son sempre in ritardo, i treni, e la gente è fressusa e preferisce prendere la corriera. Saranno dall’altra banda. Vedrai che sul vialone Papa Giovanni… Oh, neanche qui nessuno.
Gioppino è un po’ scandalizzato: neanche un Brighella qualsiasi da bastonare? Neanche in via XX, che si fa un po’ di siopi… siorri… sioppin… Eh, insomma quella roba lì… Niente, nessuno! Ma Santa Pasiènsa de chèi ch’i g’ha fressa! Allora pensa: qui c’è un solo posto dove possa fare un po’ di baldoria: in via Quarenghi. Lì ci sono gli scuri, quelli che vengono dalla guèra d’Abisinia. A lui non è che faccia tanta differenza: i buoni gli piacciono sempre. I cattivi li manganella. E in via Quarenghi di certo un socio…
Niente! Vuota!

Gioppino si guarda attorno: bar chiusi, negozi chiusi. Anche via Quarenghi, che ghè sempèr rèbelòt, sembra più chiusa della sua cràpa di legno. Non c’è nessuno. Non sa più cosa pensare. Non è che Gioppino di solito pensi molto, ma con questa longitudine-latitudine-solitudine un brustolito nell’occhio stavolta, ci viene anche a lui e al suo bastone.
Ad un certo punto si apre un portone. Esce una testina nera, di una bimba. Mette fuori velocissima il sacchetto della pattumiera e sta per richiudere, senza fermarsi, il portone. Gioppino corre e prima che chiuda ci mette in mezzo la sua testa. Di legno, sì. Che non si fa male, sì. Dura come tutti i bergamaschi, sì. Ma se prendi un portone di legno massello sulla cràpa… Ostrèga…
Insomma Gioppino riesce a fermare la bambina per pochi secondi, a chiederle cosa sta succedendo, perché tutto chiuso, tutto vuoto… La bambina farfuglia una cosa rapidamente. E si chiude in casa. Cos’alà decc pò, la nìgrina? Non ha capito. Pare che ci sia in giro un tipo un po’ pericoloso. Ma cos’è? Colora il ficus?
Non è che Gioppino indovini sempre tutte le parole… Però se c’è in giro un tipo pericoloso, insomma, lui mica si tira indietro, il manganello ce l’ha, sa come farlo andare, come fornire una bella pètamèntante a questo tipo pericoloso…
Prende il suo bel bastone di rubì (l’asciugamano di robinia è notoriamente comodo per certi affari) e comincia a rotearlo e a scandire certe botte che uno se ci passa sotto gli vengono sei giovedì in una settimana. Ma niente, non prende nessuno. Solo l’aria che sposta il boffare delle sue saracche.

La bimba, la nìgrina, lo osserva dalla finestra. In fondo è simpatico questo tizio a cui non si vedono le gambe e con tre palle rosse sotto il mento. Se fosse stato un altro giorno, si sarebbe fermata a parlar con lui, giù, in strada. Adesso però non può. Non si può.
Continua a guardarlo tirare mazzate al vento e urlare cose che, questa volta per lei, sono senza senso: ciàpa Barone rebus! Questa è per te, Giostrona a giro! La bambina apre la finestra, poco poco, e lo chiama. Signoreee! Signoreee! Tante ‘eeee’ perché ha già la cadenza di chi sta in via Quarenghi da un po’… Signoreee! È colpa di una brutta malattia. Dobbiamo stare tutti a casa.
Gioppino gli girano ancora di più i cinque minuti. Allora il suo nemico non è un brutto ceffo che vuole portargli via la Margì o ingannare Bortolino… Eh no, questo è uno di quei furfanti che non si vede fare il ganassa o tirare fuori le palanche da sotto il sedile della carrozza. E col bastone può farci poco. La sua Cràpa de lègn e il suo bastone “pensante” si fermano un momento. Qui basta mica far andare le mani, pensa, serve un’idea, intelligente. Una roba costruita su bene, fatta su giusta, servono dei buoni maìster e un bravo capocantiere… Pensa…
Oh, se serve un capocantiere bravo, siamo nel posto giusto! Tira infatti su la sua cràpa de legn e proprio in via Giacomo Quarenghi, guarda un po’, si accorge che c’è un cartello con scritto: Giacomo Quarenghi, architetto! A, potà behi… Ol Quarenghi! E così decide di partire subito, che qui la questione è grave: non può stare tutto tutto il tempo in baracca con la Margì e vuole andare a bere almeno un biancoespuma… E i bar son chiusi…
Allora prende baracca e burattini… No quelli decide di lasciarli dove sono… Prende e velocissimo, col passo muntagnì delle valli, raggiunge San Pietroburgo, dove il Quarenghi si sta riposando, saranno quei duecento anni. E lì subito gli domanda cosa fare, contro questo Verona minibus (non ha ancora capito bene, ma ci prova…).

Quarenghi lo accoglie, lo ascolta, è un uomo che conosce il mondo. Gioppino è andato lì per farsi aiutare perché sa che questo di robe ne ha fatte su… Ma ol Quarenghi non sa cosa rispondergli: si mette le mani nei capelli e dice che lui manca da troppo tempo da Bergamo per sapere come affrontare la cosa, come allestire un progetto. Che questa cosa è davvero troppo per lui.
Gioppino è quasi convinto a tirare fuori il suo bastone e a far tornare la memoria di Bergamo all’archi tetol. È già lì che gli punta un bignone che c’ha sul naso, quando quell’altro gli dà un’idea: Gioppino, questa roba, sta nell’aria, devi andare da uno che se ne intende di arie!
Sulle prime a Gioppino viene in mente il Bortolino, che quanto ad arie ne produce… Poi però pensa che ol Quarenghi al g’ha sota ‘na bela cràpa. Non può avergli detto una cosa che ce la sapevano tutti. Ha parlato di uno che conosce le arie…
Cala giù il bastone un momento, che la testa del Quarenghi per ringraziare fa pellegrinaggio alla Madonna di Caravaggio. E appena Gioppino abbassa il bastone gli viene un’idea, che la cràpa ce l’ha di legno, ma funzionante… Chi meglio di Gaetano Donizetti potrebbe parlare di arie?
E allora mette tutto in saccoccia e da San Pietroburgo prende su la funicolare (linea diretta) e va in Città Alta, dove riposa, da più di centosettant’anni, Gaetano Donizetti. Che poi lo si vede qui, che i bergamaschi sanno anche prendersi un riposino ogni tanto.

Arrivato a Santa Maria Maggiore, il povero Gioppino si fa il segno della croce, vorrebbe fare una genoflessione, ma ha i suoi problemi al ginocchio. A trovarlo. Il ginocchio. Ma a parte questo…
Al Santissimo lui porta un gran rispetto, che sia mai, precc suore e frà, leàga al capèl e lassai andà. Ma non è che lui sia proprio uno tutto casa (faghèla mia egn ‘n del co adess!), chiesa (sempre sia Lodato) e scuola (ho fatto la tersa elementare, tre volte, poi mi sono stufato).
Sul fondo buio della chiesa, si mette a spiegare al Gaetano come è questa vicenda della padrona dei bus. Insomma Gaetano, mi hanno detto che tè le canti e le suoni a tutti, sei uno che mi sa che fa andare il bastone più di me allora – spiega Gioppino – fammi giù un’aria migliore di questa qui che c’è in giro che dicono è una brutta aria, che io la porto al Marco del White Bar e lui mi riapre e fa su il biancoespuma. Da un euro, che sennò Margì mi prende l’orègia.
Donizetti ascolta, prende appunti. Gioppino gli ricorda che ha già fatto su un Esibir, El finir, El martir… Un quella roba là d’amore, che potrebbe fare giù un’altra aria così, che fa bene a tutti. Ma ol Gaetano non trova i suoni giusti. E quando Gioppino sente parlare di suonarle, prepara il bastone… Eh… No! No! Gioppino, dobbiamo evitare gesti violenti e provare a pregare, gli dice ol Gaetano.

Gioppino scatta subito in piedi. Il bastone lo abbassa ancora una volta, che cominciano a venirgli le formiche nelle mani… Lui il rispetto per il Santissimo ce l’ha, ma gà dà fastöde öl fôm di candèle… E poi mettersi lì solo a pregare gli sembra poco, i bergamaschi dicono il rosario mentre tirano almeno quattro bastonate… Però ol Gaetano gli suggerisce di provare a cercare qualcuno che sappia pregare davvero bene.
Far pensare la testa di Gioppino troppe volte è pericoloso. È una testa di legno, si sa che Gioppino è facilmente infiammabile. Ma c’ha troppa voglia di biancoespuma… E allora prova ad ascoltare il consiglio del Gaetano e va a cercare uno che gli hanno detto che aveva su proprio la faccia di quello che prega.
Fra’ Galgario non si sa né dove né come lo trova. Ma Gioppino ha i suoi mezzi per scoprire le cose. Subito spiega anche al frate cosa sta succedendo per colpa del… del robo… del coso… chèl là, dai madónamèsignùr. Frà Galgario lo guarda dritto in faccia. Gioppino allora, che non gli piace mica tanto essere guardato, gli dice di dire su almeno un rosario, lui che è un frate.
Il frate è il ritratto preciso della fede. Spacàt prècis idèntech. Gioppino lo vede subito. Tutte le sue speranze di biancoespuma sono riposte lì, nella corona che Fra’ Galgario tira fuori e comincia a sgranare. Prega! Gioppino è felice, tutta sta storia sta per finire. Se il frate prega, tra poco il White riapre e lui sente già sui gozzi che gli saltellano le gocce di biancoespuma.

Però ad un certo punto il frate si ferma. Sè g’hal amò, adess?, si domanda Gioppino, che si sente ancora osservato e mette già la manina sul bastone… Fra’ Galgario gli spiega che lui prega, ma che non crede che questo basterà contro il nemico. Potà Gioppino adesso il bastone lo tira fuori che lo sventola come l’asse di briscola!
Ma si ricorda del proverbio, che preti suore e frati bisogna lasciarli andare… E il suo biancoespuma pure se ne sta andando. Neanche un colpo di bastone. Neanche un colpo di fortuna. Che almeno se c’era aperto il tabachì due numeri al lotto li metteva.
Il Lotto! Glielo consiglia Fra’ Galgario. Vai dal Lotto, gli dice, caro Gioppino, rivolgiti a Lorenzo Lotto. Lui ne ha viste tante. Ha visto calare i Lanzichenecchi, ha visto la peste… Il Lotto ti saprà aiutare.
Eh, Gioppino, che l’è stràc pasat fo’, prende su il suo bastone e parte. C’ha in testa un bel terno per il Lotto: 48 morto che parla, 90 la paura, 21 i chilometri per arrivare a Trescore Balneario da Bergamo.
Con le ultime energie si trascina a Trescore, alla Cappella Suardi. Gioppino conosce il Lotto, anche se Margì dice che sono tutte macchinette mangiasoldi. Allora si prepara bene il discorso da fargli, che lui ha proprio sete, e che è disperato, che il Lotto tiri fuori il numero giusto per risolvere la situazione…
Come ü fölmen Gioppino, recitando il suo discorso a memoria, arriva a Trescore (ghè ‘n gir nesü, pensa tra sé e sé…). Arriva alla cappella, apre la porta e chiama a gran voce il Lotto. Ma…
Niente. Lorenzo Lotto nella cappella non lo trova. I numeri del lotto, oggi, non sono quelli buoni. Povero Gioppino.

Adesso Gioppino è davvero stanco. Ha bisogno di rifiatare. Ha bisogno di un po’ aria buona. La ValSeriana, pensa… Andare su dal Tone di Clusone a respirare aria buona. Che per arrivarci gli fanno mille storie e mille controlli, perché fuori da casa lui non dovrebbe starci. Non si può.
Ma è bergamasco. Ha la testa di legno. E va su, in ValSeriana, passa i primi colli, arriva sull’altipiano, entra in una pineta, si fa un bel respirone di aria fresca, cammina. Dopo un po’ saluta gli alberi, che tra legni ci si capisce, ed entra in paese. C’è un grande orologio dipinto, una piazza, e poco più su delle chiese. Arriva in alto. Si siede stanchissimo sul marciapiede. E tira su la testa. La cràpa insomma. La alza per guardare. Una parete davanti a sé. Dove c’è una festa. O forse un incubo. O forse l’inizio di tutto. O forse la fine. Non lo sa.

A questo punto gli viene da lasciare il bastone. Il suo gesto è come una Danza. Macabra?
A questo punto può tornare da Margì. Si sente un po’ come se avesse preso lui una bastonata, da quel matòch di Avello, che ogni tanto va a dargli fastidio. Ma lui è una testa di legno, le bastonate sa prenderle e sa darle. Soprattutto darle. Adesso però vuole tornare da Margì.
Guarda ancora una volta quel grande affresco sulla facciata della chiesa, quel disegno antico in cui tutto sembra lieto e atroce. In mezzo c’è una Signora che conosce bene. Quante bastonate le ha dato. Eppure lei non desiste, ritorna, sorride.
Una bastonata gliela promette. Alla Signora. Gioppino, se si tratta di dare bastonate a qualcuno che ride a caso, non si tira mai indietro. È sempre un arrivederci alla prossima volta.

Si gira. Guarda verso la valle, la città, la pianura. Ha deciso di lasciar giù il bastone per un momento.
Guarda verso Bergamo.
Ha una gran voglia di biancoespuma. Marco del White è ancora chiuso.
Beh, il resto della storia, da domani, tocca a te.

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  1. Gioppino è il burattino tradizionale bergamasco, caratterizzato da tre gozzi e un carattere pronto all’azione e testardo. Questo pezzo nasce dopo anni di collaborazione con Patrizio D’Argine, maestro burattinaio di Parma a cui devo molto, compresa l’idea di far guardare la città di Bergamo a Gioppino in questi giorni. I riferimenti culturali della città sono piuttosto noti. La sola aggiunta riguarda il grande affresco di Clusone, in Val Seriana, una delle più importanti danze macabre rimaste in Europa.

 

Damiano Grasselli

Damiano Grasselli è co-fondatore, rappresentante legale, direttore artistico e attore di Teatro Caverna, compagnia teatrale di Bergamo.

www.teatrocaverna.it