La lingua vale, ma non siamo soltanto parola

di Massimo Bray

ph Nicola Tanzini

Nel mondo di carta e di bit in cui, e di cui, vive l’Istituto della Enciclopedia Italiana, la parola è fondamenta e ascensore, area calpestabile e percorso, costruzione e orizzonte. È corretta, e sempre sfidante, l’idea che la trasmissione del sapere e della cultura, in tutte le forme ed espressioni nobili e civili, in primis della scrittura, abbia mosso e muova il pensiero e l’azione delle generazioni intellettuali che dal 1925 fanno dell’istituto fondato da Giovanni Treccani l’artefice di una grande operazione enciclopedica costantemente aggiornata e proiettata verso il futuro. Perché “la Treccani” cerca di fare in modo, con le sue iniziative editoriali, tradizionali e digitali, di ricerca, sociali e didattiche (molte sono pensate e realizzate per il mondo della scuola), che le parole vengano ben spese, con misura e cura. Ci vuole poco perché la parola perda senso, in un’età caratterizzata da un dispendio vorticoso di parole, spesso utilizzate per aggredire e nascondere, anziché dialogare e mostrare.
L’Istituto ha realizzato campagne istituzionali per un uso sensato, corretto e “pulito” – direi ecologico – della parola, come per esempio Le parole valgono, ed è tornata molte volte a ragionare con speciali dossier monotematici sulla natura spesso inquinata del linguaggio della comunicazione e della politica, specchio e strumento di una concezione populistica e, a bene guardare, autoritaria della parola. Di fronte a un certo uso aggressivo, sguaiato, demagogico, razzista, sessista o banalmente seduttivo della parola, non di rado verrebbe voglia di invocare – purtroppo consci di rimanere inascoltati – la virtù del pensiero elaborato, a lungo ponderato, e il ricorso al silenzio della riflessione.
Credo che la parola sia stata, sia e debba continuare a essere espressione di ragionamento, condivisione e anche, senz’altro, confronto sincero tra diverse posizioni, ma sempre rispettoso e costruttivo, finalizzato alla crescita della democrazia. Accanto all’uso ragionato e consapevole della parola, concorre, al raggiungimento dei medesimi fini, la necessità di salvaguardare anche l’uso creativo della lingua, l’originalità espressiva e lo scarto dalla norma, recuperando disposizioni desuete delle parole e le innumerevoli, diverse, scelte lessicali di cui l’italiano dispone per esprimere uno stesso concetto.
Ho piena coscienza che nella parola noi siamo, ma noi non siamo soltanto parola. È con piacere, perciò, che accolgo l’invito a intervenire nel mensile on line 93%, testata nel cui nome è sintetizzata con forza la realtà dell’importanza, non solo quantitativa, ma sociale, culturale, semiotica e artistica della comunicazione non verbale nelle relazioni umane. Se la parola manca, certo, si può e si deve lavorare per avere diritto a riconquistarla, come accade per i sordi che si battono da anni per una legge sulla LIS, la lingua dei segni italiana (nel Portale Treccani.it ne abbiamo parlato qui).
Ma proprio il non “oralismo” della LIS ci ricorda che la scelta del non verbale è uno dei modi fondamentali per stare sulla scena nella necessaria dimensione teatrale della relazione di sé con gli altri (Erving Goffman), per esprimersi negli affetti e nei sentimenti (talvolta camuffati dalle parole insincere o pavide), per ri-creare la realtà e ri-crearsi nelle forme cinesiche dell’arte non verbale e corporea, o anche per affermare la propria integrità e coerenza ideale e politica (il silenzio del partigiano o del prigioniero politico torturato). La comunicazione non verbale ha un profondo valore universale e ricorda costantemente che se c’è parola, c’è mente e c’è corpo e, poiché il mondo è nella nostra mente e il nostro corpo è nel mondo, la valorizzazione della parola deve camminare di pari passo con la valorizzazione di ciò accompagna o sostituisce la parola nell’affermare la libertà dell’essere umano.

Massimo Bray

Massimo Bray

Massimo Bray è nato a Lecce, ha studiato a Firenze, vive a Roma. Nel 1991 entra all’Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, come redattore responsabile della sezione di Storia moderna dell’Enciclopedia La Piccola Treccani.
Non lascerà più l’Istituto, fino all’elezione al Parlamento: nel 1994 ne diviene il direttore editoriale. In questo ruolo, mantenendo intatto il rigore che contraddistingue un’istituzione culturale di così grande prestigio, ne ha seguito l’apertura del web con grande entusiasmo. Il progetto di definire l’Enciclopedia degli italiani online è il modo di interpretare la missione della Treccani nel XXI secolo. La scelta è quella di mettere a disposizione di un numero sempre maggiore di utenti un patrimonio di conoscenza di alta qualità; la convinzione è che il nostro Paese debba elaborare nuove forme di gestione del patrimonio culturale, coniugando la forza dei contenuti con le innovazioni tecnologiche.
Massimo Bray è stato anche direttore della rivista edita dalla Fondazione di cultura politica Italianieuropei, che ha tra i suoi principali obiettivi quello di elaborare analisi e riflessioni pubbliche sui nodi cruciali dell’innovazione politica ed economica europea. La fondazione è un luogo di incontro tra le diverse tradizioni culturali del riformismo italiano.
Sull’edizione italiana di Huffington Post è autore di un blog dedicato all’esperienza della cultura, con particolare attenzione all’editoria tradizionale e digitale.
Ha presieduto il consiglio d’amministrazione della Fondazione La Notte della Taranta, che organizza il più grande festival europeo di musica popolare, dedicato al recupero della pizzica salentina e alla sua fusione con altri linguaggi musicali, dalla world music al rock, dal jazz alla sinfonica. Grazie al lavoro del gruppo di competenze che gestisce la Fondazione e soprattutto alla straordinaria coralità dei talenti musicali coinvolti nell’Ensemble Notte della Taranta, il festival è divenuto, negli anni, un riconosciuto modello culturale che, di edizione in edizione, non cessando di produrre nuove forme di elaborazione artistica, ha cominciato a produrre interessanti economie per il territorio.
Alle elezioni politiche del 2013 è stato eletto deputato nelle fila del Partito democratico e il 28 aprile 2013 è stato nominato ministro per i Beni, le attività culturali e il turismo del governo presieduto da Enrico Letta. Nel marzo 2015 si è dimesso da parlamentare e ha fatto ritorno all’Istituto della Enciclopedia italiana.