Black thaumàzein

di Valeria Vannucci

Cotonou, Benin, 2015 – ph Lucia Perrotta

«Provare meraviglia ci riporta al thaumàzein aristotelico – θαυμάζειν – all’oscillazione tra il sorprendente e il perturbante, tra la “gioiosa” perentoria affermazione del proprio agire e il disorientamento, l’impatto che ci sorprende quando una visione o un evento, di qualsivoglia natura, sopraggiunge a mutare il nostro sguardo verso le cose». Con queste parole la coreografa Simona Bertozzi spiega le linee guida del suo progetto Wonder(L)and, una serie di studi realizzati con differenti gruppi, non necessariamente specializzati, che partono dall’ambivalenza del concetto di meraviglioso.

In occasione del Festival Trasparenze di Modena, l’autrice ha collaborato con un gruppo di ragazzi africani alla realizzazione di un laboratorio finalizzato a creare delle “invenzioni performative” che riflettessero le idee di stupore e meraviglia. La creazione nata da quest’esperienza trae inoltre ispirazione dalle poesie di Walt Whitman, una delle quali dà il titolo alla performance: Poem of you, whoever you are – Azioni per Wonder(L)and.

Non si tratta, in questa sede, di parlare delle danze africane tradizionali o contemporanee, ma del corpo come presenza universale, di flussi esistenti nel linguaggio corporeo e di come questi corpi, quando chiedono asilo, si possono relazionare con la generazione del movimento. Per questo si prende ad esempio l’esperienza realizzata dalla ricerca di Simona Bertozzi all’interno del laboratorio col Gruppo Marewa. Il laboratorio, che nasce per ospitare ragazzi africani richiedenti asilo, è un progetto a cura del Teatro dei Venti di Modena, in collaborazione con Caleidos Cooperativa Sociale. All’interno di questo percorso i ragazzi, approdati in Italia senza famiglia e provenienti da realtà difficoltose, si sono dedicati a uno studio volto a sperimentare la libertà che può dispiegarsi dal gesto aperto al dialogo, coniugandolo al tema del ‘meraviglioso’, in cui, come afferma la coreografa, tutto può accadere.

Le modalità attraverso cui il Gruppo Marewa ha affrontato questo laboratorio, la buona riuscita e l’entusiasmo che ne sono derivati, non s’originano da un’innata coscienza ancestrale che i corpi di questi ragazzi africani possono possedere a priori. Piuttosto, tutti questi elementi, vanno rintracciati in una disponibilità corporea che gli stessi mettono in gioco per il loro benessere, mentale e spirituale.

È proprio in questo percorso, dal prima al dopo, che s’inserisce il lavoro della coreografa Simona Bertozzi, in collaborazione con Stefano Tè, regista del Teatro dei Venti e direttore artistico del Festival Trasparenze di Modena. Prendere parte al viaggio di questi giovani e far partecipare anche il pubblico, in un percorso in cui accettare la trasformazione, in cui non si rinnega il passato ma lo si conserva per aprire la coscienza alla libertà del creare.

«Marewa vuol dire segreto, una cosa che conosci se ci sei dentro» spiegano i ragazzi del gruppo alla coreografa: suggestione che, senza volerlo, si ritrova alla base di questa creazione.

«Quando li ho incontrati per la prima volta, ho avuto l’impressione che mi guardassero come a volermi dire “E ora che si farà?”. Inizialmente sono stati un po’ restii al dialogo – verbale ‒ ma immediatamente disponibili a condividere e costruire quest’esperienza con me. Non sapendo chi fossi non erano neanche sicuri di quanto potessero dirmi, di quanto potersi fidare». Questi ragazzi, provenienti dal Mali e dalla Nigeria, dopo una prima fase di spaesamento dovuta all’approccio iniziale al lavoro e al fatto che il gruppo si era formato da poco, hanno creato un percorso «tra fluida individualità e osmosi collettiva», realizzato in uno spazio urbano in cui tali percezioni si amplificano e risuonano nell’ambiente.

«Non ho dato loro un canone, l’errore e il giudizio non erano contemplati, in funzione di una dimensione dinamica che ho cercato di creare, in cui fargli sperimentare forme del corpo differenti rispetto a quelle a cui erano abituati, toccandosi e distanziandosi. Ho spiegato loro che non ci si colpisce, ma ci si incontra. Come? Come capita! Nel contatto tutto può accadere». Queste parole dell’autrice descrivono perfettamente le azioni mostrate durante la perfomance: corpi in rotazioni cinetiche, che attraversano l’uno il movimento dell’altro, che si accendono di luminosità, quella che Walt Whitman ritiene che appartenga a tutti i corpi, quella che si realizza se ogni corpo si pone nella condizione di aprirsi alla sorpresa. Per fare ciò la coreografa ha elaborato un discorso comune attraverso il quale i ragazzi potessero trovare un proprio percorso da compiere, da attraversare individualmente e collettivamente.  Da forme di partenza, stabilite e scelte dai performer, si trova la possibilità di cambiarle e, allo stesso tempo, di rintracciarne la radice: un meraviglioso risveglio, fatto di «danze sbilanciate […] un’asimmetria che prende spazio per necessità di estensione, di rottura dell’equilibrio, di incontro con le traiettorie dell’altro da sé», come descrive la coreografa. Corpi che si appoggiano l’uno sull’altro, per prendere spazio per esserci, anche con l’altro e con chi è più lontano, trovandosi e disorientandosi.

Azioni fugaci e transitorie, fatte di sottrazione e propagazione, di equilibrio e rottura: affinché tu sia il mio poema, chiunque tu sia. Come scriveva Walt Whitman: «Whoever  you are, now I place my hand upon you, that you be my poem».

Poem of you, whoever you are – azione per Wonder(L)and rispetta una partitura basata sull’incontro e sul dialogo fra i corpi, sul significato stesso di corpo e su tutto ciò che il corpo è contemporaneamente. Nella stessa citazione di Walt Whitman, che dà il titolo all’azione coreografica, sono manifestate le idee contrapposte di casualità e caducità, ‘whoever you are’, ma allo stesso tempo di presenza e vicinanza permanente, ‘now I place my hand upon you’. In questa opposizione, che potrebbe apparire come una contraddizione dialettica, le parole donano una via d’uscita: la poesia, la meraviglia che ne scaturisce, che non vive la diversità come incongruenza, ma piuttosto come molteplici parti che nascono dallo stesso luogo originario, il corpo. Quella che Whitman definisce polifonia dei corpi, apre la strada a una riflessione sulle componenti stesse che abitano il corpo umano, le sue energie, le direzioni contrastanti, l’animale, il vegetale e il minerale che lo compongono, come singolo ma sempre parte del tutto:

«Ho scoperto che nel mio corpo c’è granito, carbone, muschio filamentoso, frutta, grani, radici commestibili, e sono tutto decorato di quadrupedi e di uccelli, e ho preso le distanze da ciò che è dentro di me con buone ragioni, e posso richiamarlo di nuovo vicino a me quando voglio». (Walt Whitman)

Vicinanza e lontananza, confinante e, allo stesso tempo, distante, affine e remoto: nel corpo esiste tutto, non senza contraddizioni, ma senza che queste compromettano l’una l’esistenza dell’altra, senza sopprimere reciprocamente l’energia di ogni componente. Quando si rende possibile la naturalezza di ogni diversità, quando la mente si apre all’incoerenza che rende il corpo disponibile e l’arte si fa veicolo di ciò, il risultato è la meraviglia.

La meraviglia cui si fa riferimento è quella che nasce dall’opposizione, lo stupore e il perturbamento che si provano di fronte a un qualcosa, un evento o una visione, per la prima volta. Meravigliarsi e scoprire, impaurirsi e lanciarsi, contrari che si uniscono senza che la diversità ne ostacoli le forze, ma la cui energia può organicamente nascere in seno a tale contrapposizione.

 

Bibliografia minima:
Aristotele, Poetica, (a cura di) G. Paduano, Laterza, Roma-Bari 2003.
Whitman W., Leaves of Grass, Smith & McDougal, Washington D.C. 1872.

 

Valeria Vannucci

Valeria Vannucci (Roma, 1993), studentessa di 25 anni appassionata di danza, teatro e arti performative, sia nell’aspetto pratico che di ricerca e teoria. Laureata in Storia della danza con una tesi intitolata Le metamorfosi di Vaslav Nižinskij: tra persona e personaggi, relatori Professor Vito Di Bernardi e Professoressa Annamaria Corea. Corso di laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo (Triennale) presso “Università degli Studi La Sapienza” di Roma, nella sessione di luglio 2016. Studentessa presso il corso di laurea magistrale in Teatro, Cinema, Danza e Arti Digitali presso “Università degli Studi La Sapienza” di Roma. Profonda conoscenza della tecnica classica accademica, di tecniche e metodi relativi alla danza contemporanea. Ha svolto uno stage extracurricolare presso il Balletto di Roma nel 2016.