Ripartire da Quad, ripartire da zero

di Alessandro Carboni


L’articolo che segue è stato scritto circa dodici anni fa per il numero speciale della rivista Performance Research (1) dedicato al centenario della nascita di Samuel Beckett. Le parole che seguono raccontano la mia ricerca “From Quad to Zero” nata intorno all’opera Quad di Samuel Beckett. La ricerca è stata sviluppata durante una residenza creativa alla School of Drama, University di Calicut a Thrissur nel Kerala, India, tra marzo e luglio 2006.

Il centenario della nascita di Samuel Beckett, diventava un pretesto per riflettere sulla mia pratica artistica e sul teatro contemporaneo occidentale. Un punto zero che, a partire da questa ricorrenza, mi permetteva di tracciare infinite traiettorie lungo le quali attuare un processo di ricerca e creazione. Ciò che mi interessava dell’opera di Beckett era la costante necessità del regista di portare all’estremo il linguaggio. In particolare ero interessato alla capacità di Beckett di costruire percorsi narrativi inauditi e inaccessibili. Le sue opere sono strutture complesse che poi, a ritroso, possono essere smontate, annullate, per poi ripartire – ritrovando il grado zero del linguaggio – verso altre combinazioni, altre diagonali. All’epoca, per la mia pratica performativa ero alla ricerca proprio di un “grado zero del linguaggio”, dell’anti-numero: una pratica corporale che potesse raccontare assenza, l’anti-materia, il punto di partenza su cui testare delle variabili, come un infinito gioco matematico da tradurre in azione performativa. I miei studi si concentrarono sull’opera video Quad, un algoritmo performativo trasmesso in televisione in Germania negli anni Ottanta. Beckett, utilizzando inquadratura fissa, un punto di vista immobile, ci mostra uno spazio neutro dove quattro performer attraversano uno spazio quadrato senza mai attraversare il centro. In Quad, la parola si fa silenzio e fa spazio alla fisicità dei corpi, che interrogano sulla relazione tra spazio corpo e geometria. Il silenzio diventa lo spazio vuoto intoccabile che Beckett posiziona al centro del palcoscenico. Il vuoto che Beckett ha generato a partire da una partitura coreografica basata su una stringa di codice binario – il Gray Code – che veniva utilizzato come set di istruzioni per determinare le entrate e uscite dei danzatori nello spazio. Sono proprio le camminate dei danzatori che, non attraversando mai il centro e disegnando il perimetro, ci permettono di vedere la forma del vuoto. Lo stesso identico vuoto che si dipana dai calchi di Bruce Nauman del 1965, A cast of the space under my chair, oppure nelle trasparenze delle Doors dell’artista Rachel Whiteread o nelle spaccature operate nel pavimento della Tate Modern dall’artista Doris Salcedo con l’opera Shibboleth.

Lo zero posto al centro del palcoscenico è come un fantasma che possiamo osservare solo nel suo assordante silenzio e nella sua irrappresentabile e costante presenza. Solo osservando il suo negativo quel vuoto sfuggente prende forma come un liquido che all’improvviso si congela. È nel contorno che vediamo il confine, l’alternanza tra 0 e 1, tra silenzio e suono, tra il pieno e il vuoto. A partire da questi presupposti, nel marzo 2006 intraprendo un viaggio di ricerca lungo sei mesi nel sud dell’India. La mia ricerca si focalizza sullo studio della matematica vedica, della danza classica indiana (che è cresciuta e sviluppata in una rigorosa disciplina sia fisica e sia intellettuale) e di due stili, Bharathanatyam e Kathakali, in cui viene data importanza precipua alla precisione delle linee, alla nitidezza delle forme, dove esiste un rapporto consolidato tra ciò che è corpo, numero, geometria e spazio. In particolare, mi focalizzo sulle Mudra, gesti e posture pre-determinate compiute con le mani e utilizzati nella danza classica indiana. Utilizzando un processo di trasduzione, nella mia ricerca, ad ogni Mudra veniva associata una postura corporale: l’intenzione era quella di creare un nuovo set-posturale, in cui veniva coinvolto tutto il corpo, che ho chiamato Hyper-Mudra. Al mio rientro in Europa, seguendo il percorso geografico dello spostamento dello zero (2) (che, ricordiamo, gli Arabi portarono dall’India all’Europa), ho utilizzato le Hyper-Mudra, per creare uno spettacolo a partire da una riscrittura di Quad di Beckett. Lo spettacolo, che ho chiamato ABQ – Mechanical extension in four arithmetic operations (3) è stato prodotto da Santarcangelo 07 International Festival of the Arts e L’arboreto – Teatro Dimora, Mondaino. Parallelamente allo spettacolo, ho realizzato il Knotiv, vincitore del Premio Riccione Giovani Talenti. Entrambi le opere avevano trasformato radicalmente la mia pratica artistica e lasciato delle tracce indelebili che, a distanza di così tanto tempo, sento ancora presenti nel mio pensiero coreografico.
Il 29 marzo 2009, Rita Borga, dopo la visione dello spettacolo a Venezia, scrive: «Lo spettacolo ABQ si presenta come una composizione coreografica palindromica divisa in sequenze, dove lo spazio (un quadrato ricoperto da uno strato sottile di sabbia) diventa contenitore di un corpo, un corpo che, dopo un momento di stasi, cominciava a muoversi progressivamente, divenendo a sua volta il contenitore di un linguaggio matematico universale, scandito dall’azione di un pendolo perpendicolare al centro della scena.

ABQ, foto di Alvise Nicoletti


Suoni ambientali e interventi di ‘live electronics’ coprono quel rumore silenzioso che si solleva nel contatto tra danzatore e l’area sabbiosa, per poi essere interrotti e vinti dal ritmo di quattro metronomi posti a ogni vertice del quadrato, che scandiscono il movimento del performer. Come nella “danza pura” indiana, azione, tempo e spazio sono precisamente calcolati e si assiste ad un’assoluta estetica del movimento e della forma, mentre il corpo non racconta alcun tema».

Dopo dodici anni riparto da quel vuoto posizionato al centro del palcoscenico e dalle diagonali tracciate dalle camminate dei performer. Riparto dalla geometrica, quella pratica di misurazione dello spazio che mette in relazione punti, linee, angoli, curve, forme e solidi. Riparto, come avevano già individuato i pitagorici, dalle relazioni tra le figure geometriche e i numeri e tra i numeri e la realtà: per loro la matematica fu il linguaggio attraverso il quale poter interpretare il mondo.


From Quad to Zero, matematica e processi coreografici tra numero e non numero

Sono un artista visivo la cui pratica è situata nel campo delle performing arts. I miei commenti, analisi e osservazioni in questo articolo potrebbero essere lontani da una certa obiettività e potrebbero essere distanti da un approccio critico o accademico. Per più di sei mesi sono stato a Trichur, nel Kerala, lontano dall’Europa, e questo ha influenzato notevolmente il mio modo di pensare, il mio modo di essere. Durante quel periodo ho potuto verificare nuovamente la mia pratica senza aver paura della distanza geografica. Ho potuto ridefinire il baricentro del mio corpo, della mia pratica visiva, delle conoscenze sul mio movimento. Pertanto, grazie a questa esperienza ho chiarito i concetti che, per molto tempo, sono stati sospesi senza una precisa collocazione.

Quad come punto zero

Nel marzo 2006 ho lasciato Londrai, l’Europa, l’Occidente, considerando il centenario della nascita di Samuel Beckett come un momento importante per riflettere sul teatro contemporaneo occidentale e quindi sulla sua funzione. Volevo utilizzare questo anniversario per compiere un ritorno a un ipotetico grado zero. Questo zero, considerato il “non-numero”, il vuoto, diventa un’entità fisica, l’asse fondamentale su cui far ruotare il mio progetto. Dopo aver osservato da vicino alcuni aspetti coreografici del lavoro di Beckett, ho iniziato a esplorare Quad, un breve lavoro drammatico descritto da Beckett come un «balletto per quattro persone» (e nella versione pubblicata da Faber come un «pezzo per quattro attori, luci e percussioni»). Quad è descritto nel Grove Companion to Samuel Beckett nel modo seguente: «Four figures, each in pastel djellabas, appear to describe a quadrangle to a rapid, polyrhythmic percussion, then depart in sequence». Inizialmente, una figura attraversa il percorso, poi un’altra si unisce fino ad avere quattro figure in scena; poi, escono una ad una man mano che ognuna termina il proprio schema, lasciando solamente una figura nello spazio. A poco a poco, tutte le possibili combinazioni di giocatori vengono presentate almeno una volta. Da notare che l’attore che è stato sul palco più a lungo è sempre quello che lascia per primo. Ogni figura descrive metà del quadrato, tracciando l’incommensurabilità del lato e della diagonale, facendo una svolta a scatti a sinistra per evitare il centro. Per prima cosa può sembrare che le figure si stiano evitando reciprocamente, ma gradualmente ci si rende conto che stanno evitando il centro che, come oggetto spaziale vuoto, diventa il grado zero di movimento.
Beckett studia matematica, non avanzando ai livelli più alti, ma ottenendo una competenza operativa negli elementi di base di serialità, teoria degli insiemi e logica. Chiaramente ispirato a una sequenza numerica binaria chiamata Gray Code, utilizzata in particolare per segnali di conversione analogici e digitali di macchine elettromeccaniche. Beckett considera gli attori in Quad come sottoinsiemi di un set di numeri disposti in un elenco circolare, in modo che ognuno appaia solo una volta. Inoltre Beckett individua due sottoinsiemi adiacenti che differiscono per l’inclusione o la rimozione di un solo elemento: l’unico elemento che può essere rimosso è quello più presente nei precedenti sottoinsiemi consecutivi nell’elenco.

Esaminando con cura questi dettagli, mi sono reso conto che Quad poteva fungere da perfetto pretesto per aprire dei varchi, come un ariete, per analizzare la relazione tra numero e pratica coreografica e in particolare lo zero e la sua funzione nel processo di composizione. A questo punto, Quad nella mia ricerca diventa un’opportunità per scoprire e tracciare un percorso, il movimento geografico dello zero dalle sue origini remote in oriente verso ovest, ovvero verso la mia pratica. Il mio desiderio però era di provare a compiere la strada all’opposto. Quindi, considerando questi due punti apparentemente distanti, ho tracciato un asse ovest-est. Mi sono trasferito in India alla ricerca dell’origine dello zero. Nelle mie mani, avevo solo alcuni indizi: Quad, la danza classica del sud dell’India e lo zero.

India come punto uno

Durante il primo periodo di ricerca presso la School of Drama di Thrissur e la Sree Sankaracharya University of Sanskrit, ho concentrato i miei studi sulla ricerca in modo generale, partendo dalla danza classica del sud India, come il Kathakali e il Bharathanatyam. In entrambe le danze il numero e lo spazio hanno un ruolo fondamentale. Diventano problemi oggettivi, principi di base dell’apprendimento per i giovani adepti. Nel Bharathanatyam, la mano, il corpo e lo spazio, determinano tre dimensioni o livelli fondamentali in cui il danzatore trova espressione; allo stesso tempo, durante lo spettacolo, questi sono la danza stessa. Considerando questa come una struttura dimensionale rigida, potrei considerare lo spazio come contenitore del corpo e il corpo come contenitore della mano. Questo è un assioma semplice che può essere descritto come segue:

spazio: corpo = corpo: mano

In Bharathanatyam, la mano è molto importante. Rappresenta la più piccola unità strutturale del corpo. È un’entità non misurabile, il grado zero, che agisce come un punto. Nella matematica vedica lo zero è rappresentato come un punto.

Esempio di Mudra nella danza Bharathanatyam

Il punto è considerato l’entità minima della dimensione. La sua navigazione su un piano crea uno spazio bidimensionale, con linee e superfici. Se si muove su un piano tridimensionale abbiamo, per esempio, un cubo. Il processo matematico vedico dell’apprendimento spinge i giovani adepti a esplorare nuovi stati dell’essere, navigando in altre dimensioni. Tracciando queste nuove forme, la matematica vedica crea ‘hyper-cubes’ con quattro, cinque o sei dimensioni.

 

 

 

cubo: quadrato = quadrato: punto

 

 


Attraverso diverse posizioni delle dita, le mani esprimono i Mudra – una serie di trentuno gesti discreti delle mani usati da uno/a danzatore/trice. Questi possono essere usati individualmente e con ciascuna mano indipendentemente dall’altra. Le Mudra sono unità alfabetiche che possono essere combinate nello stessa mano, o attraverso gesti diversi, a seconda della situazione, su ciascuna mano.

 

 


Mudras e Hyper-Mudras: il processo di ‘physicalization’. In questa fase il corpo segue l’apertura e la chiusura della mano dalla minima alla massima estensione. L’esempio ci mostra dalla mudra “Mushti” alla mudra “Hamsapaksha”.

Attraverso uno studio accurato delle strutture fisiche dei Mudra, ho creato un processo di ‘body-physicalization’ di queste posizioni: ho collegato ciascun Mudra a una posizione del corpo corrispondente, creando nuove unità alfabetiche. Seguendo schemi matematici vedici li ho chiamati Hyper-Mudras. Durante questa fase di ‘body-physicalization’ ho usato la struttura semplice di un cubo come strumento analitico di ridefinizione, al fine di studiare la meccanica di piegamento del corpo in posizioni di Hyper-Mudras. Considerando il cubo come corrispondente alla struttura del corpo, l’ho usato come oggetto comune per mezzo del quale interpretare i Mudra e gli Hyper-Mudra. Il cubo ha otto vertici, dodici segmenti (lati) e sei superfici. Considerando questi principi di base ho assegnato un’articolazione del corpo a ciascuno degli otto vertici del cubo. Le connessioni al loro interno attraverso i segmenti del cubo creano relazioni: ogni segmento corrisponde a una relazione all’interno di due vertici e la relazione dei vertici sullo stesso piano crea sei superfici.
Usando i vertici come articolazioni del corpo, segmenti come ossa e superfici come pelle del corpo, ho sviluppato uno strumento compositivo di base per una danzatrice. Ho chiamato questo il VCCT (“Vedic–Choreographic–Cube Tool”).

Pensando al numero ‘otto’, come sono i vertici di un cubo e come sono anche le articolazioni del corpo, ho iniziato a considerare che nel calcolo un byte è una stringa composta da otto valori (bit). Considerando il codice binario come un linguaggio numerico, ho assegnato a ciascun vertice del corpo, e allo stesso tempo della mano, un valore di aperto o chiuso (acceso / spento), come 0 o 1.

linguaggio di notazione grafica

Attraverso questo processo di ‘digitalizzazione’ delle Mudra e Hyper-Mudra, ho creato un linguaggio di notazione grafica comune in cui potevo facilmente trascrivere ogni posizione delle mani e del corpo. Proprio come il Gray Code di Beckett produce un elenco di istruzioni per le entrate o le uscite dei suoi danzatori, con il VCCT ho potuto creare una serie di sequenze di movimenti interni del corpo, usando un semplice codice binario.

 

 

 

 

 

prove durante la School of Drama, Trissur

Le prove durante la School of Drama, Trissur. Il Movimento dei danzatori nel quadrato. Attraversano lo spazio utilizzando la partitura di Quad come referenza per il loro spostamenti.

VCCT (“Vedic–Choreographic–Cube Tool”)
Otto articolazioni del corpo come vertici (caviglia, gomito, testa, anca, ginocchio, osso sacro, spalla, polso). Le connessioni del segmento formano dodici relazioni (caviglia-polso, fianco-spalla, ginocchio-gomito, testa-ginocchio, spalla-polso, testa-gomito, testa-anca, caviglia-sacro, polso-gomito, testa-sacro, ginocchio-caviglia, spalla-sacro). Esistono superfici su sei piani (caviglia-ginocchio-sacro-testa, testa-fianco-sacro-spalla, polso-gomito-sacro-spalla, caviglia-polso-sacro-spalla, ginocchio-gomito-caviglia-polso, ginocchio-gomito-testa-anca).
Con il VCCT, il performer esplora il suo movimento.
Ho iniziato a tracciare una coreografia usando il mio set di Hyper-Mudras, ordinato in una sequenza specifica seguendo l’apertura e la chiusura del corpo, dall’estensione minima alla massima.



Considerando la danza Bharathanyatam come uno dei fondamenti della mia ricerca, non potevo assolutamente escludere la sua relazione con la musica e le strutture ritmiche. Ho quindi scelto di utilizzare talas, o cicli temporali, per fissare le strutture sul palco. In conformità con le regole convenzionali della composizione musicale carnatica, ho scelto diversi set di cicli di otto battute per ciascuna delle mie otto sezioni coreografate. Nella settima e ottava sezione, la danza è accompagnata da una frase melodica, che potrebbe fungere da contrappunto al modello del movimento stesso. La logica interna della sequenza è espressa attraverso la divisione all’interno di ciascun lato del quadrato.

 

 

 

La sezione 7 è divisa in otto cicli. Ogni ciclo è disegnato nel perimetro del quadrato ed è eseguito dal performer. Ho scelto per ogni ciclo un velocità di Tala, nel sistema carnatico musicale chiamato “Kalam”, per il movimento del performer. Durante i quattro cicli, il movimento diventa più complesso con l’aumentare della velocità della Kalam. Dal quinto ciclo, la velocità del movimento rimane costante, ma la complessità del movimento diminuisce diventando una semplice camminata. La Sezione 8 invece è chiamata Quad-Tala. Seguendo il sistema carnatico musicale, ogni lato e diagonale del quadrato è diviso considerando due diversi tipologie di Tala. Ho diviso i lati in otto passi e la diagonale in dieci passi. Seguendo questo schema ho associato ai lati la ADi tala e alla diagonale la MADYA Tala.
Di conseguenza, si è verificato un aumento aritmetico della velocità del ripiegamento e del dispiegarsi del movimento sul palco. Nella coreografia c’erano movimenti fissi associati alla punteggiatura musicale che fungevano da segnali visivi alla conclusione di ciascun lato del quadrato. Il risultato visivo di questa sezione è stata una danza fratturata in piccole unità, con otto ripetizioni dei movimenti per ogni lato del quadrato.

L’illustrazione mostra la partitura coreografica utilizzata per tracciare la sequenza di movimento. Lo score utilizza 32 beats, suddivisi in quattro sezioni, 8 beats per ogni lato del quadrato. Nella rappresentazione grafica, a ogni beat corrisponde una articolazione del corpo, in relazione al VCCT, la quale articolazione, per ogni step corrispondente a un beat, avanza sul quadrato.

 

Infine, il processo coreografico è divenuto una struttura ciclica che, partendo da zero, si generava automaticamente. Lo zero è diventato il punto di partenza da cui spostarsi verso il punto uno, quindi, seguendo il percorso all’indietro, il processo è stato annullato e la struttura annullata. Ciò ha comportato una “coreografia di istruzioni” per i ballerini, in cui azione, tempo e spazio sono calcolati con precisione.
Pertanto, ciò che ho creato utilizzando il numero e il codice binario non è diventato una formula ma un linguaggio che descrive la potenza del numero stesso.


 

1. Articolo originale: Alessandro Carboni, ABQ – From Quad to Zero Mathematical and choreographic processes – between number and not number, in «Performance Research» (2007), 12:1, 50-56

2. La parola “zero” deriva dall’arabo sifr, che significa “vuoto o vacante”, una traduzione letterale del sanscrito shunya indiano, “vuoto”.

3. Il titolo si riferisce all’etimologia della parola “abaco”, una parola latina che ha le sue origini nel greco abax o abakon (che significa “tabella di calcolo”, nel senso di una “tabella quadrata” cosparsa di sabbia o polvere, usata per disegnare figure geometriche) che, a loro volta, hanno probabilmente origine dalla parola semitica abq, che significa “sabbia”.

4. L’opera video Knot (https://www.alessandro-carboni.com/knot)

5. Nel 2006 ero residente a Londra.

 

 

Alessandro Carboni

È un artista visivo, performer e ricercatore la cui pratica è situata nel campo delle arti performative. Dopo diversi anni di formazione nel campo delle arti visive, dei creative media e performing arts, ha sviluppato una ricerca artistica interdisciplinare focalizzata sulla produzione di progetti performativi e visivi che coinvolgono professionisti di diverse discipline. I suoi progetti sono supportati da Formati Sensibili, una casa di produzione indipendente per il sostegno e la distribuzione di progetti artistici, di formazione e di ricerca per adulti e bambini, nell’ambito delle arti visive e performative. Oltre alla sua produzione e ricerca artistica, Alessandro ha creato EM Tools – for urban mapping and performance art practice, un sistema coreografico che utilizza il corpo come dispositivo per mappare con il corpo ciò che accade nello spazio urbano nelle sue estensioni geometriche e temporali.

https://www.alessandro-carboni.com