Il rumore del silenzio

di Maurizio Lupinelli

Attraversamenti, foto di DIANE | Ilariascarpa

Devo per forza partire dall’ultimo lavoro che abbiamo messo in scena con i ragazzi diversamente abili del “Laboratorio Permanente” di Castiglioncello ad Armunia nel 2018, Sinfonia Beckettiana – prodotto da Ravenna Festival e Festival Inequilibrio – per cercare di spiegare e ripercorrere le tappe di studio e lavoro attorno ai testi di Beckett, assieme alle scoperte e ai buchi neri che tale viaggio ci ha messo di fronte. Per me la drammaturgia beckettiana è sempre stata un punto di riferimento, sia per quanto riguarda la scrittura scenica che l’agire dei personaggi. Personalmente, mi piace più usare definizioni quali “presenze” o “assenze” e “stralunati fantasmi”. Queste prime considerazioni le ho avvertite sin da subito leggendo i romanzi dell’autore irlandese, e non è un caso che molti temi e personaggi che si incontrano nella letteratura di Beckett ce li troviamo trasformati nei suoi testi teatrali. È come se avesse voluto renderli ancora più concreti nella loro assurdità malata, nella loro radicalità, o meglio ancora nella loro ineluttabilità. Non è stato facile trovare modalità sceniche per riuscire a rendere quelle parole e dare vita a quei personaggi – intendo la presenza dell’attore sulla scena – senza cadere nella recitazione. Nella mia pratica quotidiana di attore e regista, tutte le volte che mi avvicinavo alla scrittura di Beckett, puntualmente mi arenavo, sentivo che dovevo andare da altre parti, ma ancora non intuivo di dover lasciare perdere la costruzione teatrale, il personaggio e concentrarmi invece sulla pratica dello stare in scena. Sostare, aspettare e non far niente, essendo cosciente di aspettare, trovare un godimento, e al contempo un vuoto, una zona d’ombra, un luogo che potesse contenere e contemplare un “silenzio rumoroso”.

Anni fa lessi un’intervista al compositore estone Arvo Pärt. Raccontava di come era riuscito a musicare un brano come Spiegel im Spiegel grazie al fatto di aver intuito che era venuto il momento di azzerare tutto, di lasciarsi andare là dove il nulla era di casa. Era rimasto per mesi in una landa sperduta che gli ricordava la tundra del suo paese, l’Estonia. Un paesaggio fatto di soli alberi, in una campagna immobile. Tutti i giorni camminava per chilometri e si riempiva di suoni e immagini. Era un luogo così solitario che a un certo punto aveva sentito il bisogno di fuggire, di tornare in città, al senso di sicurezza e alla quotidianità. Solo più tardi, era affiorato dentro di lui un senso di mancanza, un dolore non fisico, ma nell’animo, e da queste sensazioni emerse da quel lungo esilio aveva iniziato a comporre Spiegel im Spiegel. Questa intervista mi toccò profondamente. Fece emergere certe scelte e certi modi di rivedere la mia visione e la pratica del mio fare teatro, a partire dal lavoro della compagnia – Nerval Teatro – ma anche e soprattutto con il “Laboratorio Permanente” di Castiglioncello con attori diversamente abili, che dal 2006 stiamo portando avanti. È con questa esperienza, con queste presenze straordinarie, che abbiamo iniziato nel 2015 un percorso folle attraverso i testi di Beckett. Da subito abbiamo capito la grande vicinanza con alcune figure: Vladimiro ed Estragone di Aspettando Godot, Winnie di Giorni felici, Hamm di Finale di partita. Ci siamo regalati un tempo lungo, un lavoro di tre anni, sperimentando possibili strade, approfondendo e soffermandoci sulla fisicità, l’attesa, i gesti, le espressioni, le invenzioni delle battute – tenendo conto che la maggior parte dei protagonisti non sa leggere né scrivere – per poi arrivare a fissare temi scelti dai partecipanti del “Laboratorio Permanente”, come l’attesa, l’arrivo, la partenza e le poche suggestioni sceniche come l’albero in Aspettando Godot, il monte in Giorni felici e i bidoni in Finale di partita. La vera scoperta, tuttavia, è stata la natura dello stare in libertà senza far niente, in silenzio, guardandosi dritto negli occhi. Penso a Cesare Tedesco e Paolo Faccenda, due perfetti Vladimiro ed Estragone, che puntualmente riuscivano a reinventare le battute, dando sempre lo stesso senso e riuscendo a realizzare una partitura gestuale ben precisa, che tutte le volte sembrava eseguita per la prima volta. E questo conferiva loro una grande libertà in scena, cosa rara da vedere in teatro. Ricordo che all’inizio del percorso “costringevo” gli attori in piccole stanze, tutte foderate di nero, con una piccola luce, dove potevano fare quello che volevano. A volte stavano in silenzio, a volte intraprendevano delle conversazioni, anche le più banali ma in piena libertà. È da quel momento che forse abbiamo avuto le prime intuizioni da approfondire, cercando di isolare le situazioni di alcuni frammenti dei testi beckettiani che più interessavano al gruppo, come l’attesa e il silenzio, che erano poi quelle che più si avvicinavano alla sensibilità dei partecipanti. È stato un grande regalo, una generosità inconsapevole da parte del gruppo, che mi ha permesso, in qualità di regista, di rimanere sempre di più nell’ombra, e spiare quei corpi, quegli sguardi, così vivi, quel loro muoversi sulla scena quasi fossero sculture uscite dall’atelier di Giacometti; così stralunati, eppure pieni di una vitalità reale, anche se dannatamente astratti. Io alla fine dovevo solo organizzare i materiali che riuscivano a creare. Erano autori di se stessi.

Per certi versi ho rivisto quelle fisicità cosi stralunate, quei silenzi e quegli scoppi improvvisi a cui avevo assistito in un Aspettando Godot memorabile – con Giorgio Gaber, Enzo Iannacci, Felice Andreasi, Paolo Rossi – che vidi al Teatro Goldoni di Venezia negli anni Novanta. Presenze straordinarie, anche nei momenti critici che si erano presentati nel corso della messinscena, dove Pozzo (Andreasi) aveva avuto problemi di “memoria” e così Vladimiro ed Estragone, con trovate esilaranti di pura improvvisazione, e sempre restando nel perimetro drammaturgico beckettiano, riuscirono a ricostruire situazioni dove Pozzo finalmente poté portare a termine la propria parte. Il lavoro che abbiamo portato avanti in questi cinque anni attorno ai testi di Beckett con il Laboratorio Permanente, ci ha permesso di intravedere quanto questi attori diversamente abili possano essere molto vicini agli autori del teatro del Novecento, innestando nuove possibili pratiche e nuove visioni della drammaturgia in teatro. Chiudo con una citazione di Lao Tse a cui sono molto legato: «Senza uscire dalla porta conoscere il mondo. Senza spiare dalla finestra vedere la via del cielo. Più lontano si va, meno si sa. Perciò il saggio non viaggia, eppure sa; non guarda, eppure comprende; non fa, eppure compie».

 

Maurizio Lupinelli

Comincia ad affermarsi nel 1986 con lo spettacolo teatrale Harvè Harvè, insieme a Danilo Conti, per la regia di Maria Martinelli. In seguito lavora con Marcello Aliprandi nel film Quando non c’erano ancora i Beatles, prodotto da Rai 3. Nel 1989 realizza con Eugenio Sideri La mia casa, da H. Böll. Dal 1990 fa parte del Teatro delle Albe ed è membro di Ravenna Teatro, con cui realizza: Incantati, All’inferno, Perindherion, I Polacchi, Sogno di una notte di mezza estate, I Refrattari, Salmagundi, scritti e diretti da Marco Martinelli. Nel 1991 Lupinelli fonda, insieme a Marco Martinelli, la non-scuola, esperienza teatrale all’interno degli istituti superiori di Ravenna, tuttora in atto. Dal 1997 inizia a lavorare con ragazzi portatori di handicap: realizza a Ravenna Woyzech. Nel 1999 a Lerici (SP) inaugura una collaborazione con il centro disabili Pl.e.ia.di e debutta nel giugno 2000 con Hallo Kattrin, tratto da Madre coraggio di B.Brecht. Nel 2001 realizza con Eugenio Sideri Ella di Achternbusch e nel 2004 con la messa in scena di Uno Studio per MaratSade tratto dal Marat-Sade di Peter Weiss prosegue l’esperienza con il centro le Pl.e.ia.di. Nel 2007 il progetto approda nella provincia di Livorno e porta alla realizzazione del MARAT, prodotto da Armunia e Casarsa Teatro, in collaborazione con l’Associazione Culturale Pl.e.ia.di. di Lerici e la Cooperativa Sociale Nuovo Futuro di Rosignano Marittimo (LI). Nel 2007, dopo essere uscito dal Teatro delle Albe, fonda con Elisa Pol, la compagnia Nerval Teatro e l’esperienza del Laboratorio Permanente. Inizia un viaggio attraverso i testi teatrali di Antonio Moresco, interpretando Fuoco Nero – monologo scritto da Antonio Moresco per Lupinelli stesso –, e l’anno successivo firmando la regia di Magnificat con protagonista Elisa Pol. Nel 2008 cura la direzione artistica del progetto I Crociati, una serie di laboratori rivolti ad adolescenti delle scuole di Afragola e del campo rom di Scampia. Mette in scena Gli Uccelli di Aristofane. Il progetto è promosso da Puntacorsara e Fondazione Napoli Festival. Nel 2009 è impegnato nell’allestimento di Amleto! Ovvero l’incontro mancato, dall’Amleto di William Shakespeare, prodotto da Armunia e Olinda nell’ambito del progetto Incontro Mancato, con protagonisti attori diversamente abili della Cooperativa Sociale Nuovo Futuro di Rosignano Marittimo e un gruppo di ragazzi e adulti ospiti dell’ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pin di Milano. Nel 2010 Maurizio Lupinelli firma Appassionatamente, scrittura originale tratta dai testi di Werner Schwab. Il lavoro viene prodotto da Armunia, 3 Bis F di Aix En Provence, Olinda, Arboreto e Istitut Français. Nel 2011 dirige Psicosi delle 4 e 48 di Sarah Kane con in scena Elisa Pol. Nello stesso anno cura la direzione artistica di Teatro Portasud, un progetto di teatro e comunità rivolto ai cittadini dei quartieri degradati di Marghera (VE). Mette in scena Mercanti, liberamente tratto dal Mercante di Venezia di Shakespeare. L’iniziativa è promossa dal Comune di Venezia, Etam -Animazione Comunità e Territorio in collaborazione con Echidna- paesaggio culturale. Nel 2012 debutta al festival Inequilibrio di Armunia con Che cosa sono le nuvole, liberamente tratto dall’omonimo cortometraggio di Pasolini. In scena 13 attori diversamente abili, utenti della Cooperativa Sociale Nuovo Futuro di Rosignano Marittimo con cui lavora da anni. Nello stesso anno realizza Gli Uccelli di Aristofane con le famiglie degli ex-minatori della comunità di Gavorrano (GR). Nel 2013 interpreta e cura la regia de Le Presidentesse di Werner Schwab, seconda tappa del progetto dedicato all’autore austriaco. Sempre nel 2013 è in scena con Roberto Abbiati nello spettacolo per l’infanzia intitolato Carezze, di Maurizio Lupinelli e Roberto Abbiati. Nel 2014 interpreta Canelupo Nudo di Rita Frongia per la regia del maestro Claudio Morganti. Nel 2015 realizza Attraversamenti liberamente ispirato al mondo e ai personaggi di Samuel Beckett. In scena 15 attori diversamente abili, utenti della Cooperativa Sociale Nuovo Futuro. Nel 2016 inizia un percorso di esplorazione dell’universo poetico di R. W. Fassbinder. La prima tappa svoltasi a Berlino, dopo un seminario intensivo per attori residenti a Berlino ha messo in scena la pièce Sangue sul collo del gatto di R. W. Fassbinder nei magazzini sotteranei della Kindl Brauerei Berlin a Neukölln. Nel 2017 realizza Winnie, liberamente ispirato a Giorni felici di S. Beckett e nel 2018 debutta al Ravenna Festival con Sinfonia Beckettiana, viaggio nell’immaginario di Samuel Beckett e Alberto Giacometti, con in scena gli attori del Laboratorio Permanente.