Silenzio, troppo silenzio: Samuel Beckett in Italia, prima e oggi

di Luca Scarlini

«A Samuele, figlio di Giacomo, impagliatore
Teatrale in francese e in inglese anche quando
Si trascina la fame nel cielo
Di ghiaccio nel suo cranio pendolare»
(Roberto Sanesi, Tema di Beckett)

Niente da fare: al proliferare di studi accademici, sempre più sofisticati, agguerriti, minuziosi, quando non decisamente bizantini, sulla opera di Samuel Beckett, di cui l’Italia ha festeggiato poco o niente il trentesimo anniversario della morte, nel Belpaese non corrisponde una eguale messe teatrale. Di fatto gli agenti impediscono a qualsiasi compagnia giovane di mettere le grinfie sul dublinese, le richieste economiche sono assai alte, i limiti imposti assoluti, e assai incompatibili con qualsiasi fatto d’arte scenica. Secondo i diktat imposti dal nipote Edward Beckett, infatti, viene chiesto il rispetto fino alla ultima virgola delle didascalie, impedendo quindi ogni lettura del testo che non sia quella di chi ha scritto (il quale, per primo, pur volendo controllare ogni dettaglio delle sue produzioni, fu il primo a cambiare non pochi aspetti del suo lavoro, nel momento in cui le parole si confrontavano, allo spasimo, con i corpi degli attori). L’autore di Finale di partita negli ultimi anni della sua vita fu regista, in cinema, televisione, e teatro, specialmente in Germania, e in collaborazione con il San Quentin Theatre Workshop, celebrata compagnia di attori carcerati (con in primo piano Rick Cluchey, che ebbe notorietà da star del teatro), come di alcuni celebrati solisti, per cui scrisse pagine memorabili e valgano qui i nomi di David Warrilow (per lui scrisse il magnetico Piece of a monologue, 1979) e Billie Whitelaw (splendida quanto dolente icona di Non io e Dondolo). Per le leggi attuali, fino al lontano scadere (nel 2059, per la precisione) dei diritti copioni, quando esistono, pubblicati in edizione critica risultano quindi come termine di paragone schiacciante e in ogni caso non si consente nessuna innovazione, cosa che rende il teatro lettera morta, cenere fredda, specchio di specchi, eco di echi. Peraltro questo infelice destino non si dà solo a Beckett, ma a numerosi grandi autori del Novecento nel mondo anglosassone (in cui gli agenti hanno ampio potere decisionale), come è il caso di Benjamin Britten, magistrale autore di opere per bambini (capolavori come Il piccolo spazzacamino e L’arca di Noè), intese a avvicinare persone di ogni ceto alla musica, ora rese assai poco fruibili, proprio negli ambienti a cui il compositore pensava, per i costi assai elevati dei diritti. La censura, l’intervento poliziesco sono strumento principe delle agenzie, che hanno impedito negli anni numerosi spettacoli beckettiani in Italia. L’esistenza del Giorni felici di Remondi e Caporossi allestito senza possibilità di andare in scena tra 1970 e 1971, di cui rimangono le fotografie ammalianti delle lunghissime prove (con le pareti coperte di una minuta calligrafia), perché uno degli interpreti sarebbe stato en travesti, un uomo nelle vesti di Winnie sarebbe e resta per i censori intollerabile. Il tutto senza scordare l’irruzione della polizia nella produzione di Aspettando Godot firmata da Roberto Bacci nel 2006, rea di aver presentato Vladimiro e Estragone affidandoli a due attrici (le gemelle Pasello) e non a due attori riconoscibilmente di sesso maschile. Peraltro lo stesso Beckett aveva posto limiti chiari alla sua produzione, che sono sempre citati oggi come precedente per negare e cancellare progetti: Giorni felici, nella storica messa in scena di Roger Blin con Laura Adani, su cui aveva scritto memorabilmente Alberto Arbasino in Grazie per le magnifiche rose, era stato interdetto a Clara Colosimo. Per questo l’attrice, assai più nota per i cammei nella commedia all’italiana (come Alfredo Alfredo di Pietro Germi) si mise a fare lo sciopero della fame, ottenendo il permesso, a patto che la signora smettesse quello che lo scrittore reputava una violenza intollerabile. E figuriamoci se oggi sarebbe possibile quella che è stata una specifica linea italiana di Beckett, assai legata al comico (come accade negli Stati Uniti, al di fuori dei territori dell’avanguardia). Il primo Aspettando Godot arrivò in tempo reale a Roma nel novembre 1954, poco dopo il gran successo parigino. In scena Vittorio Caprioli e Marcello Moretti, diretti da Luciano Mondolfo, per un debutto italico dell’autore irlandese sotto il segno del cabaret sulfureo. La prima versione importante di Finale di partita, per la regia di Aldo Trionfo nella multiforme Borsa di Arlecchino (maggio 1959), aveva come Clov un crudele e sarcastico Paolo Poli. Nel 1987 Antonio Calenda mise insieme Fiorenzo Fiorentini, Pupella Maggio, Pietro De Vico, Mario Scaccia oltre a Sergio Castellitto per Godot, che nel 1990 remixarono con alterni esiti Giorgio Gaber e Enzo Jannacci, e non è da scordare l’affondo calabrese di Giancarlo Cauteruccio, autore di numerosi spettacoli e eventi beckettiani, con U juocu sta finiscennu (1998), nella versione di John Trumper. Insomma, la tradizione è multiforme e il presente per ora più prevedibile, ma i temi beckettiani serpeggiano sotto copertura o in cifra, e non pochi echi del nostro avevano certe prime produzioni di Teatro Sotterraneo, per restare a una firma acclamata della recente scena italiana.

 

Luca Scarlini

Scrittore, drammaturgo per teatri e musica, narratore, performance artist.  Insegna tecniche narrative presso la Scuola Holden di Torino e ha collaborato con numerose istituzioni teatrali italiane e europee, tra cui il National Theatre di Londra, la compagnia Lod a Ghent, il Festival Opera XXI a Anversa, La Batie e il theatre amstramgram a Ginevra.  Scrive per la musica e per la danza: dal 2004 al 2008 è consulente artistico del festival MilanOltre al Teatro dell’Elfo di Milano.  Nel 2006 è stato direttore artistico di TTv a Bologna, nel 2005 ha coordinato le attività della Capitale Mondiale del Libro a Torino presso lo spazio Atrium.  Ha all’attivo una vasta attività come storyteller in solo e a fianco di musicisti, danzatori e attori, in teatri, musei e luoghi storici,  lavorando tra l’altro con Martin Bauer, Monica Benvenuti, Sylvano Bussotti, Nora Chipaumire, Luisa Cortesi,  Massimiliano Damerini, Francesca Della Monica, Francesco Dillon, Ane Lan, NicoNote, Pierluigi Piran, Elisabetta Pozzi, Francesca Tirale, Emanuele Torquati, Luca Veggetti, Ensemble Cremona Antiqua, Ensemble Vox Latina, comparendo in festival in Italia (compare da molti anni nel programma di Festivaletteratura, Mantova). Voce di Radio Tre, conduce il programma Museo Nazionale, ha curato mostre sulla relazione tra arte, musica, teatro e moda. Tra i suoi libri recenti sono da segnalare Lustrini per il regno dei cieli (Bollati Boringhieri), Sacre sfilate (Guanda), dedicato alla moda in Vaticano, Un paese in ginocchio (Guanda), La sindrome di Michael Jackson (Bompiani), Andy Warhol superstar (Johan and Levi), Siviero contro Hitler (Skira), Memorie di un’opera d’arte (Skira), Ziggy Stardust. La vera natura dei sogni (Add), Bianco tenebra. Serpotta di notte e di giorno (Sellerio), Teatri d’amore (Nottetempo), L’ultima regina di Firenze (Bompiani).